Per molti sembra inutile, inconcludente affrontare questi problemi con una marcia della pace e della fraternità. Per tanti è solo un altro modo per tirarsi fuori e restare comodamente seduti nel proprio giardino di privilegi e illusioni. La verità è che ci sentiamo in pace, mentre c’è la guerra. Una guerra vera, anche se molto diversa da quelle del passato. Una guerra mascherata di pace. Una guerra combattuta in gran parte da altri, lontano da noi, che ci consente di pensare ai fatti nostri, al nostro tornaconto, a ciò che c’interessa e ci conviene.
Ogni tanto una foto, un’immagine, un attentato, una tragedia, un fatto ci colpisce e abbiamo un soprassalto di consapevolezza, di coinvolgimento. Ma dura poco. Ciascuno è interessato ai fatti che lo coinvolgono direttamente, sul momento. I fatti che hanno un impatto sul medio o lungo periodo o che non ci coinvolgono immediatamente, vengono costantemente rimossi o cancellati dalla nostra agenda. Per egoismo, per indifferenza o per ignoranza. Perché è diversa la prospettiva. Questo è tempo di chiusure. Non solo di frontiere. Non alziamo più la testa dal pezzettino di terra che calpestiamo. Chiudiamo gli occhi sul mondo, mentre il mondo diventa sempre più interconnesso e interdipendente. Chiudiamo gli occhi sul futuro, perché continua a sorprenderci e c’inquieta. Non c’è niente che possa competere con le cose che ci occupano o preoccupano, qui e ora. Rimaniamo schiavi di un sistema mediatico che accende e spegne le nostre attenzioni con la stessa velocità con cui cambiamo il canale della televisione.
Nel frattempo, i fatti si muovono, si susseguono, si moltiplicano, si complicano modificando rapidamente la realtà, sconvolgendo le nostre convinzioni, costringendoci a fare i conti con problemi sempre più difficili e complessi.
Di fronte a questa realtà schiacciante, partecipare ad una marcia della pace e della fraternità vuol dire vincere l’indifferenza, la rassegnazione, la sfiducia, recuperare la capacità di pensare, di agire e non solo re-agire, di farlo assieme e non da soli.
Non c’è un cammino per la pace. La pace è il cammino” (Mahatma Gandhi).
Riconnetterci con il dolore del mondo, di tutte le persone che stanno agonizzando per la fame, la sete e la mancanza di cure, di quelle che sono martoriate dalle bombe, dai disastri naturali, di quelle che cercano di scappare, di quelle che perdono il lavoro, che non riescono a trovarlo, delle donne abusate, violentate…tocchiamo il dolore profondo della vita, perché ci rende tutti più umani. Accendere i riflettori sulle tante cose positive che succedono, le cose semplici che moltissime persone fanno senza aspettare qualcun altro, i tanti modi in cui si fa “pace”, i tanti piccoli passi quotidiani verso una società di pace. Investire sui giovani e sulla formazione per essere cittadini consapevoli e responsabili in un mondo globalizzato, interconnesso e interdipendente, in continuo e rapido cambiamento. Fare pace a km 0. Imparare a fare pace nelle cose che facciamo, nei luoghi in cui operiamo, nelle nostre comunità e territori: prenderci cura gli uni degli altri e dell’ambiente, lottare contro ogni forma di violenza e di esclusione sociale, organizzarci per accogliere chi arriva da altri mondi, costruire un’economia solidale…nella convinzione che tutto quello che faremo per la pace in noi, nelle nostre comunità e città, contribuirà alla costruzione della pace nel mondo.
È questa la speranza che coltiviamo: insieme e in cammino, la pace è possibile!
Gabriella Imperatore,FMA
gimperatore@cgfma.org