Voci e volti, non solo originali copricapi. I rappresentanti dei popoli indigeni al Sinodo sono persone che portano nel cuore della Chiesa universale il grido di dolore dei popoli dell’Amazzonia, una regione che oltre ad essere uno dei territori di maggiore biodiversità al mondo, è anche il luogo in cui l’esistenza di molte culture è minacciata da interessi economici. “È indispensabile prestare speciale attenzione alle comunità aborigene con le loro tradizioni culturali. […] Per loro, infatti, la terra non è un bene economico, ma un dono di Dio e degli antenati che in essa riposano, uno spazio sacro con il quale hanno il bisogno di interagire per alimentare la loro identità e i loro valori” (cf. Laudato Si’).
L’Amazzonia è un segno forte dei tempi, è una regione ricca di diversità non solo biologica, ma anche culturale. Nei suoi 7,8 milioni di chilometri quadrati si concentrano le grandi sfide globali, dalla crisi socio-ambientale al dramma delle migrazioni forzate, alla convivenza tra culture e religioni differenti. L’ascolto dell’Amazzonia «nello spirito proprio del discepolo e alla luce della Parola di Dio e della Tradizione, porta a una profonda conversione, dei nostri schemi e strutture, a Cristo e al suo Vangelo», per questo la Chiesa sceglie la «difesa della vita, della terra e delle culture originarie amazzoniche» (cf. Documento Finale n. 78).
«La natura ci avvicina di più a Dio.
Ci avvicina guardare il volto di Dio nella nostra cultura, nel nostro vivere.
Noi come indigeni viviamo l’armonia con tutti gli esseri viventi.
Abbiamo i nostri riti, però essi devono incardinarsi nel centro che è Gesù Cristo».
Occorre un’educazione integrale che ristabilisca la connessione tra l’uomo e l’ambiente, formando individui in grado di prendersi cura della casa comune, in nome della solidarietà, della coscienza comunitaria e della “cittadinanza ecologica”. La Chiesa è missione e l’azione missionaria è il paradigma di tutta l’opera della Chiesa. In Amazzonia, occorre andare incontro a tutti; essere “maddalena”, ossia amata e riconciliata per annunciare con gioia Cristo Risorto; essere “mariana”, cioè generatrice di figli alla fede e “inculturata” tra i popoli che serve. Occorre rafforzare una cultura del dialogo, dell’ascolto e del discernimento spirituale, rispondere alle sfide pastorali, perché si attui la conversione sinodale a cui la Chiesa è chiamata per avanzare in armonia, sotto l’impulso dello Spirito vivificante e con audacia evangelica (cf. Documento Finale n. 15).
Il “Buon vivere” e “fare bene” è lo stile di vita proprio dei popoli amazzonici, vivere in armonia con se stessi, con gli esseri umani e con l’essere supremo, in un’unica intercomunicazione tra tutto il cosmo, per forgiare un progetto di vita piena per tutti. “La difesa della terra è la difesa della vita” e si basa sul principio evangelico della difesa della dignità umana e del rispetto dei diritti umani.
“Il grido dei poveri è il grido di speranza della Chiesa” (Papa Francesco).
Una vita tra gli Shuar
Il Sinodo riconosce con ammirazione coloro che annunciano il Vangelo e lottano, anche a rischio della propria vita, per difendere i poveri dell’Amazzonia (cf. Documento Finale n. 16).
Suor Maria Troncatti nasce a Corteno Golgi a Brescia (Italia) nel 1883. Il 19 settembre 1914 celebra la Professione Perpetua e nel 1922 è inviata missionaria in Ecuador. Suor Maria si è distinta per il dono gioioso di sé e la dedizione generosa ai più poveri, tra gli indigeni dell’Amazzonia ecuadoriana. Il 24 novembre 2012 è beatificata a Macas in Ecuador.
Non c’è nulla che attiri come la testimonianza dello spendersi senza risparmio, senza misura, senza condizioni; non c’è nulla che affascini tanto come il servizio ai più poveri, ai più umili, ai più bisognosi. I gruppi Shuar e Achuar, che Suor Maria serviva, richiamano l’offerta gratuita della sua vita di religiosa: donna di grande umanesimo, di una fede robusta e gioiosa, di un’esemplare passione apostolica, che la rendeva serva di tutti. Nella selva amazzonica dell’Ecuador si è fatta “medico” per i corpi e per le anime: mentre curava e soccorreva i fratelli e le sorelle, evangelizzava, annunciando e testimoniando a tutti l’amore infinito del Padre e la tenerezza materna di Maria Ausiliatrice. Dovunque passava, si rivela incomparabile interprete della bontà di Gesù, segno ed espressione del suo amore. Era la madrecita sollecita e coraggiosa nell’aiutare tutti.
In ogni attività, sacrificio o pericolo, si sentiva sorretta dalla presenza materna di Maria Ausiliatrice. «Uno sguardo al Crocifisso mi dà vita e coraggio per lavorare»: questa era la certezza della fede che la sosteneva, e che non la dispensava dalla sofferenza. Il segreto di tanto donarsi? La preghiera! L’attenzione ad una Presenza che le dava la forza per rimanere nell’amore.
L’amore di suor Toncatti per il popolo Shuar moltiplicava il suo spirito d’iniziativa, e non si arrendeva di fronte a nessuna difficoltà, tanto da offrire la propria vita per la pacificazione tra Shuar e coloni, dopo che un incendio doloso, dovuto a diversi episodi di minaccia, distrusse buona parte della missione, mandando in fumo sacrifici di molti anni. Il 25 agosto 1969, mentre partiva da Sucúa a Quito per gli Esercizi Spirituali, il piccolo aereo su cui viaggiava precipitò al momento del decollo e lei fu l’unica vittima! La Beata Maria Troncatti è un esempio di “santità” della porta accanto, nelle piccole cose di ogni giorno giunge alla “misura alta della vita cristiana”, alla pienezza dell’amore. La sua missionarietà, è la sua passione apostolica, nutrita da una profonda vita interiore, da una immensa carità e da una spiccata umiltà.
Gabriella Imperatore, FMA
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