A causa dei movimenti migratori, i paesi di antica tradizione cristiana sono entrati definitivamente in una situazione di pluralismo religioso. In altre regioni, in particolare in Asia, il cristianesimo non costituisce che una piccola minoranza, immersa in un contesto culturale profondamente segnato da grandi tradizioni religiose come buddismo, induismo, taoismo, scintoismo. Altrove, dove il cristianesimo si è imposto con la colonizzazione, le tradizioni religiose ancestrali, represse ma sempre vive, riemergono con forza. Inoltre, le grandi religioni si diversificano nelle varie tendenze, obbedienze e confessioni. A questa diversità delle grandi religioni si aggiunge oggi la nebulosa delle credenze di tipo settario, gnostiche o esoteriche.
Tutti, senza distinzioni, siamo immersi direttamente e concretamente in questo pluralismo di religioni e di credenze.
Come vivere insieme? In vista di quale mondo? Che significa evangelizzare in questo contesto? Come e perché possiamo da cristiani entrare in dialogo con altri credenti, in nome della nostra stessa fede?
Le risposte a queste domande non sono facili. Il teologo Andrè Fossion individua quattro orientamenti fondamentali.
Prima di tutto informarsi
È un’esigenza previa, semplicemente umana, di verità e di onestà, che il Vangelo non può che rafforzare. Troppi pregiudizi ostacolano e impediscono l’incontro benevolo tra credenti di religioni differenti. È quindi importante andare oltre i cliché per scoprire in profondità le differenti religioni, la loro storia, le loro caratteristiche, spesso più complesse e sfumate di quanto non appaia a prima vista. A questo proposito è importante qualificare l’impegno della scuola, dei media e della cultura per diffondere una seria e documentata informazione sulle religioni del mondo. La corretta informazione è la condizione per un incontro nella verità, un incontro critico che renda possibili delle alleanze senza appiattire le differenze.
Cercare delle alleanze con le altre religioni
– di fatto con dei credenti di altre religioni – su questioni umane, nel desiderio comune di un mondo più vivibile per tutti. Non si tratta certo di contrapporsi semplicemente a un mondo agnostico o ateo.
È oggi prioritario unire le buone volontà di ogni religione e tradizione per costruire un mondo di giustizia e di pace, per camminare insieme su una strada di umanizzazione e, camminando, stabilire legami di amicizia. Questo incontro tra religioni porta a tutti degli effetti benefici. È un incontro che conduce le une e le altre a evidenziare il loro apporto di umanizzazione e ad attenuare e neutralizzare quanto esse hanno di settario, di violento, di intransigente per i propri membri e per gli altri credenti. Il primo effetto del dialogo tra religioni, sotto lo sguardo critico dei diritti umani, della ragione e delle scienze umane, è proprio di condurre le une e le altre a raggiungere il meglio di se stesse in vista di un migliore servizio dell’umanità.
Condurre la nostra fede al meglio di se stessa
Si tratta di affinare la comprensione del messaggio cristiano per vivere il dialogo interreligioso in modo sempre più evangelico. Abbiamo conosciuto un tempo, oggi passato, nel quale la Chiesa si considerava sola depositaria della salvezza. Abbiamo anche conosciuto il tempo, sempre attuale, nel quale la Chiesa ha riconosciuto nelle altre religioni delle manifestazione autentiche dello Spirito, pur considerando se stessa come il loro pieno compimento. È arrivato senza dubbio un tempo nuovo, nel quale, in nome della nostra stessa fede nel Dio di Gesù Cristo, noi possiamo considerare le altre religioni non solo come dei “semi”, o delle “pietre di attesa”, ma come delle multiple ed autentiche alleanze di Dio e dell’umanità nella storia. In questa prospettiva le religioni, allo stesso modo dell’ebraismo, non sono chiamate a sparire, perché Dio stesso, nella sua generosità, resta loro fedele. I cristiani vi possono così riconoscere delle strade di salvezza e di accesso al Regno di Dio, sotto l’azione di uno stesso Spirito, di cui la Chiesa rende certo testimonianza, e senza pretendere di limitarne la libertà e la generosità. In tale ottica le religioni sono dei doni supplementari e autonomi di verità e di grazia che i cristiani, in nome della loro stessa fede, possono riconoscere come manifestazioni della grazia di Dio a favore del genere umano.
Ridefinire e affinare il senso della missione
in una prospettiva che riconosce, nel disegno di Dio, la pluralità delle religioni. Certo, come cristiani non possiamo rinunciare alla missione di annunciare il Vangelo. La fede cristiana richiede infatti la confessione di Gesù Cristo come Figlio Unico di Dio, nel quale Dio si è fatto vicino all’umanità in modo radicale e definitivo. Questa è la nostra fede: in Gesù Cristo Dio si è abbassato e ci ha amati fino alla fine, elevandoci a una dignità e a una speranza che non potevamo immaginare. Come potremmo tacere questa Buona Notizia? Essa ci spinge ad annunciarla. Questo annuncio di Cristo non può che essere, ad immagine del suo abbassamento, umile, non violento, grazioso, cordiale. In tal senso esso non ha come scopo di convertire l’altro, anche se possiamo desiderarlo. È in se stesso e per se stesso prima di tutto un atto di carità e di speranza: un atto di carità che offre cordialmente all’altro, senza volerlo condurre a sé, il meglio di quello che si crede e si spera; un atto di speranza in un Dio di comunione che eccede le nostre rappresentazioni e ci unisce già da ora sui nostri rispettivi cammini al di là delle nostre differenze. Nel pluralismo delle religioni del nostro tempo, la missione dei cristiani consiste nel promuovere la conoscenza reciproca, nel favorire l’alleanza per costruire un mondo più umano nella speranza della comunione finale, nella quale Dio sarà tutto in tutti.
Raimon Panikkar (Barcellona 3 novembre 1918, Tavertet 26 agosto 2010) è stato un filosofo e teologo spagnolo, di cultura indiana e catalana, oltre ad essere un sacerdote cattolico, scrittore molto prolifico. Laureato in filosofia, chimica e teologia, ha insegnato, dal 1967, religione comparata ad Harvard (USA) e storia delle religioni e filosofia della religione all’Università di Santa Barbara, in California.
Unire cielo e terra serve a ridare un senso al mondo di Raimon Panikkar in “Corriere della Sera” del 28 agosto 2010.
Nel corso dei millenni l’uomo è stato attratto, spesso ossessionato e talvolta affascinato, da due forze che i mistici chiamerebbero trascendenza e immanenza, i poeti cielo e terra, i filosofi spirito e materia. L’uomo si è dibattuto tra questi due poli attribuendo di volta in volta più importanza all’uno o all’altro, disprezzando, trascurando o magari negando realtà all’uno dei due (la materia è male, il corpo è schiavitù, il tempo è illusione) oppure viceversa (il cielo non esiste, lo spirito è mera proiezione, l’eternità un sogno). La religione, intesa quale dimensione umana che potremmo chiamare religiosità, messa di fronte al problema del significato della vita ha oscillato tra questi due poli senza riuscire a dimenticare completamente l’altro. Carpe diem: la terra è troppo attraente per non godere dei suoi piaceri. Fuga mundi: il mondo è troppo fugace per riporvi la nostra fiducia. Non v’è dubbio, tuttavia, che molte delle principali religioni ai nostri giorni hanno decisamente spostato la bilancia verso il trascendente, lo spirituale, l’ultraterreno. «Come andare in cielo» è il compito della religione; «come vanno i cieli» è l’incombenza della scienza: è stata questa la materia di discussione tra uno scienziato (Galileo Galilei) e un teologo (Roberto Bellarmino). La dicotomia è stata letale per entrambi. La religione è bandita dagli affari umani e la scienza diventa una specialità astratta, avulsa dalla vita umana. La religione diventa un’ideologia e la scienza un’astrazione. In entrambi i casi il corpo è praticamente irrilevante. Compito della nostra generazione, se non vogliamo contribuire all’estinzione dell’homo sapiens, è di tornare a celebrare l’unione tra cielo e terra, quello hieros gamos o sacra unione di cui parlano tante tradizioni, non esclusa la cristiana.
Mara Borsi, FMA
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