Dove l’amore ha il suo posto

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“La vita è un dono che si riceve donando se stessi. La gioia più grande è dire, senza condizioni, sì all'amore” (Papa Francesco, Messa della domenica delle Palme, Roma 5 aprile 2020). 

Un appello e un invito a iniziare una riflessione chiudendo gli occhi e prestando attenzione ad un’immagine, ad alcune parole, che si tramandano nel tempo: «Una mattina, incontrando Petronilla all’uscita della chiesa, la condusse in una strada poco frequentata, chiamata il sentiero del giardino, e lì, in piedi davanti a un noce frondoso, le disse: “Ascolta, Petronilla, mi sembra che il Signore voglia che ci prendiamo cura delle ragazze di Mornese. Guarda: tu non hai la forza di lavorare nei campi, e nemmeno io, dopo la malattia. Entrambe sentiamo un forte desiderio di salvare le nostre anime facendo del bene alle giovani ragazze.

Non pensi che se sapessimo cucire, potremmo farcela? Sono determinata a imparare il mestiere di sarta. Vieni anche tu con me”» (Cronistoria, Volume 1, pag. 83)

Maria Domenica, Maín, una giovane donna affronta la realtà: il virus del tifo è arrivato nel suo villaggio, insieme alle conseguenze della guerra: fame, morte, sofferenza. Con la sua fiducia in Dio, diventa un dono per coloro che hanno bisogno di assistenza; ma anche lei si ammala. Sperimenta la fragilità, la mancanza di forze, il bisogno degli altri, il ritorno alla vita da un’altra prospettiva.

Oggi il mondo è sconvolto dalla Pandemia di Covid-19; non importa lo stato sociale, se si è poveri o ricchi, neppure essere professionisti o emarginati. Non importa in quale fase della vita ci si trovi, giovane e anziano, uomo o donna; non importa se si è un artista, un politico, un medico o semplicemente il vicino di casa.

Il virus si è insidiato devastando famiglie, città e paesi; lasciando in tutti incertezze e paure, in attesa di un vaccino che liberi tutti dall’angoscia, aiutando a ritornare alla normalità.

Quale normalità? Quella che troverà l’umanità più vulnerabile e isolata, diffidente e indifferente, che vive il momento presente; quell’umanità che ha perduto la maggior parte di quella generazione che ha costruito la storia.

 

Chiamati a ri-generare

Coloro che seguono Gesù, che hanno creduto nella sua Vita e nelle sue Parole, come la stanno vivendo? E che cosa si aspettano? Per tutti coloro che sono nel mondo, e soprattutto per i cristiani, è tempo di vivere un’esperienza dinamica di rinnovamento, di rigenerazione; è una “nuova umanità” che sta emergendo. È un momento di grande insicurezza su ciò che avverrà, ed è tempo di pensare al presente e al futuro delle nuove generazioni. Bisogna pensare ai giovani e a cosa discernere, anche le finalità della missione cambiano.

Guardando a Maín, si scopre che il progetto di vita personale, dopo l’esperienza del tifo, ha avuto un volto nuovo, alla luce del Progetto di Dio.

Nell’esortazione di Maria Domenica a Petronilla a prendersi cura delle ragazze, viene riassunta una parola che risuona in questo tempo di preparazione al Capitolo Generale XXIV: generatività. E cosa significa? Imparare da ciò che si è vissuto e valorizzarlo, ripensare a nuove strade, far nascere qualcosa di nuovo, risvegliare la passione, l’entusiasmo, dare vita… a questo si è invitati nelle Comunità Educanti: «La generatività ci spinge ad assumere, con i giovani, il nostro carisma specifico nella Chiesa, ad essere gioiosi, a risvegliare il mondo con la nostra testimonianza profetica, ad essere esperti nella comunione, ad uscire da noi stessi per andare alle periferie esistenziali dell’umanità» (Circolare n. 985  In preparazione al CGXXIV)

 

Con i giovani

I giovani, questa parte del Regno di Dio, con la loro esperienza camminano insieme in questo inizio verso le nuove periferie dell’umanità. Anche loro sono sfidati da una “nuova normalità”.

Leticia, è impegnata a contribuire al bene comune: «Dal punto di vista professionale e relazionale, arriviamo già in tempi mutevoli, fugaci, sempre più questa realtà della pandemia ci richiede flessibilità, creatività. Nuovi modi, nei legami e nei progetti, nella vita di coppia, nella vita di comunità, a breve e a lungo termine. Non si possono fissare tante linee guida, bisogna puntare all’essenziale, alle ricerche comuni, per permetterci di essere più spontanei e più autentici».

Valentina riafferma la sua esperienza di fede: «La situazione della Pandemia ci ha sorpreso, non avevamo nulla in mente, non sapevamo come gestirla, ma come giovane che cercava di vivere la parola di Gesù quotidianamente, era un’occasione per fermarsi a pensare a quello che Gesù avrebbe fatto in un momento come questo. Una sfida è stata quella di superare l’incertezza dando valore alla nostra vita e a quella degli altri, ad aver cura di se stessi per prendersi cura degli altri».

Guillermo insiste sulla testimonianza della vicinanza e della speranza: “La sfida come giovani cristiani è quella di non lasciare che queste disuguaglianze ci siano indifferenti, ma, siano una chiamata al bene comune, ad impegnarci per i diritti di tutti. Non possiamo vivere pacificamente questa nuova “normalità” senza cercare di essere “vicini” anche in un tempo in cui la norma è la distanza. Questo tempo ci sollecita a reinventarci per continuare ad essere vicini, per non perdere gli spazi dell’incontro, della missione, anche con nuove forme di celebrazione della fede, di vita, dei sacramenti e di preghiera. Chiediamoci a cosa mi chiama Dio oggi? Cosa mi chiede? E mettiamoci in azione per continuare a camminare “fianco a fianco” con chi ha più bisogno di noi e, quindi, essere segno di Speranza”.

«Si vive intensamente, però, tutto è apprendimento”, così Micaela comincia a condividere, sottolineando l’importanza delle risorse che favoriscono la scommessa sull’umanità: “Cercare Dio nelle reti, cercarlo nei volti dei ragazzi dell’oratorio, del MJS, in ogni persona che bussa alla porta, risveglia anche una speciale sensibilità per l’ascolto attento e paziente, un tenero ascolto di quelle cose che disturbano gli altri, si tratta di questo, imparare a vivere tra on line e off line. Qualunque siano i mezzi, questa pandemia ci ha “dato” la necessità di cercare strumenti per uscire e incontrare l’altro, dando il meglio di noi stessi per continuare ad essere attraversati dalle storie e dalle esperienze dei nostri giovani».

Lo spazio educativo è il luogo privilegiato per promuovere nuove competenze e una nuova solidarietà con la realtà. È da lì che la vita troverà nuove vie per manifestarsi e dove l’amore avrà sempre il suo posto.

 

Maria Baffundo, FMA 
hmariab@gmail.com

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