La Prof.ssa Lorella Congiunti, Docente di Filosofia della Natura alla Pontificia Università Urbaniana di Roma dice: «É importante educare i giovani al rispetto reciproco, alla scoperta della differenza sessuale, alla complementarità»
Per la Professoressa “la presenza delle donne in ogni ambiente non femminilizza ma umanizza, così come la presenza degli uomini non maschilizza ma umanizza, perché la pienezza dell’umano sta nella presenza di entrambi”.
Lorella Congiunti è membro del Comitato Scientifico del Diploma in Donne e Chiesa, istituito presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. È “un percorso fecondo di studio e di riflessione, di incontro e di dialogo, di apprendimento e di discernimento”, che, con il contributo di esperti e testimonianze da tutto il mondo, “è consapevole che la complessa questione del ruolo della donna nella Chiesa richiede un approccio multidisciplinare: teologico, filosofico, psicologico, sociologico. Il filo conduttore sono i quattro verbi indicati da Papa Francesco: “comprendere, rispettare, valorizzare e promuovere”.
Quali sono le sfide antropologiche che la Chiesa oggi si trova ad affrontare nell’educare i giovani all’alterità uomo – donna?
«Tante e diverse: in alcuni contesti è dominante la questione del dovuto riconoscimento della dignità femminile, della sua libertà di scelta, del suo diritto alla educazione; in altri invece la rivendicazione dei diritti delle donne è sfociata in una aperta guerra al mondo maschile; ci sono poi quei contesti in cui la differenza sessuale viene negata o addirittura demonizzata. Per tutte queste sfide la Chiesa ha una parola illuminante. In un discorso del 2015, Papa Francesco ha ricordato il paradigma filosofico fecondo per la interpretazione della differenza uomo-donna: «quello della reciprocità nell’equivalenza e nella differenza. La relazione uomo-donna, dunque, dovrebbe riconoscere che entrambi sono necessari in quanto posseggono, sì, un’identica natura, ma con modalità proprie. L’una è necessaria all’altro, e viceversa, perché si compia veramente la pienezza della persona». Questo paradigma è capace di superare il modello della subordinazione «un modello secolare che, però, non ha mai esaurito del tutto i suoi effetti negativi» ed il modello della «pura e semplice parità, applicata meccanicamente e dell’uguaglianza assoluta». Quanto al paradigma del gender, su cui si è recentemente espressa la Congregazione dell’Educazione Cattolica, è bene ricordare che già nel 2004 l’allora Card. Ratzinger manifestò la sua preoccupazione per l’«oscurarsi della differenza o dualità dei sessi». La Chiesa è maestra di umanità perché affronta la questione del rapporto uomo-donna entro una visione antropologica in cui ogni problematica può trovare una sua collocazione. Certamente, spesso la Chiesa è una voce solitaria e contro corrente, ma questo è ricorrente nella dinamica dell’annuncio, annuncio che è efficace quando è accompagnato dall’ascolto delle problematiche e dalla condivisione delle sofferenze».
Come la Chiesa promuove il genio femminile?
«Come ricordava Giovanni Paolo II nella Lettera alle donne, «la strada del pieno rispetto dell’identità femminile non passa solo per la denuncia, pur necessaria, delle discriminazioni e delle ingiustizie, ma anche e soprattutto per un fattivo quanto illuminato progetto di promozione, che riguardi tutti gli ambiti della vita femminile». Ciò che manca, sottolinea spesso Papa Francesco, è un autentico cambiamento della mentalità soprattutto maschile. C’è una sorta di resistenza interiore nell’accettare la promozione dei ruoli femminili. Del resto, come in ogni questione antropologica, le criticità provengono dalla perdita della integralità: unilateralizzazione, dualismi, separazioni di quanto nella realtà è unito, equiparazioni di quanto è differente. Così assistiamo alle tentazioni di spiritualismo, legato a una velata condanna della fisicità, con un eccesso di metaforicizzazione poetica dei termini di sposa e madre e alle tentazioni del perdurante maschilismo, ovvero nei termini di papa Francesco una perdurante considerazione del ruolo della donna in termini di “servidumbre”.
A questo si contrappone spesso un’acritica rivendicazione di identiche funzioni: invece come ricorda Papa Francesco «non bisogna confondere la funzione con la dignità» e occorre compiere “scelte rischiose, ma come donne”».
Cosa rispondere a questa sfida secondo un’ermeneutica di continuità?
«Un’ermeneutica della continuità impone che non si perda la ricchezza dei ruoli femminili naturali e tradizionali, quali quelli di moglie e di madre, e nello stesso tempo si permetta alle donne di avere un ruolo sociale al pari degli uomini.
La prospettiva tradizionale della valorizzazione del ruolo delle donne nella famiglia e nei contesti educativi, può essere rilanciata in modo più forte in termini ecclesiali, per esempio elaborando una più forte teologia del matrimonio e una maggiore valorizzazione del ruolo della famiglia nella “evangelizzazione”. Sarebbe interessante operare un sistematico approfondimento dei ruoli familiari come modello di relazioni per la Chiesa. Una riflessione concreta sui ruoli familiari femminili (moglie, madre, figlia, sorella) inevitabilmente connessa a una riflessione sui ruoli familiari maschili (marito, padre, figlio, fratello) offre concreto materiale per determinare il ruolo della donna. Nel linguaggio stesso della Rivelazione, le relazioni familiari sono il modello di ogni relazione. La relazione sponsale, modello di relazione complementare, ad esempio è la modalità con cui la Rivelazione manifesta il rapporto tra Dio e le sue creature, tra Cristo e la Chiesa. La relazione sponsale si propone come modello analogico di relazione complementare anche tra i membri della Chiesa; complementarità da stabilire senza formule fisse e con flessibilità. Come in una coppia è assai difficile stabilire a priori quali saranno gli atteggiamenti maschili e quelli femminili, e si tratta di sfumature che trovano il loro significato nella coppia stessa, a partire dal limite invalicabile secondo il quale solo la donna naturalmente concepisce, è gravida, partorisce, allatta; così analogamente anche per i ruoli nella Chiesa sarebbe meglio evitare eccessivi schematismi di cosa sia maschile e cosa sia femminile, a partire dal limite invalicabile che in questo caso non è naturale ma di ordine sacramentale: solo gli uomini vengono ordinati sacerdoti, come ribadito da Papa Francesco. Il limite serve a dare una struttura alla complementarità, che rimane un risultato, ma non un risultato qualunque, seguendo un ordine della natura e della Grazia».
Il volto materno e femminile della Chiesa può contribuire a contrastare clericalismo e clericalizzazione del laicato?
«Il clericalismo e la clericalizzazione del laicato si fondano su un fraintendimento del ruolo del clero, spesso si tratta di ignoranza, o addirittura di mancanza di fede. Sarebbe importante sottolineare, a partire dalla Christifideles Laici, “il valore ecclesiale della complementarietà delle vocazioni e condizioni di vita, dei ministeri, dei carismi e delle responsabilità. Grazie a questa diversità e complementarità ogni fedele laico si trova in relazione con tutto il corpo e ad esso offre il suo proprio contributo”».
Sul principio della complementarità e sul modello delle relazioni familiari uomo-donna si può fondare la corresponsabilità pastorale, antidoto al clericalismo e alla clericalizzazione. Occorre poi ribadire il valore degli ambienti misti, della presenza della donna in tutti gli ambienti, innanzitutto di formazione, a partire dai Seminari.
Cosa la generatività femminile può insegnare alla Chiesa?
«Penso sarebbe importante sottolineare una sorta di “carisma delle relazioni” peculiare della donna. Papa Francesco sottolinea che la Chiesa è donna, ovvero la cura della relazioni che tengono insieme la Chiesa è di ordine femminile. La finalità del Diploma Donne e Chiesa è proprio questa. La prof.ssa Marta Rodriguez ha detto: “non vorrei che questo diploma fosse un successo, vorrei fosse fecondo”: una splendida applicazione di cosa la generatività femminile possa insegnare: non la ricerca del successo, ma della fecondità”».
Paolo Ondarza
paolo.ondarza@gmail.com