Questi medium sono fruibili su più di un dispositivo (ebook, piattaforme RaiPlay o podcast dei programmi radiofonici, reperibili sul Web), e hanno favorito lo sviluppo della Comunicazione massmediatica, che ha nel tempo radicalmente modificato anche la pubblicità.
A sorpresa, ad esempio, gli account social del videogioco Fallout, hanno condiviso una campagna per annunciare l’arrivo di una serie tv ispirata alla saga su Amazon Prime Video. Fallout, una saga di videogiochi ambientati in un futuro post-apocalittico tra il XXII e il XXIII secolo, approda sul piccolo schermo e segue le orme di The Last of Us e Cyberpunk 2077.
Questa somiglianza ha dato grande spazio alle industrie per allargare il mercato dei loro prodotti. Si pensi alle piattaforme di streaming, come Netflix per i film e l’Xbox Game Pass per i videogiochi che stanno ottenendo un enorme successo, tanto che si pensa avranno una evoluzione tale da poter soppiantare in futuro i vecchi sistemi di distribuzione. Le somiglianze tra i due medium si rispecchiano anche nella produzione, ad esempio a partire dai budget investiti per la loro realizzazione. È evidente che un film può arrivare ad avere costi elevati a causa dell’addizionarsi dei fattori implicati nella produzione (i cachet degli attori famosi, gli spostamenti della troupe, l’allestimento delle location, il lavoro di postproduzione e distribuzione e via dicendo); da parte sua, l’industria videoludica sta cambiando perché un videogioco necessita del lavoro di centinaia di professionisti, e di notevoli investimenti per diventare un prodotto di qualità e stare sul mercato.
Il videogioco è «un medium che è al tempo stesso rappresentazione e azione, pratica di lettura e pratica configurativa, comunicazione ed evento, mediazione e performance» (Rune Klevjier, Ricercatore videoludico).
Evoluzione
Cinema e videogioco possiedono caratteristiche in comune nel loro sviluppo. Nei primi anni di vita, il cinema era finalizzato ad una forma d’intrattenimento popolare. La trasformazione sociale e stilistica dal “cinema delle attrazioni” al “cinema narrativo” è perciò affine all’idea di videogioco che da semplice passatempo è diventato più complesso e sofisticato. L’era del “videogioco delle attrazioni” è terminata alla fine degli anni ’90, quando si sono incominciate a sperimentare le capacità comunicative e narrative del medium. Molti riconducono l’origine di questo processo all’uscita di Metal Gear Solid, ma è pur vero che esperimenti del genere erano già in atto con risultati mediamente positivi (il primo Final Fantasy, uscito nel 1987, ne è un esempio). La stessa Metal Gear Saga può essere intesa come un avvicinamento al linguaggio cinematografo, e al tempo stesso Hideo Kojima, suo autore, è stato abilissimo nel progredire con le vie comunicative videoludiche, diventando un artista del settore.
Oggi sembra che questo medium si stia dirigendo verso una forma più autoriale e artistica: lo testimoniano titoli come Death Stranding (sempre di Kojima) o The Last of Us part I, che puntano essenzialmente alla realizzazione di un prodotto che possa emozionare, comunicare, oltre che intrattenere. Se da un lato si constata una vera sperimentazione in questo campo, dall’altro c’è, in numero crescente, una naturale propensione da parte di alcuni videogiochi al discorso cinematografico, mettendo in secondo piano il “gameplay” che, come il montaggio per il cinema, è un tratto distintivo del videogioco. Il videogioco sembra stia integrando le caratteristiche che gli sono proprie (interattività, controllo, immedesimazione) con le strutture estetiche, tecniche e narrative del cinema. È in atto un vero e proprio processo di convergenza e d interscambio tra il cinema e il videogioco. Per dirla con McLuhan risulta evidente come il videogioco abbia incorporato dentro di sé il linguaggio cinematografico rielaborandolo ai propri fini e rendendolo, di fatto, una caratteristica ad esso connaturata, non più prescindibile.
Comunicatività
Ed è l’iconicità della comunicazione a rendere diversi il cinema e il videogioco. Un esempio è l’utilizzo della telecamera. Nella Settima Arte, infatti, si ha una totale privatizzazione dell’immagine in funzione dell’autore-regista, che annulla l’arbitrarietà dell’immagine, come era ed è per il teatro o la scultura, in cui lo spettatore ha la possibilità di scegliere dove guardare. Allo stesso tempo è il collegare le varie inquadrature tra loro, cioè il montaggio, a incidere realmente nel ritmo e a permettere soluzioni visive incidenti e una narrazione forte.
Per i videogiochi, invece, la camera è a diretta disposizione del giocatore. Ovviamente, se da un lato, questo aiuta il processo di immedesimazione, dall’altro sacrifica gran parte dell’espressività dell’autore e quindi della forza della narrazione. È per questo che sono nate nel videogioco le “Cut-scenes”, che permettono, negli attimi clou della trama, di mettere in rilievo le svolte narrative e di sacrificare quella che è la sua componente più iconica: l’interattività. Perché è proprio l’abilità nel saper emozionare, nel giocare con il giocatore che ha reso e rende i videogiochi un medium potente per raccontare storie e in certi casi anche forma d’arte. È la prima vera occasione per il fruitore di un’opera, di interagire con essa, e cambiarla: una possibilità che gran parte delle correnti dell’Arte Contemporanea ha ricercato, rompendo una secolare tradizione tra chi crea e chi osserva.
Se il cinema rientra nella categoria del videogioco, questi possiede l’intrinseca rivoluzionaria libertà di rendere Autori gli spettatori, artefici di un prodotto non loro: è qui la strada che il videogioco può percorrere ed è qui la vera rivoluzione dell’Arte.
Come dunque evolverà la narrazione cinematografica e videoludica? Cinema e videogioco sono destinati ad evolversi, a trarre profitto da uno scambio reciproco, e a rimanere sostanzialmente distinti fra di loro… come due rette paradossali che si avvicinano sempre di più, ognuno con un proprio valore ontologico, ognuno con caratteristiche peculiari.
Andrea Petralia
andrea.petralia95@gmail.com