Sono resilienti le donne che curano ogni giorno, con lo stesso affetto e con la stessa energia, i loro figli piccoli e i loro genitori anziani, oppure riescono a non fare venire meno la complicità nei confronti dei loro mariti. Sono resilienti le donne che non si avviliscono quando perdono un lavoro, e riescono, come avviene in tante famiglie, a portare avanti situazioni difficili quando il marito finisce disoccupato. E sono resilienti le donne che, per amore, ma con straordinaria lucidità, salvano un matrimonio e una famiglia dalle intemperie dell’infedeltà. Lo fanno con dolore, a volte anche con la consapevolezza dell’affronto subito, ma lo fanno innanzitutto con amore. Di fronte alla tempesta del cambiamento le donne vantano un bagaglio di flessibilità che le rendono imbattibili nell’arte di affrontare situazioni inedite e difficili.
Affrontare i cambiamenti
Andrew Zolli e Ann Marie, nel libro Resilienza, la scienza di adattarsi ai cambiamenti, scrivono: «Immaginate un mare in tempesta, e noi in mezzo a navigare con imbarcazioni che non reggono la violenza della marea. La resilienza è la capacità di immaginare e costruire qualcosa di nuovo, di più adatto alla tempesta che stiamo affrontando. È il non scoraggiarsi di fronte al cambiamento, ma semmai considerarlo un’opportunità. Una virtù che le donne riescono ad applicare quasi in modo automatico». La resilienza è certamente una delle qualità più adatte al periodo di grandi transizioni che stiamo vivendo.
«La resilienza non va confusa con la resistenza» chiarisce Cristina Castelli, Coordinatrice dell’unità di ricerca sulla resilienza all’Università Cattolica di Milano che dal 2013 opera insieme a diverse ONG in contesti internazionali a sostegno di minori, famiglie e comunità vittime di calamità naturali, guerra e migrazione forzata. «Chi resiste e basta, davanti alle difficoltà della vita prima o poi rischia di spezzarsi. La resilienza, invece, ti permette di riprendere il cammino, magari in un altro modo e sotto altre forme».
Quando si subisce una perdita o si rimane vittima di un incidente, si entra nel buco nero della sofferenza, ma esistono strategie per provare a rinascere. «Davanti a un evento tragico ci si sente disorientati e fuori controllo» spiega Elena Malaguti, docente di Didattica e Pedagogia speciale all’Università di Bologna, che per anni è stata accanto ai bambini della Sarajevo in guerra e delle favelas brasiliane. «È importante concedersi del tempo: c’è il momento dei ricordi, dell’accettazione e della riabilitazione, che alimenta la speranza che alcune parti di noi possano comunque andare avanti».
«Flessibilità, creatività, problem solving, persino umorismo: sono questi gli ingredienti che aiutano a diventare resilienti» spiega Cristina Castelli. Così come avere qualcuno o qualcosa che aiuti a consolidarsi: una persona da amare, una passione che aumenti l’autostima. «Perché la resilienza non è Batman: è Robin, la stampella senza la quale vincere sulle avversità sarebbe impossibile».
A testa alta nonostante tutto
Sarà perché hanno insito in loro l’istinto di conservazione della specie. Oppure perché sono state protagoniste di pagine fra le più difficili nella storia dell’umanità. Forse, più semplicemente, sarà perché le donne sono consapevoli di rivestire, in questo Nuovo Millennio, un ruolo diverso, speciale, determinante. Sta di fatto che l’attitudine alla resilienza, che sempre più donne contemporanee dimostrano di possedere nell’affrontare la vita, sembra il risultato di un’anima d’acciaio – forgiato dal tempo – di cui oggi più che mai ci si ritrova tutte preziosamente equipaggiate. Un’anima che esorta a reagire positivamente di fronte alle difficoltà e agli eventi traumatici, che incita a non lasciarsi sopraffare, a non “spezzarsi”, ma ad affrontare la sofferenza facendo leva sul sorriso e sulla creatività, tirando fuori il meglio di sé.
È così: le donne contemporanee si dimostrano “campionesse di resilienza” perché sanno e vogliono guardare al futuro sempre e comunque con positività. Hanno la capacità, tutta femminile, di saper conciliare emozione e ragione, e la flessibilità, con cui sono in grado di reimpostare le loro vite di fronte agli eventi, rappresenta un tratto decisivo verso una svolta socioculturale essenziale. È vero, questo rende il mondo delle donne anche più fragile, soggetto a una messa a punto continua. Ma gli spiriti resilienti sanno che il pallino del gioco è in mano loro. E, proprio come ha insegnato Wondy, vogliono giocarsela al meglio e a testa alta questa partita con la vita.
Wondy è il nomignolo che da sempre gli amici le davano (Wondy da Wonder Woman) con cui Francesca Del Rosso, scrittrice e giornalista, morta nel dicembre 2016 dopo una lunga battaglia contro il cancro, firmava i post del suo blog sul sito di Vanity Fair intitolato Le chemio avventure di Wondy, dove raccontava con ironia e positività la sua esperienza di malattia. Da quel blog di successo nacque, nel 2014, un libro che fu un piccolo caso editoriale. E proprio al mondo dei libri – grande passione di Francesca – è legata l’associazione culturale “Wondy sono io”, fondata dal marito, il giornalista Alessandro Milan, con l’obiettivo di diffondere la cultura della resilienza attraverso eventi e iniziative concrete, come l’attivazione del Premio di Letteratura Resiliente.
Protagoniste di pace e di vita
Ad ogni latitudine geografica le donne sono sempre più attive protagoniste dei processi di ricostruzione e di «resilienza» nelle aree di conflitto e negli scenari di post conflitto, ma anche nelle realtà sociali in cui, dietro l’apparente normalità, si profila la disgregazione, lavora l’instabilità o si accanisce la crisi economica con tutte le sue conseguenze. Le donne resilienti sono ovunque, dove si vive in pace e dove si subisce la guerra; nelle sfide grandi e nei sacrifici minori e costanti. Le donne sfidano le avversità per natura, vocazione e destino e dimostrano una straordinaria capacità di resilienza, qualcosa di più della semplice forza di sopravvivenza, qualcosa che comprende e supera la resistenza, rispetto ad eventi traumatici o a calamità di varia natura; è la forza di ricostruire se stesse, la propria famiglia, la comunità di appartenenza, ripartendo dalle radici o da ciò che è rimasto di vivo e vitale per disegnare l’avvenire. Per riportare la vita dove è passata la morte, per continuare a far nascere, crescere e generare vitalità; per riannodare i fili e tessere la trama di qualcosa che è stato spezzato.
Protagonista di vita e di pace è Cacilda Massango, mozambicana, si è scoperta sieropositiva e madre di una bambina malata. È attivista di “Eu Dream”, un movimento in difesa del diritto alla salute e all’accesso gratuito alle cure per i malati di Aids. Ha sostenuto centinaia di donne sieropositive aiutandole a ritrovare un ruolo centrale nella famiglia e nella società. Come lei, anche la mauritana Aminetou Ely ha tratto forza per l’impegno sociale da una storia difficile, nata in una famiglie feudale, è stata costretta a sposarsi a soli 13 anni. Ha fondato l’Associazione delle Donne Capi Famiglia (Afcf), che combatte contro le violenze domestiche e sessuali, la schiavitù e la tratta, e ha dato una seconda occasione a 100mila donne. Infine, l’astrofisica Francesca Faedi impegnata contro il gender gap e a incoraggiare giovani donne allo studio di materie scientifiche.
Mara Borsi fma
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