Vivere nella “realtà aumentata”

Quando il gioco esce dai confini che le abitudini ci fanno ritenere naturali ed occupa spazi altrimenti destinati alla relazione, al contatto con la vita, al dialogo con chi ci sta accanto, che cosa garantisce che chi si avventura in queste attività ludiche non si perderà nei labirinti di realtà parallele alla nostra, in cui conservare il valore della propria identità e il senso della propria esperienza sarà impresa ardua per chiunque?

Piccoli mostri tascabili

Venuti al mondo con un nome che altro non è se non la contrazione di pocket monsters, i Pokémon compiono oggi vent’anni e, per rifarsi il look hanno abbandonato lo spazio delle piccole consolle portatili Aggiunto al loro nome tradizionale quel Go che indica una sorta di volontà di mettersi in movimento ed invadere ambienti fino ad oggi a loro preclusi, i Pokémon Go hanno fatto fare un vero e proprio salto di qualità alla Nintendo, l’azienda che li ha creati e li ha catapultati nello spazio reale.
Il gioco si basa sull’abbinamento di app, Gps e fotocamera dello smartphone: l’obiettivo che il giocatore ha è quello di scovare i mostri proiettati nel mondo reale all’interno di un ambiente qualunque, inseguirli e catturarli.
Proprio in questa conquista dello spazio reale consiste l’originalità del gioco. Pokémon Go ti porta fuori, in strada. In questo modo sembra trasformare lo spazio della relazione in uno spazio dove le persone si trovano chiuse dentro il guscio virtuale di una dimensione tutta individuale. Il gioco, oltrepassando l’ambito fisico dello schermo, invade in un certo senso la realtà.


Risvolti etici

Sono in molti coloro che iniziano a manifestare preoccupazioni. Una volta scaricata la app, grazie alla geolocalizzazione, qualsiasi giocatore è rintracciabile da chiunque ed i bambini, ad esempio, potrebbero diventare vittime inconsapevoli di malintenzionati. Inoltre attraverso l’applicazione si può entrare in possesso di dati sensibili come la mail. 

È la prima volta che la cosiddetta realtà aumentata esce dalla nicchia e diventa un fenomeno di massa. Non si tratta di tecnologie nuove ma di tecnologie già in uso che escono dai loro specifici ambiti di applicazione per creare un vero e proprio universo che non è separato, bensì interagisce con la nostra realtà quotidiana.
Ovviamente è sempre un gioco e, per quanto rappresenti un salto di qualità che lo porta fuori dal perimetro dei giochi, Pokémon Go diventa un pericolo nel momento in cui se ne fa un uso esagerato o improprio.
C’è, tuttavia, un aspetto che colpisce e che rientra più nella sfera dei comportamenti che in quella delle ‘deviazioni’: le persone presenti nella realtà che – a loro insaputa – vengono riprese dallo smartphone del giocatore, potrebbero imputare a tale giocatore un comportamento lesivo della propria dignità di persona. Nell’ambito di un’attività commerciale d’intrattenimento, chi non prende parte al gioco e vi è comunque direttamente coinvolto suo malgrado, vede negato il diritto ad essere riconosciuto e rispettato in quanto persona. Egli è trasformato e ridotto a semplice componente (insieme ai personaggi immaginari) dello scenario del videogioco scelto dagli altri, senza aver dato alcun consenso, e spesso senza essere neppure consapevole del gioco in corso. Così ognuno diventa mero bersaglio umano, per così dire, dell’altrui divertimento a colpire, catturare ed uccidere, seppur in modo innocuo.


Prospettive educative

Il gioco prevede che le persone vadano in giro puntando lo sguardo sullo smartphone e guardando il mondo attraverso la fotocamera di quest’ultimo. Che ora lo smartphone diventi una lente con cui guardare il mondo, è una deriva ulteriore da cui è bene guardarsi. Distinguere come in un gioco di specchi tra apparenza e realtà non è sempre facile, tantomeno oggi che la ricerca di Pikachu e compagni è la moda ludica del momento. 

La realtà aumentata ha al suo interno i vecchi codici generazionali mescolati ai nuovi, per dare forma ad un agire ancora da sperimentare, la cui complessità deve essere opportunamente compresa dalle nuove generazioni come realtà di espressione, e dalle vecchie come strumento, che permette di garantire il supporto ed il necessario accompagnamento al difficile passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Una delle conseguenze negative che si tende ad evidenziare rispetto a questa nuova dipendenza è il rischio di chiusura totale degli adolescenti nel mondo interno dei loro smarthphone, isolati nelle loro stanze come decine di nuovi Hikikomori, ragazzi che decidono di autorecludersi nella loro stanza, da quel momento inaccessibile alla famiglia, e che si immergono esclusivamente nelle realtà virtuali di Internet, Tv digitale, videogiochi.
In un’ottica ottimistica il gioco, invece, permette di uscire dall’isolamento e di incontrare il mondo reale giocando e coinvolgendo altri utenti nell’incontro con i diversi personaggi da catturare.
In questo senso Pokémon Go, aprendo l’aspetto ludico all’esterno, può rappresentare uno strumento comunicativo per diminuire il divario generazionale tra genitori e figli, e permettere un monitoraggio affettivo costante e coerente nel tempo e nello spazio.
Non per niente negli USA vi sono esperienze di strutture ospedaliere che hanno deciso di usare l’applicazione per spronare i piccoli pazienti a muoversi dal letto e interagire tra loro; mentre in Australia si stanno sperimentando progetti per aiutare i genitori di bambini autistici per i quali Pokémon Go si sta rivelando uno strumento utile al miglioramento delle relazioni di apprendimento tra casa e scuola.
Il connubio tra aspetto ludico e tecnologia può rivelarsi un potente strumento educativo: purtroppo è tecnicamente possibile che queste stesse tecnologie vengano utilizzate per indurre comportamenti negativi, ma per proteggere i più giovani piuttosto che proibire è meglio seguire ed accompagnare, per prevenire confusioni e fenomeni di addiction.

 

Patrizia Bertagnini
suorpa@gmail.com

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