Beato Tito Zeman, (1915-1969), Salesiano sacerdote. “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3,16). Fu nell’ascolto di questa Parola di Dio durante la celebrazione dell’Eucaristia che Tito Zeman sentì nel cuore l’ispirazione e la forza di sacrificare la propria vita per la salvezza delle vocazioni, vincendo la paura e dichiarandosi pronto a seguire fino in fondo la volontà di Dio, confidando nella divina misericordia e sperando nella vita eterna. La sua testimonianza è incarnazione del carisma salesiano nel dare la vita per la salvezza dei giovani, soprattutto accompagnandoli nel cammino della fede e del discernimento e compimento della loro vocazione.
Don Tito Zeman, nato nel 1915 a Bratislava, si trasferisce a Roma dove studia alla Gregoriana ed emette la professione perpetua a 23 anni nella Chiesa salesiana del Sacro Cuore. Nel 1940 viene ordinato sacerdote a Torino. Tornato in patria, iniziano le prime prove. Nel 1950 il regime comunista cecoslovacco vieta gli ordini religiosi e inizia a deportare i religiosi nei campi di concentramento. Don Zeman organizza viaggi clandestini verso Torino per consentire ai giovani salesiani di completare gli studi per diventare sacerdoti. È un grande rischio che affronta con coraggio. Al terzo viaggio è scoperto: viene arrestato, subisce un duro processo, durante il quale è descritto come traditore della patria e spia del Vaticano. È a un passo dalla condanna a morte. Il tribunale comunista gli infligge 25 anni di prigione. Esce nel 1964, dopo 12 anni di reclusione, durante i quali subisce torture e privazioni di ogni tipo. Ma il fisico è ormai debilitato e la salute compromessa: muore a 54 anni. “Anche se perdessi la vita – aveva detto – non la considererei sprecata, sapendo che almeno uno di quelli che ho aiutato è diventato sacerdote al posto mio”.
Ven. Ottavio Ortiz ArrietaOctavio Ortiz Arrieta
La santità riconosciuta o in via di riconoscimento, da un lato è già realizzazione della radicalità evangelica e della fedeltà al progetto apostolico di Don Bosco a cui guardare come risorsa spirituale e pastorale, dall’altro è provocazione a vivere sia il lavoro come «mezzo di santità», sia la temperanza come condizione indispensabile per la santità, perché generatrice di quella libertà dello spirito che rende disponibili per l’amore sino all’estremo.
Gabriella Imperatore, FMA
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