La città dell’uomo

Le città sono qualcosa di più della somma delle loro infrastrutture. Esse trascendono i mattoni e la malta, il cemento e l’acciaio. Sono i vasi in cui viene riversata la conoscenza umana (Rick Yancey).

Abbiamo immaginato il viaggio nelle città, come ad un percorso nei luoghi dell’anima. Quando diciamo e pensiamo alle città si affollano nella nostra mente molte immagini: dalle piccole città di provincia, alle città metropolitane, alle grandi megalopoli, ognuna con le sue bellezze e i suoi lati problematici, ma ciò che accomuna queste realtà, pur nella loro varietà, è che esse rappresentano “il” luogo della socialità, luogo in cui l’io, il tu, il noi, l’Altro si incontrano, si intrecciano, si scontrano.


Città crocevia di contraddizioni

Se, dunque, da un lato la città è la forma della convivenza contemporanea, dall’altro è in essa che si trovano anche tutti i limiti delle nostre capacità sociali. Le città sono il luogo di scontri e lotte, sono i luoghi in cui la conflittualità emerge o opera nascostamente, e plasma in questo modo la vita cittadina; sono il luogo della spersonalizzazione, della massificazione, della perdita dell’irripetibilità personale, sono il luogo in cui sperimentiamo l’impossibilità di relazioni. 

Infatti se guardiamo al modo con cui sono state costruite le città nel corso dei secoli ci rendiamo conto che lo spazio urbano è stato organizzato secondo regole precise che rispecchiavano anche il tipo di società che le abitava e il tipo di relazioni che c’erano tra i cittadini. Città con al centro la piazza o l’agorà, dove lo spazio della condivisione e del decidere insieme era importante. Città in cui tutto ruotava intorno al luogo di culto. Città dove i palazzi del potere erano posti nella zona più alta, città fortezze, città giardino.
Questo indica come anche la prossemica delle nostre città può diventare un luogo di umanizzazione o di spersonalizzazione. In molte Nazioni europee ci sono ancora tanti piccoli borghi che testimoniano il senso di appartenenza comunitario, dove ogni casa sembra incollata alle altre e lo spazio libero e lo spazio comune è un luogo per tutti. Città in cui è forte il senso delle radici familiari, culturali e religiose.
Da sempre la città è un progetto che nasce dalla volontà di vivere insieme, un progetto radicato nella storia, nella cultura, un progetto che si vorrebbe aperto alla speranza.
Nel V Convegno ecclesiale nazionale organizzato dalla Conferenza Episcopale Italiana dal titolo In Gesù Cristo un nuovo umanesimo alcune riflessioni hanno fatto emergere il fatto che siamo in presenza di un panorama complesso, caratterizzato da grandi contraddizioni. «In altre parole, la città è diventata luogo emblematico di lettura delle molte crisi del nostro tempo. Può anche essere, però, luogo in cui sperimentare segni di cambiamento, fondativi di un nuovo umanesimo, nel cui ambito amicizia, condivisione, partecipazione non siano solo parole vuote».
La città, crocevia di contraddizioni, è tante cose contemporaneamente. Certamente è fattore di modernità e di sviluppo, di ricchezza di risorse culturali e sociali, ma potrebbe essere anche luogo di separatezze, di frammentazioni, talvolta di segregazioni. Ci rendiamo conto che stanno diventando sempre di più mosaico di popolazioni diverse, ognuna con una propria idea del vivere e del fruire la città.


Chi fa il progetto? Chi sono quelli che vogliono e possono vivere insieme? Quali storie? Quali culture? Quali speranze?


Città luogo di solidarietà

Ci ritroviamo tutti a vivere in luoghi dove le piazze, gli spazi di incontro e di socializzazione, sono messi in discussione sia dai nuovi centri commerciali sia dalla rivoluzione telematica. Le periferie sono tanto interne quanto esterne rispetto alla città. In molte città del mondo ci sono quartieri identificabili con la nazionalità di chi ci vive: il quartiere cinese, il quartiere arabo, il quartiere latino, in cui si cerca il modo di ricreare spazi che richiamino la cultura delle proprie origini. Piccoli spazi per non perdere il contatto con la propria identità. A volte, però, questi spazi creano separazione, ghettizzazione. Si è in quella città senza esserci davvero e questo può portare all’emergere prepotente di molte chiusure «identitarie»: corporative, localistiche, etnico-religiose. In questo modo le grandi città diventano «città divise», fondate sulla separazione, e la separazione alimenta la violenza e la povertà, secondo una miscela che rischia di diventare esplosiva. Papa Francesco in occasione dell’incontro mondiale dei movimenti popolari ha affermato: «Viviamo in città che costruiscono torri, centri commerciali, fanno affari immobiliari ma abbandonano una parte di sé ai margini, nelle periferie: quanto fa male sentire che gli insediamenti poveri sono emarginati o, peggio ancora, che li si vuole sradicare! Sono crudeli le immagini degli sgomberi forzati, delle gru che demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra. E questo si vede oggi» (Roma, 28 ottobre 2014).

Le città in cui abitiamo hanno bisogno di un tessuto di relazioni sociali autentiche per diventare luogo di solidarietà concreta. La cultura della città è anche la cultura delle differenze. Le diverse società, i diversi mondi, le diverse esperienze presenti nella città possono accogliersi reciprocamente.
Pensiamo alla città dell’uomo come ad uno spazio in cui sia possibile condurre una vita umana fondata sulla reciprocità e sulla valorizzazione dei beni di comunità. Una città in cui ci si possa prendere cura gli uni degli altri, una città che generi vita, che garantisca spazi di crescita personale e comunitaria, una città in cui dire: “mi sento a casa”.

È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato e anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure  (Italo Calvino).


Molte sono le immagini di città devastate che affollano purtroppo i network di tutto il mondo. Città ferite dalla guerra, dalla violenza o da violenti fenomeni naturali. Città in cui oltre alla perdita materiale di case e oggetti, sembra che si smarrisca anche un po’ dell’essere di chi sopravvive. A volte si vedono immagini di uomini e donne che hanno perso tutto che vagano per le strade che li ha visti crescere e che oltre a ricercare cose, ricercano anche il legame con ciò che sono. La città dell’uomo è la città che diventa proiezione del senso di umanità che ci abita dentro.

Anna Rita Cristaino
annarita.cristaino@gmail.com

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