Ogni dialogo, ogni relazione incomincia dall’ascolto. Bisogna riscoprire l’ascolto come essenziale per una buona comunicazione, c’è bisogno, dunque, di reimparare ad ascoltare. Tutti abbiamo le orecchie, ma tante volte anche chi ha un udito perfetto non riesce ad ascoltare l’altro. C’è infatti una sordità interiore, peggiore di quella fisica. L’ascolto, infatti, non riguarda solo il senso dell’udito, ma tutta la persona. La vera sede dell’ascolto è il cuore. Per ascoltare con il cuore è necessario un grande impegno: essere vicini alla gente, saper coniugare la verità con la carità, usare la dolcezza nelle relazioni e una fermezza paterna e materna, che non si sottrae alle proprie responsabilità perché ha a cuore il bene dell’altro. L’impegno ad essere a servizio della verità e del bene comune, non si limita alla diffusione di notizie ad effetto, ma chiede la responsabilità di far conoscere l’annuncio della Chiesa rendendo trasparente la verità attraverso la carità concreta.
L’ascolto, condizione di una buona comunicazione
C’è un uso dell’udito che non è un vero ascolto, ma il suo opposto: l’origliare. Infatti, una tentazione sempre presente e che oggi, nel tempo del social web, sembra essersi acuita è quella di origliare e spiare, strumentalizzando gli altri per un nostro interesse. La comunicazione ha bisogno di un ascolto profondo, di uno stile umile capace di penetrare nella trama normale dei rapporti quotidiani e di ascoltare tutte le voci che emergono, uscendo dalla bolla dei propri pensieri e idee, avvicinandosi alle persone, scrutando e approfondendo la realtà, interrogarsi sul senso di queste voci. L’ascolto che nasce dal cuore ha alla base una relazione personale che si caratterizza nel silenzio rispettoso verso quanto l’altro ha da dire e come tale accetta di lasciarsi penetrare e trasformare dalle sue parole. Se importante è solo parlare allora la relazione con l’altro non sarà mai un confronto autentico, né un dialogo, ma sarà semplicemente un “duologo”, ossia un monologo a due (A. Klapan, filosofo americano).
“Quello che vorrei dirti di più bello non te l’ho ancora detto” (Nazim Hikmet, poeta turco).
Penso alla curiosità infinita del bambino che guarda al mondo circostante con gli occhi sgranati. Ascoltare con questa disposizione d’animo – lo stupore del bambino nella consapevolezza di un adulto – è sempre un arricchimento, perché ci sarà sempre una cosa, pur minima, che potrò apprendere dall’altro e mettere a frutto nella mia vita. È proprio lo stupore dei bambini che ci fa capire, ci coinvolge emotivamente, ci fa aprire gli occhi sulla realtà, sulla vita reale per conoscerla; lasciandosi stupire dalla verità riusciremo a cogliere qualche frammento di vita nelle persone che ascoltiamo, accogliendole, facendo sentire loro di esistere e non relegandole in superficiali categorizzazioni: straniero, migrante, povero… La capacità di ascoltare la società è quanto mai preziosa in questo tempo ferito dalla lunga pandemia. Tanta sfiducia accumulata in precedenza verso l’“informazione ufficiale” ha causato anche una “infodemia”, dentro la quale si fatica sempre più a rendere credibile e trasparente il mondo dell’informazione. Bisogna porgere l’orecchio e ascoltare in profondità, soprattutto il disagio sociale accresciuto dal rallentamento o dalla cessazione di molte attività economiche. La pandemia ha finito di indebolire anche la relazione, alimentando la convinzione che l’altro può essere un pericolo, rendendo la distanza fisica anche una distanza sociale. La ricerca di connessioni, di rimanere online attraverso le piattaforme social ha acuito il bisogno di sentirsi comunità allargando i confini e offrendo ulteriori spazi di formazione e di relazione. Podcast e chat, con la capacità di accorciare le distanze e avvicinare tra loro gli interlocutori, hanno offerto nuove possibilità di sperimentare il primo indispensabile ingrediente del dialogo e della buona comunicazione. Il camminare insieme, armonizzando gli sguardi attraverso linguaggi e strumenti alla base dei processi comunicativi, è la sfida per superare l’infodemia e crescere in ascolto, vicinanza e solidarietà.
“Contrastare i pregiudizi connettendo testa e cuore; opporre la forza del dialogo alla velocità imposta dal digitale” (Papa Francesco).
Chi non sa ascoltare il fratello ben presto non sarà più capace di ascoltare nemmeno Dio. La Parola di Dio ci cambia, penetra nell’anima come una spada, ci svela il volto di Dio e ci provoca, ci scuote riportandoci alle nostre contraddizioni, ci mette in crisi, non ci lascia tranquilli. La Parola che si è fatta carne (cfr Gv 1,14) non ci astrae dalla vita, ma ci immette nella vita, nelle situazioni di tutti i giorni, nell’ascolto delle sofferenze dei fratelli, del grido dei poveri, delle violenze e delle ingiustizie che feriscono la società e il pianeta. Oggi il rischio è essere attenti più alle cose che si dicono e meno a ciò che potrebbe arricchire e trasformare la società. C’è bisogno di un ascolto consapevole e attento ai bisogni dell’altro, c’è bisogno di ascolto ‘attivo’, per cogliere quanto l’altro ci dice, andare oltre le parole, leggere il tono della voce, i gesti e le espressioni del volto; un ascolto attivo è aperto e disponibile anche verso se stessi, che sa mettersi in discussione, non consolidandosi nelle proprie opinioni, ma attraverso il silenzio ed evitando il pregiudizio, si fa carico dell’altro e della sua storia.
La sfida è educare ed educarsi all’ascolto profondo, trovando le vie per restituire il senso della comunità comunione, accorciando le distanze e rafforzando autenticità e credibilità.
Messaggio per la 56ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali
Gabriella Imperatore, FMA
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