Giovani resilienti

La storia di Haifa è una di quelle che ti segnano, ti interrogano prepotentemente e ti lasciano riflettere. Haifa è una giovane ragazza musulmana, immigrata e senza punti di riferimento. Ha vissuto la sua vita molto velocemente ed è diventata grande in fretta, stringendo forte la sua bambola di pezza; è in lei che si è rifugiata quando con la sua famiglia si sono imbarcati in Libia e hanno affrontato le onde del Mediterraneo su un peschereccio di legno.

Haifa adora il silenzio e la lettura, per questo tutti i pomeriggi si reca presso la biblioteca civica, dove svolge servizio di volontariato per insegnare l’italiano agli stranieri. Mentre le davo una mano nello studio ho conosciuto la sua tormentata storia di figlia di migranti. Il primo esodo l’ha portata dal Marocco all’Italia; poi nuovamente in Marocco, dove è rimasta per sette anni con il rammarico di lasciare la scuola, i compagni e le maestre con cui si trovava bene, cosa facile quando si è bambini.

Nel 2017 un terzo esodo l’ha riportata in Italia. “Tutto è stato più difficile – racconta – una strada in salita e piena di sassi”. Si iscrive presso un Istituto Tecnico con una connazionale sua vicina di casa, una stanza al piano terra, ex bottega, senza riscaldamento e con i servizi nel cortile, dove viveva con la sua famiglia. Si rese presto conto che la scuola scelta era troppo difficile, a partire dalla lingua, e anche farsi degli amici sembrava complicato.

«Ero isolata, alcuni compagni mi dicevano di tornarmene al mio paese: mi sentivo morire dentro, senza più fiducia in me stessa, perdente. Poi l’incontro in biblioteca, dove ho capito che il problema non era solo la lingua ma la ricostruzione di un sé smarrito. Insieme abbiamo iniziato un percorso di conoscenza”.

Ecco allora che Haifa intraprende un altro viaggio, quello dentro di sé, difficile, faticoso ma fatto di solidarietà, quella “apertura all’altro che pretendevo solo dagli altri e che invece potevo dare anche io. Educarmi alla solidarietà diventava una sfida, sempre più stimolante, e l’idea di educare ed educarci al mistero dell’altro mi faceva sentire viva. Mi aiutava a trovare il mio posto nel mondo”. Haifa sorride, si porta i capelli scuri, lunghi e ricci, dietro l’orecchio e aggiunge: “L’empatia ci aiuta ad allargare i nostri orizzonti; confrontarci con lingue e culture nuove, ci cambia interiormente ed è proprio quello che mi è capitato».

 

Accoglienza e solidarietà

La sensazione di accoglienza ha portato Haifa a dire ciò che provava e a parlare delle sue paure. Un’accoglienza che è partita da lei, un itinerario di riappacificazione con le sue emozioni che l’ha resa forte, sicura di sé e questo le ha permesso di ri-trovarsi e trovare negli altri la bellezza dell’incontro. Essere solidali significa apprezzare le differenze altrui e intesserle con le nostre peculiarità, mettendole al servizio degli altri, della società.

Haifa ha cambiato scuola e si è iscritta ad un corso di Formazione Professionale Salesiana. E le si è aperto un mondo. Lo stile educativo di don Bosco è stato per lei, ragazza musulmana, terapeutico sotto tutti i punti di vista. Ha iniziato il primo anno con speranze e paure, poi le speranze sono diventate certezze e la paura è scomparsa. Ha conosciuto professori che hanno saputo accoglierla, guardando oltre le sue reali difficoltà. Le persone intorno a lei non si sono occupate solo di trasmettere conoscenze, ma di introdurre cambiamenti migliorativi attraverso la complessità, come attenzione a tutto l’essere umano e l’ascolto sensibile, basato sull’empatia per ottenere il cambiamento.

Haifa si è impegnata molto nel cercare di migliorarsi ed ha raggiunto il traguardo della qualifica. Ora la sua strada è più facile, ci sono meno salite, ha imparato a guardare al futuro con fiducia e ha intrapreso con coraggio un nuovo cammino.

 

Resilienza

Ed anch’io sono cresciuta con lei, anche io ho intrapreso un viaggio dentro e fuori di me, fatto di ostacoli, di salite, di discese e di volti amici. Haifa e tanti altri giovani migranti come lei ci insegnano che la vita è lì fuori, non puoi scegliertela, puoi solo viverla. Tutti abbiamo una bambola di pezza che stringiamo tra le mani, nella quale ci rifugiamo nei momenti di debolezza, quando tutto sembra perduto. Ma gli angeli custodi esistono, basta solo saperli riconoscere lungo il percorso.

Quando lasci ogni certezza, la tua casa, il tuo Paese puoi solo sperare di trovare un luogo accogliente. Non sempre è così scontato, perché educarci ed educare all’accoglienza vuol dire scardinare quella porta della paura, dell’indifferenza, del pregiudizio che manifestiamo senza accorgercene. Quando guardiamo il nostro prossimo con gli occhi dell’indifferenza ricordiamoci di Haifa e di tanti altri giovani come lei, che sono scappati da situazioni di disagio e hanno cercato accoglienza in un altro Paese.

«È stato faticoso ma oggi posso dire di sentirmi italiana al cento per cento, marocchina al cento per cento e soprattutto cittadina del mondo». Haifa sorride spensierata e mentre si allontana mi dice: «In un’epoca storica come questa non possiamo vedere barriere costruite con i pezzi di carta. Ovviamente non è nemmeno un pezzo di carta, da solo, a poter creare l’integrazione ma siamo noi a doverla raggiungere attraverso il dialogo, il confronto e l’educazione: è anche per questo che vorrei costruire qua il mio futuro lavorativo e familiare».

Haifa mi ha insegnato il sacrificio di chi è costretto a lasciare gli affetti, ritrovarli e ricomporli, pezzo dopo pezzo, con pazienza e speranza, lacrime e sorrisi.

Siamo tutti un po’ Haifa, giovani alla ricerca di noi stessi negli occhi e nel cuore degli altri, in questa avventura meravigliosa che è la Vita.

 

Veronica Petrocchi
veronica.petrocchi91@gmail.com

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