Atlas: le scalate dell’anima

“In cima alla montagna ci sono tutti i sogni. Dentro una stanza chiusa invece c’è la loro perdita. Dalle Dolomiti in cui si guarda lontano al buio”. Atlas è il lungometraggio del cineasta ticinese Niccolò Castelli che giocando sul continuo contrasto luce e oscurità racconta il difficile viaggio emotivo di una giovane donna alle prese con un dolore terribile. Atlas è un dramma maturo, sull'elaborazione del lutto e sul rapporto con l'altro, il diverso, ed è strutturato come un delicato studio caratteriale di una ragazza giovane ancora in crescita. La firma è di Niccolò Castelli, regista che ha il merito di dare un'ambientazione originale a una storia altrimenti già vista.

È un progetto che ha richiesto una lunga gestazione, circa sei anni, ed è ispirato all’attentato di matrice jihadista al Café Argana di Marrakech del 28 aprile 2011, in cui hanno perso la vita 17 persone tra cui tre ragazzi svizzeri. Allegra, la protagonista vive una vita piena di passioni a Lugano, comune svizzero del Canton Ticino, tra la famiglia e un gruppo di amici tra cui il fidanzato Benni, l’amica Sofia e il suo ragazzo Sandro. Insieme si divertono ai concerti e, soprattutto, fanno arrampicate sulle tante cime del territorio dintorno. Allegra un giorno suggerisce di provare qualcosa di più esotico scalando i monti dell’Atlante, in Marocco. Lì, i quattro si troveranno coinvolti in un attacco terroristico che cambierà la vita di Allegra.

 

Atlas è un dramma maturo, sull’elaborazione del lutto e sul rapporto con l’altro, il diverso, ed è strutturato come un delicato studio caratteriale di una ragazza giovane ancora in crescita. La firma è di Niccolò Castelli, regista che ha il merito di dare un’ambientazione originale a una storia altrimenti già vista. Infatti gira il documentario nella città di Lugano, fondendo elementi geografici e culturali al percorso di vita e di crescita di Allegra. La scalata è al centro del film come correlativo oggettivo della lotta di Allegra, ma ci sono anche il lago, che la ragazza spesso ricorda di aver scambiato per il mare da bambina, e i treni su cui lavora, con il fluire di vite diverse. La perdita, la colpa e la riabilitazione entrano così in dialogo con i temi della chiusura e della protezione di una comunità, tra un padre che vede con sospetto l’esterno e le storie di personaggi come Arad (Helmi Dridi), un giovane musulmano rifugiato che con la sua musica e le sue cicatrici rappresenta la possibilità di ripensare il pregiudizio. Queste suggestioni appaiono sullo sfondo della narrazione che si incentra sul volto della protagonista (Matilda De Angelis attrice alla sua prova più matura) puntando su di Lei l’obiettivo, spesso con una camera a mano, scrutandone tutte le diffidenze in un ritratto serio e appassionante, che a tratti ricorda l’approccio allo stesso tema dello straordinario Quel giorno d’estate di Mikhaël Hers. Di notevole rilievo la realizzazione tecnica, in particolare la fotografia e il montaggio, che arricchiscono la componente drammatica con un respiro contemporaneo e internazionale, per un film ben girato che non teme di valicare i confini. Le sequenze dell’arrampicata regalano momenti mozzafiato e sono trattate da Castelli con la medesima sacralità che a loro riserva Allegra. Non sono solo una metafora, ma un mondo pieno, a sé stante.

Allegra, l’attrice protagonista, interpretata da Matilda De Angelis, ha 25 anni e fa parte di una generazione abituata a ragionare su scala europea, muovendosi con disinvoltura tra le nazioni e conoscendo coetanei provenienti da culture lontane. Attraverso l’esperienza dell’Erasmus, certo, ma anche con la curiosità stimolata dalla possibilità di accedere a molte più informazioni rispetto al passato. La generazione di De Angelis è, però, anche quella che è cresciuta misurandosi con un mondo che ha vissuto momenti difficili per il terrorismo. Bataclan, il locale parigino è stato lo scenario dell’attentato del 13 novembre 2015, in cui un commando dell’ISIS uccise 130 persone, prevalentemente giovani o giovanissimi, che stavano assistendo al concerto degli Eagles of Death Metal.

Appassionata di arrampicate e di musica si trova in Marocco quando è vittima, con il compagno e una coppia di amici, di un terribile attacco terroristico. L’unica sopravvissuta è lei. Malgrado il corpo, anche se ferito, stia gradualmente guarendo, il trauma che la tormenta sembra inesorabilmente consumarla. La paura e il desiderio di vendetta sono gli unici sentimenti che la spingono verso un mondo fatto di solitudine e incomprensione. Allegra, impermeabile agli sforzi della sua famiglia e dei suoi amici per alleviarne la sofferenza, vuole assolutamente affrontare da sola un trauma personale che tutti sembrano voler condividere. La protagonista di Atlas deve intraprendere un lungo cammino verso una sorta di accettazione, una lotta contro se stessa alla ricerca di uno squarcio di luce in un cielo più nero della notte. E l’unico modo per rinnovare il suo patto con la vita è rinascere, offrirsi una nuova possibilità, dare fiducia alla relazione con l’altro. L’incontro inaspettato con Arad, giovane rifugiato del Medio Oriente le permetterà di confrontarsi con i fantasmi del passato, con un trauma che non riesce a rielaborare. Fidarsi di qualcuno che non conosce, affrontare nuovamente la vita con la positività e la libertà che l’abitavano, sembra per Allegra un traguardo irraggiungibile. Ed è proprio questo l’obiettivo: la possibilità di guadagnare più libertà riuscendo ad uscire dalla propria prospettiva e andando verso la conoscenza dell’altro.

 “Atlas è il tentativo di capire come sia possibile superare le nostre paure 
nell’incontro e nell’apertura verso il diverso” (Niccolò Castelli, regista).

In Atlas si sentono il respiro e i battiti accelerati del cuore della protagonista, si avverte cosa pensa sin dal suo sguardo. Il cineasta la segue, ne condivide paura, rabbia, frustrazione ma anche la fiducia verso il futuro, prima dell’attentato. Nel lungometraggio si incrociano spesso passato e presente e, grazie al lavoro di montaggio di Esmeralda Calabria, si sovrappongono i diversi piani temporali in cui il prima e il dopo creano due figure diverse, autonome, staccate l’una dall’altra, anche se hanno lo stesso volto, lo stesso corpo, la stessa voce. Castelli è attento alle geografie del paesaggio: le montagne, le strade di Lugano, i percorsi sui treni dove lavora Allegra. La critica rileva la poca attenzione delle figure secondarie, a cominciare dai genitori della protagonista e dell’amica Giulia. Risulta un po’ sfocato anche il personaggio di Arad così come il tentativo di riflettere sulla condizione dell’immigrazione.

Matilda De Angelis traina quasi da sola la narrazione. La sua elaborazione del lutto è coinvolgente e diretta. Meno quella degli altri personaggi a cominciare dal dolore trattenuto di Neri Marcorè nei panni del padre di Sofia. Il Regista mostra una padronanza del mezzo cinematografico capace di oltrepassare le frontiere, unendo le grandi ambizioni a una volontà di scavare nel profondo sul piano psicologico, con momenti di grande dramma intimo che si avvalgono del talento recitativo della protagonista e del resto del cast. Questa storia sembra dire, oggi, che un modo per tornare a sorridere c’è, ed è la costruzione e la ricostruzione del rapporto con l’altro. In fondo, senza l’altro non si sale su una vetta e quando ci si arrampica, non si fa altro che mettere la propria vita nelle mani di qualcuno che ti assicura. 

 Atlas è l’evoluzione del discorso avviato nel primo film di Castelli Tutti giù del 2012, ma senza l’impostazione corale, accantonata per lasciare spazio al dolore di una persona, il cui percorso in salita, in senso fisico ed emozionale, impreziosisce notevolmente l’offerta cinematografica del cantone italico della Svizzera.

 

Andrea Petralia 
andrea.petralia95@gmail.com

Condividi

Dalla rivista

Parola

Vedendo la folla, salì sul monte, si mise a sedere, e i suoi discepoli gli si avvicinarono. Gesù, vedendo la gente che ti seguiva, povera ...

Camilla

C’è ancora un sassolino che vorrei togliermi dalla scarpa prima di chiudere l’argomento PACE. Un sassolino che a dir la verità non è poi tanto ...

Editoriali

Per molti, l’idea di pace è legata a una visione riduttiva che attribuisce ai governi la responsabilità esclusiva di garantire ai cittadini le condizioni necessarie ...

Dossier
Viviamo un tempo di guerre e tensioni, violenze che si consumano, sempre più spesso, fuori e dentro le mura di casa e che coinvolgono giovani ...