Privazioni, perdite, sconforto, ma c’è anche la forza, la determinazione attraverso le quali si vincono le sfide più dure. La donna migrante sa di possedere una forza interiore, che si chiama “resilienza”, solo così riesce a superare la propria condizione di fragilità, mettendo in campo tutta la sua forza e l’orgoglio per integrarsi in tutti gli ambiti, sia lavorativi che relazionali.
«Voglio essere io a dire come mi chiamo», rivendica Geneviéve P., una migrante camerunense. La prima lotta è la lingua, un modo per riconoscersi e prendere possesso di se stessi. Di qui il desiderio impellente di scrivere per dare un ordine e un senso alle esperienze vissute.
La letteratura dà loro voce. Una voce che racconta di fughe dalla guerra e dalla miseria, di sacrifici e stenti, ma anche di quotidianità e conquiste. Di maternità, vissuta lontano dagli affetti e dalle tradizioni, d’identità perdute, di aspettative e delusioni, di coraggio e riscatto sociale. Ricordano la vita, gli usi e costumi del paese d’origine, parlano della loro realtà quotidiana, con le fatiche e le speranze di donne e di madri.
«Abbiamo qualcosa dentro il cuore, però non sappiamo come dirlo,
come spiegare a voi per farvi capire quello che sentiamo».
In questo cambiamento esistenziale, dopo aver sperimentato una duplice forma di esclusione, per il loro essere donne e straniere nello stesso tempo, le donne migranti vedono nella scrittura lo strumento più adatto a testimoniare la consapevolezza di un’identità diversa e più dignitosa. Tante le storie e varie, ciò che le accomuna è il percorso di liberazione interiore e di presa di coscienza della propria diversità e ricchezza. La narrazione nasce dal bisogno di non perdersi, di salvare anche ciò che si è lasciato dietro e diventa un’opportunità per uscire dal silenzio e per parlare, come soggetto femminile, rivelandosi apertamente e rielaborando il trauma della migrazione. «Oggi forse non ammazzo nessuno». È il titolo del racconto autobiografico di Randa Ghazy, giovane musulmana. Con un linguaggio fresco e giovanile, affronta in modo diretto e ironico, i pregiudizi della disinformazione, qualunquismo e ignoranza, con cui gli immigrati devono fare i conti. Jasmine, la protagonista, è di origine egiziana (come l’autrice), è una ragazza di vent’anni, in cerca di identità, insofferente sia alle imposizioni della propria cultura d’origine, che ai luoghi comuni sugli arabi, tipici dei suoi coetanei occidentali. Ha a cuore la sua religione e i valori della sua famiglia, ma continua a cercare una mediazione con lo stile di vita della sua quotidianità di studentessa occidentale. I diffusi pregiudizi sull’Islam non le rendono la vita semplice.
Il racconto esistenziale attraverso la scrittura letteraria restituisce alle donne migranti la dignità e il coraggio per cercare, in autonomia, il senso del proprio essere nel mondo e il significato di un’identità di donna e immigrata.
Si abbattono muri, ma il flusso delle donne migranti non si arresta! È necessario pensare a nuove politiche, a interventi di integrazione, a una pastorale migrante che le accompagni lungo tutto il percorso di piena integrazione e realizzazione sociale.
Gabriella Imperatore
gimperatore@cgfma.org