Il personaggio
Madame Rosa è il personaggio in cui si fondono tutte le caratteristiche che hanno contraddistinto la Loren nel corso della sua carriera: da forte carisma che s’impadronisce dello schermo al senso di orgoglio e fierezza, fino alla fragilità emotiva di un personaggio in caduta, al magnetismo e a quel senso di umanità che è in grado di trasmettere con il solo sguardo. Nel suo personaggio, che nasce e si evolve è il punto più forte e solido dell’opera. Madame Rosa non è solo la rappresentazione di ciò che è stata e ha vissuto Sofia Loren, ma rappresenta il cinema italiano del passato che ancora oggi si cerca di emulare per riflettere sul passato e il presente.
La trama
La vita davanti a sé di Edoardo Ponti è un film che mescola dramma e romanzo di formazione per parlare del sentimento della compassione, di tolleranza, integrazione, memoria, identità e perdono.
Momò – l’esordiente Ibrahima Gueye – è un dodicenne di origini senegalesi, rimasto solo e, a causa del suo passato doloroso, ha un carattere complesso. L’unico che si occupa di lui è il dottor Cohen, che essendo ormai anziano e stanco, lo affida a Madame Rosa, un’ebrea sopravvissuta ai lager ed ex prostituta che per sopravvivere negli ultimi anni della sua vita ospita nel suo piccolo appartamento alcuni bambini di giovani prostitute.
La signora dal forte temperamento accetta con riluttanza di prendersi carico del ragazzino Momò per un paio di mesi, giusto il tempo di trovargli una nuova sistemazione. Il turbolento dodicenne di strada di origini senegalesi, cerca una ‘casa’ nell’illegalità per fuggire dal suo senso di solitudine e prendere una pausa dalla rabbia, scaturita dalla vita, che gli ha tolto tutto. All’inizio la loro relazione è molto conflittuale. A volte, però, un incontro può essere la salvezza per una persona. I loro occhi raccontano le loro sofferenze e le fragilità: quando si incrociano riconoscono che hanno in comune molto più di quello che pensano.
Nonostante alcune differenze importanti come l’età, l’etnia, la religione, la cultura li fanno essere agli antipodi, i due troveranno un punto d’incontro nel dolore che li ha segnati, che li porterà a raggiungere una reciprocità congeniale, dimostrando come spesso i legami più forti nascono tra persone che condividono lo stesso dolore o, come in questo caso, tra coloro che hanno in comune un vissuto di emarginazione, e un presente devastato dalle sofferenze del passato.
“È proprio quando non ci credi più che succedono le cose belle” (Madame Rosa).
Tolleranza e comprensione
Anche in positivo, però: basti pensare al bene che fa Madame Rosa ai bambini in situazioni di disagio, talvolta completamente soli, che il dottore e amico le ricorda, riportandola alla sua memoria di emarginata. È per questo che tollera e perdona il carattere difficile e la faticosa gestibilità di un bambino che ha subito ingiustizie dalla stessa vita che ha le ha procurato dolore. Non che questo sia facile, ma è un messaggio che oggi fa la differenza: la tolleranza e la comprensione sono essenziali, imprescindibili in quest’epoca a volte ancora toccata dalla paura del vicino di casa “straniero”. Ed è così che la casa di Madame Rosa diventa un nucleo di outsider che si aiuta a vicenda, un casolare che non parla necessariamente di amore a tutto campo, ma che esprime protezione.
La stessa attrice protagonista dice che questo è un “racconto di tolleranza e perdono”; ma è anche un film che riesce a ritagliare uno spazio per la decadenza, per un’epoca finita, di quei personaggi che non potranno più prendere forma nel futuro. E nonostante il film sia ambientato nell’oggi è come se vivesse in un tempo a sé: una Bari nell’Italia del Sud, antica e multietnica che si dimostra perfetta per abbracciare e fare da cornice alla storia di uno “scontro” tra due mondi agli antipodi destinato a trasformarsi in un incontro, nel quale le distanze e le differenze finiscono con l’azzerarsi. Persone che si aiutano a vicenda nella povertà, riportando in auge una vita cittadina comunitaria che oggi non è facile trovare. I personaggi che vivono storie del passato, rendendo comune ancora oggi avere, come vicina di casa, una sopravvissuta ad Auschwitz che vive nel disagio e nell’indifferenza.
“Dicono che tutto è scritto e non si può cambiare niente. Sono Momo e sono orfano. Io voglio cambiare tutto” (Momò).
L’attrice alterna momenti di grande forza interpretativa come nella scena sotto la pioggia battente sulla terrazza, ad altri in cui la carica si dimezza. Mancanza dovuta probabilmente a una sceneggiatura soggetta a discontinuità, scollamenti e passaggi frettolosi che non le hanno permesso di esprimersi al meglio. Per un film come questo, nel quale la direzione attoriale e le performance davanti alla macchina da presa sono fattori determinanti, “il non averli avuti a disposizione al 100% del rispettivo potenziale ha di fatto indebolito il risultato. Un risultato che poteva puntare diritto al cuore, e che invece arriva solo di rado a scaldarlo e ad accarezzarlo, a causa di emozioni, il più delle volte, non portate alla giusta temperatura, perché trattenute e cristallizzate alla fonte”, così commenta la critica.
Tenerezza e silenzio
Tra sguardi poetici ed emozionanti, tenerezza, silenzi che valgono più delle parole, la fiducia nel domani, una commovente umanità, esempi di civiltà, una regia abile e un omaggio a “Una giornata particolare” (la scena della Loren in una terrazza tra le lenzuola distese) di E. Scola e M. Mastroianni (1977), c’è il punto chiave della scena: Madame Rosa, luce per i bambini che ospita a casa e la bellezza del film che risulta semplice, nonostante gli interessanti spaccati di realtà solo accennati. Ne è un esempio Lola – interpretata da Abril Zamora –, prostituta transessuale, ex pugile, alle prese con il figlio e con il padre che non accettano la sua condizione di vita. Un personaggio interessante che ricorda molto i protagonisti dei film di Pedro Almodóvar Caballero, regista, sceneggiatore, produttore cinematografico, scrittore e musicista spagnolo.
L’intenzionalità del regista Ponti, figlio della stessa Sophia Loren e che ritorna alla regia di un lungometraggio dopo “Cuori estranei”, è sincero: usa il dolore del passato per collegarsi a quello del presente, mostrando in modo semplice e chiaro come tanti ragazzi in difficoltà – come Momó – ma anche tutte le persone che oggi sono, o sono state, vittime di discriminazione, sono solamente affamati di sentimenti e vogliono ricevere amore, protezione e ospitalità.
Questa storia di sopraffazione e di riscatto che si ispira a “I miserabili” di Victor Hugo (1862) non avrebbe funzionato senza la presenza carismatica di Ibrahima Gueye: una presenza intensa e dignitosa, capace di cimentarsi con il lato dark come con quello tenero del suo personaggio, e soprattutto in grado di tenere testa ad un ‘creatura sacra’ come la Loren, come richiede il suo ruolo nella storia.
La vita davanti a sé è una storia di solitudine, di uguaglianza, e di grande sofferenza di chi vive ai margini della società. Ma anche un ritratto poetico dell’umanità, quella solidale, senza pregiudizi, tollerante e che si dà completamente al prossimo anche se non ha nulla di concreto da offrire. Solo amore e solidarietà. E questo non è poco, soprattutto al giorno d’oggi.
Andrea Petralia
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