A partire dalla metà degli anni ’70 le famiglie italiane hanno incominciato ad avere meno figli, quindi un numero di abitanti inferiore agli altri paesi europei, nei quali pure la natalità è in calo. Di fatto la contrazione va correlata alla nuova struttura demografica: la generazione successiva a quella del baby-boom è meno numerosa. Anche il numero di matrimoni che preludono alla decisione di avere figli, è diminuito. A tutto ciò si aggiunge l’elevata emigrazione di giovani altamente qualificati, il calo degli immigrati, l’invecchiamento della popolazione e la minore natalità delle donne straniere.
Il Covid ha moltiplicato le difficoltà, bloccando la produttività e l’economia, riducendo troppe famiglie al lastrico e costringendole a fare la fila alla Caritas. Viene meno, di conseguenza, il desiderio di mettere al mondo figli. Prevedibilmente, più a lungo durerà la crisi e meno figli si vorranno.
La questione non è secondaria. La numerosità della popolazione andrebbe coerentemente valorizzata come il capitale umano più importante, la risorsa vincente. Ne va di mezzo la sostenibilità a lungo termine dello stesso sistema economico e sociale di un paese. Non a caso la Cina con i suoi 1.401.586.000 cittadini, pari a circa il 19,5% della popolazione mondiale, è anche una delle più ricche economie del mondo ed anzi, grazie alla rapida risposta all’emergenza sanitaria dell’impianto produttivo, si calcola che diventerà entro il 2028 l’economia più forte, superando gli Stati Uniti.
Dalla parte della famiglia
Per far fronte al problema, occorre mettersi dalla parte delle famiglie e provare a calarsi nella loro realtà quotidiana. Chi ha famiglia sa quante rinunce, quante limitazioni, quante aspirazioni professionali, artistiche soffocate per impossibilità di conciliarle con la cura dei figli, quanta stanchezza alla fine di ogni giornata senza sapere se si riuscirà a recuperare le forze, specie se si dovrà vegliare la notte cercando di calmare i pianti dei più piccoli.
Eppure avere bambini è per una coppia una meta generalmente ambita, che induce a decidere di metter su famiglia. Significa confermare la maschilità, la femminilità e la fecondità come coppia, assicurarsi l’esultanza delle famiglie d’origine e degli amici, investire in risorse abbondanti aspettandosi una compagnia per tutta la vita. I figli sono la passione dei genitori in entrambi i sensi, per il trasporto affettivo che stravolge la vita dei genitori e per la sofferenza che comporta il loro accudimento lungo tutte le tappe dello sviluppo. Si soffre se ne hanno e se non vengono, se sono troppi, se non si riesce ad accudirli in condizioni e contesti favorevoli. Lei e Lui si domandano come sarà possibile evitare di saltare i fine settimana con gli amici, dimenticare le vacanze, andare all’affannosa ricerca di baby sitter costose e affidabili, in grado di consentire a entrambi di lavorare data la frequente “passione” di notti insonni. Pochi possono contare sulla vicinanza dei nonni, primi trasmettitori della fede e delle tradizioni di famiglia. Per i più, il lavoro allontana dalle famiglie d’origine, quando non separa la stessa coppia tra Nord e Sud. I nonni finiscono con l’apparire degli amorevoli vecchietti da vedere sul cellulare e da cui ricevere dolci per le feste e qualche cibo dal sapore di casa.
Ci sono coppie che deliberatamente scelgono di convivere o formare famiglia senza mettere in programma i figli (childfree). Non sempre si tratta di gaudenti che rifiutano di impegnarsi e vogliono solo assicurarsi il tempo libero. La maggior parte, ben sapendo che i figli assorbono le energie migliori, vuole assicurarsi di non dover rinunciare alla vita sociale, lavorativa, sportiva, politica, artistica, mandando all’aria obiettivi giudicati irrinunciabili per il temperamento di ciascuno. A fronte della dedizione richiesta, le giovani coppie sono consapevoli che i figli non saranno più il bastone della loro vecchiaia: in tempi in cui si è a lungo dipendenti dai genitori e in cui la vecchiaia si prolunga, toccherà piuttosto ai genitori essere il bastone dei figli, ben oltre la giovinezza.
D’altro canto accade sempre più spesso che le coppie che desiderano figli, quando si decidono, non riescono ad averne. Si sposano troppo tardi e rinviano l’esperienza riproduttiva verso età avanzate, per poi prendere atto che l’orologio biologico non fa sconti. Non se la sono sentiti di lanciarsi in un’avventura genitoriale senza almeno un’entrata stabile oppure hanno dovuto seguire un lungo cursus studiorum per essere competitivi nel mercato del lavoro. Realisticamente, i lavoretti proposti oggi ai giovani non danno la possibilità di acquistare un appartamento adeguato alla vita di una famiglia. Le regole bancarie sono poco favorevoli a chi ha un lavoro a tempo determinato e deve puntare sulla sopravvivenza. Le famiglie lottano contro un mercato dell’edilizio che – nella povertà di interventi dell’edilizia pubblica – propone appartamenti sempre più piccoli, generalmente due camere da letto, dove non è possibile sistemare più di due figli né ospitare i nonni. Sono appartamenti poveri di spazi privati all’aperto e spesso anche di cortili condominiali e spazi pubblici nel quartiere, che consentano il gioco, lo sport, la socializzazione. Come non sentire propria la difficoltà di questi giovani che devono far quadrare i loro magri bilanci con la cura costante dei figli, specie, se in periodo di pandemia, restano in casa 24 ore?
In condizioni precarie è prevedibile il timore dell’impatto economico che provocherà la nascita di un figlio, con un aggravio che si protrarrà negli anni molto più a lungo dell’adolescenza. Sarà più probabile cadere in condizioni di povertà assoluta – come di fatto sta avvenendo – specie se si è famiglie numerose e del Sud (l’assegno unico universale – previsto già dal Family act, che partirà da luglio 2021 – va valorizzato e sostenuto anche con le risorse del PNRR). Alla fine del 2020 tra le coppie senza figli il dato sulla povertà assoluta è al di sotto della media (3,6% nel 2019), mentre tra quelle con un figlio è sostanzialmente in linea (6,5%), con un significativo miglioramento rispetto all’anno precedente. Ma anche all’interno di un miglioramento complessivo, la povertà tra i nuclei con due figli resta ampiamente sopra la media (10,6%) e tra quelle con tre o più figli la quota supera addirittura il 20%. Le giovani coppie inoltre sanno che povertà economica ed educativa si alimentano a vicenda e prevedono di non riuscire ad offrire buone opportunità ai figli, i quali da adulti si troveranno più facilmente in condizioni di sotto-occupazione o disoccupazione.
L’impegno socio-politico
Dal punto di vista politico, che senso ha lamentarsi del declino demografico se si fa poco per contrastarlo? Tutti guardano alle nuove generazioni e vogliono potenziare le scuole, le università, la ricerca, ma a che serve tutto ciò se non si creano le condizioni della sostenibilità, ossia l’equilibrio generazionale?
Nelle bozze dell’ultima versione del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” (Pnrr), che segna le linee di attuazione del Next Generation EU, si assumono come priorità strategiche cruciali, concordate a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale. Sono ambiti senza dubbio centrali per lo sviluppo, ma che presuppongono la risorsa primaria, ossia le persone e perciò esigono politiche mirate alle famiglie e alle nascite.
Le soluzioni vanno cercate a livello strutturale e culturale. Quelle strutturali attengono alla politica, al suo impegno a riequilibrare l’occupazione, la paga, le opportunità di carriera tra uomini e donne, a favorire periodi di entrata e uscita e orari di lavoro flessibili, modulabili in rapporto alle esigenze dei componenti della famiglia. Non bastano tuttavia gli interventi legislativi se lei e lui sono sopraffatti dalla fatica di trastullare, preparare pappine, pulire, cercare di addormentare i bambini fino allo sfinimento, senza più neanche la forza di abbracciarsi. Se, pur in presenza di buone riforme, lei a casa continua a sopportare da sola il doppio lavoro perché nella coppia non si negoziano i ruoli nel rispetto della capacità di ciascuno e nell’equilibrio dei rapporti uomo donna; se non si passa dalla retorica alla concretezza degli interventi, difficilmente le donne delle nuove generazioni metteranno al mondo più figli. Per contrastare le differenze di genere devono cambiare nelle ragazze e nei ragazzi i modelli della comunicazione a vantaggio della condivisione e della reciprocità
L’offerta ampia di asili nido è di sicuro sostegno, ma questi avranno sempre orari limitati e legati al mondo del lavoro. Occorre dare fiato al sociale nel quale le famiglie stesse prendano l’iniziativa di aiutarsi generando reti di mutuo aiuto, come già di fatto avviene in diverse comunità, specie di credenti. Il principio di sussidiarietà è indispensabile ad evitare che gli interventi dello Stato cadano dall’alto su famiglie ‘oggetto di assistenza’. Meglio sostenere ciò che nasce spontaneamente dalla base: se la baby sitter è troppo cara, la figlia o il figlio adolescente di un’amica potrebbero consentire ad una coppia di andare a mangiare una pizza, al cinema o semplicemente a fare una passeggiata che scarichi le tensioni e consenta un dialogo franco non interrotto dai bambini; può esserci una vicina ormai in pensione che per qualche ora non avrebbe difficoltà ed anzi proverebbe sollievo nella compagnia temporanea di un bimbo (tagesmutter), L’organizzazione di una banca del tempo solidale aiuterebbe a risolvere tante incombenze quotidiane spesso motivo di stress e di litigi. Questa capacità di generare mutuo aiuto trasportando lo spirito solidale del villaggio nelle città anonime è un frutto della carità familiare che dovrebbe essere incoraggiata dallo Stato e dalla Chiesa, perchè mettere al mondo un figlio non è una questione privata, ma un dono prezioso alla nazione che richiede la collaborazione di tutti.
Giulia Paola Di Nicola – Attilio Danese
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