Solo insieme l’uomo e la donna costituiscono il genere umano − indicava Giovanni Paolo II nella − e l’immagine del Creatore è impressa nell’unione delle loro diversità. Il mancato riconoscimento di tale reciprocità è causa di squilibri, contrapposizioni, rivendicazioni e prevaricazioni. L’antagonismo uomo – donna è oggi questione tutt’altro che risolta: lo ha spiegato Papa Francesco quando definendo la teoria “espressione di una frustrazione che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa”, ha rimarcato la duplice necessità di fare di più per promuovere la donna e favorire l’alleanza maschio-femmina. A, docente di Filosofia Morale all’Università Europea di Roma chiediamo:
«Il femminismo è un movimento variegato. Se ne distinguono tre ondate. Il femminismo emancipatorio – sorto a metà ‘800 e più recentemente proseguito nel femminismo di Stato – promuove la parità fra uomini e donne con azioni politiche affermative (ad esempio le quote rosa). Il femminismo della differenza, a partire dagli anni ’60 e ’70, difende la ricchezza della differenza femminile ed elabora un ordine simbolico e uno spazio politico perché le donne possano esprimersi, senza passare per la mediazione maschile. Infine, il femminismo legato ai gender studies considera la differenza sessuale come una costruzione sociale e un ostacolo sulla via dell’uguaglianza dei generi. Il superamento del binarismo sessuale conduce, nelle versioni estreme, alla moltiplicazione e liquefazione dei generi. La spinta all’indifferenziazione culturale del maschile e del femminile finisce paradossalmente per riprodurre, sotto le spoglie del genere, il dominio del neutro dal quale le donne si erano affrancate con tanta fatica. Attualmente l’influsso dei gender studies è dominante; tuttavia, il femminismo della differenza resta un luogo di riflessioni feconde col quale, a mio parere, è opportuno confrontarsi».
Lo stereotipo della donna sottomessa e dell’uomo dominatore viene giustamente contestato, ma con la pretesa di risolvere un conflitto si arriva ad una non soluzione, alla negazione della differenza sessuale. Cosa vuol dire promozione della donna ai tempi del gender?
«Le donne non hanno fatto in tempo a uscire dal patriarcato e dai suoi dispositivi repressivi che si sono trovate subito assoggettate alla legge della prestazione, dell’efficienza, della performance. In fondo, l’abbandono della differenza sessuale lascia il posto a una forma di individualismo in cui ognuno è uguale a ogni altro perché portatore di diritti da consumare privatamente. In questo contesto promuovere le donne (e gli uomini) significa dare senso e spessore, parole e tessitura simbolica alla propria esperienza corporea e relazionale. L’essere una donna (o un uomo) è un dato, ma è anche un mistero, perché il corpo umano non è mai semplicemente organico o funzionale, ma porta l’impronta dell’infinito, il soffio di Dio. Per questo, la differenza non finisce mai di generare senso. La domanda su cui concentrarci diventa allora: decidiamo di negare la differenza sessuale oppure la traduciamo in cultura e in orizzonte di senso?».
L’emancipazione femminile è stata spesso associata alle battaglie a favore del cosiddetto diritto alla Salute riproduttiva (anticoncezionali, aborto, etc). La maternità in quest’ottica appare più un fardello che un aspetto caratterizzante l’identità femminile e una responsabilità da condividere con gli uomini. Non crede?
«Il femminismo delle teorie gender è certamente legato al controllo della fertilità, non solo nel senso della negazione della maternità, ma anche in quello della libera e solitaria scelta di riprodursi oltre ogni vincolo naturale. Nella cultura attuale, infatti, è in atto una dissociazione crescente fra sessualità e generazione, per mezzo delle tecniche di fecondazione assistita che ridisegnano gli scenari della filiazione. Se, da una parte, la sessualità è stata separata dalla generazione, mediante l’uso dei contraccettivi, dall’altra, si è arrivati ad accettare la procreazione senza sessualità, attraverso la separazione fra legame coniugale e generazione dei figli (nella fecondazione eterologa) e fra generazione dei figli e cura dei figli (nella maternità surrogata o nella donazione di seme o ovociti). Da parte femminile, si vuole riprodursi a prescindere dal legame col padre del bambino; da parte maschile, c’è la volontà di appropriarsi delle creature che lei porta in grembo, grembo del quale – nella pratica della maternità surrogata – lui paga l’uso. Si svuota la figura paterna e, al contempo, si comincia anche a sganciare la funzione materna dal corpo della madre. La parte più critica della questione gender è proprio quella legata alla generazione».
La battaglia per i diritti delle cosiddette minoranze sessuali gioca a vantaggio dei diritti delle donne?
«Nei gender studies gli individui non entrano nel gioco sociale come uomini e donne, ma come beneficiari di diritti sessuali e riproduttivi. Secondo questa prospettiva, ciascuno è uguale a ogni altro, perché più radicalmente è genere a sé. In realtà, questa cultura penalizza in vario modo le donne. Lo stesso termine donna scompare dai documenti internazionali e dalla letteratura scientifica, risucchiato nel neutro “genere” (parità di genere, violenza di genere, discriminazione di genere), come se “donna” fosse una parola ancora scandalosa da pronunciare. In secondo luogo le donne sono ridotte alla funzione riproduttiva. L’utero in affitto ne è la manifestazione più spaventosa oltre che un pericolo di caduta del nostro livello di civiltà. Senza contare che i diritti riproduttivi sono modellati sul volto dell’individuo occidentale benestante, a fronte di una massa di donne povere e invisibili, del cui corpo (e delle cui creature) ci si vuole appropriare».
Parlando di “donna” contestualmente al tema gender, a livello globale restano irrisolte grandi sfide come i diritti negati in alcuni paesi dove ad esempio vige la legge islamica. In altri contesti, anche occidentali, permane una concezione di inferiorità della donna e si registrano frequenti casi di abusi e violenze. È duro a morire poi il modello della donna usa e getta e si assiste, talvolta passivi, alla mercificazione del corpo attraverso la prostituzione, la pornografia o, lo ricordava, l’utero in affitto. Con quale approccio affrontare un così ampio ventaglio di problematiche?
«Penso sia indispensabile un cambiamento di cultura, al cui centro non ci sia la solitaria affermazione di sé, ma la cura comune del mondo e in particolare dei piccoli del mondo. Dovremmo promuovere delle pratiche relazionali che rispettino il limite della sessualità e l’indisponibilità dell’altro. Se ci si pensa bene, la differenza sessuale rappresenta il luogo privilegiato dove si acquista la coscienza positiva del limite e dove si incontra il mistero dell’altro. Credo perciò che la “questione del nostro tempo”, quella che può innalzare il livello di civiltà, sia precisamente la relazione con l’altro sesso (nelle professioni, in politica, nella Chiesa, etc.). In un tempo di fragilità dei legami, occorre anche rendere credibile la simbolica dell’alleanza, un’alleanza fra due che sono capaci di fronteggiarsi, ma anche di incrociare alla pari i loro sguardi».
A livello educativo, come proporre alle nuove generazioni il tema della promozione della donna? È possibile parlare ancora di natura e complementarità-reciprocità uomo-donna?
«A me pare prioritario insegnare alle ragazze e ai ragazzi a prendere contatto coi propri vissuti profondi, a nominare ciò che provano e ciò che li spaventa, per imparare a governare il mondo emotivo e dare un limite e un compito alla propria libertà. È importante far loro comprendere la densità e lo spessore relazionale del corpo. Si impara così che l’uomo e la donna sono il segno, l’uno per l’altro, di una parola imprevedibile: (a) la loro vita fisiologica ha ritmi e qualità specifiche – la sessualità di lei è ciclica e si prepara al tempo lungo e pieno della gestazione, quella di lui è breve e intensa, passa per l’accelerazione del desiderio; (b) diverso è il contributo nella generazione – la madre porta il figlio (come altro in sé), il padre non lo porta, ma lo attende (come sé in altro); (c) diverso è l’essere nati donna da una donna (il che implica un livello di identificazione col corpo che genera) o uomo da una donna (che accentua il senso dell’alterità). Il corpo ha una sua pedagogia che vale la pena di ascoltare».
Paolo Ondarza
paolo.ondarza@gmail.com