Nowhere Special, terzo lungometraggio di Uberto Pasolini, lo riporta a Venezia dopo il successo di Still Life (2013). La commozione, è questa conosciuta, affidata a un uno-due padre e figlio istruito dalla quotidianità e condannato alla temporaneità: mutuata da una storia vera, la parabola di John apre a temi dolorosi, dall’eredità affettiva all’affido, dal lascito paterno all’adozione, tutti riflessi negli ‘occhi-specchio’ sul mondo di Michael.
Difficile sottrarsi dall’abbraccio e dal carico di Nowhere Special, che pure prova a tenere a bada il sentimentalismo: pur con qualche caduta retorica e qualche affondo enfatico, Pasolini, anche sceneggiatore, tiene la camera su John e Michael trovando la giusta altezza tra i due. La vita che presto non sarà più di John è vitale più che terminale, ineluttabile più che inconsolabile, in sintesi riguadagnabile empaticamente dallo spettatore. Grande merito, oltre che al regista, va a Norton, capace di un one man show sommesso, sottratto, che non lascia scampo, capace di apparire arreso, con gli occhi stanchi ma lo sguardo lungo. Finché potrà essere, finché Michael gli si rivolgerà, dal basso in alto, John esisterà.
È deliziosa la tenerezza del personaggio che James Norton sa tirare fuori da sé, anche alla luce del suo curriculum di cattivi e personalità ambigue che ha interpretato nel corso degli anni (le serie Happy Valley e McMafia, o la pellicola L’apparenza delle cose). Il modo in cui sta accanto al piccolo Michael, e tutti i silenzi densi e ricolmi di sguardi, regalano una prova attoriale – anche per quanto riguarda il giovanissimo Daniel Lamont – di un livello davvero lodevole, considerando tra l’altro la capacità di guidare il piccolo.
Uberto Pasolini scrive e dirige tutta la storia sfruttando il pallido sole di Belfast, con scene concise, ma piene ed essenziali nell’arrivare dritte al cuore della faccenda, serrata negli occhi scavati e malinconici di John che si rivolgono sempre con dolce arrendevolezza al suo Michael. Pasolini torna dunque sul luogo del trapasso, come in Still Life: non è più l’immediatamente dopo, ma l’immediatamente prima, e la sua penna è ancora la stessa, sottile e precisa, tanto autoriale quanto accessibile nell’approccio a un genere, quello del dramma sentimentale, che pochissimi perseguono con tanta frontalità e tale discrezione.
La resa delle scene è data dalla nitidezza delle inquadrature, dalla loro temporalità estranea alla frenesia della vita urbana, sgombra da tutto ciò che è disavanzo o orpello cinematografico. Tanto che l’immagine di apertura, con il protagonista che rilava con cura una grande vetrata, pulendola da tutto ciò che la offusca, si può leggere come una dichiarazione d’intenti, la ricerca di una verità della relazione padre-figlio che è al centro del racconto, di uno sguardo sul mondo non filtrato, in cui riflettersi per quello che si è e leggere con trasparenza nelle vite degli altri.
Colpito dalla cronaca vera di questa vicenda, Pasolini l’ha tradotta in immagini tanto semplici quanto eloquenti, che non conoscono la durezza del cinema dei Dardenne, piuttosto una commovente sospensione e una malinconia, sottolineata dalla colonna sonora, che il regista non rifugge ma abbraccia, senza sentimentalismo.
“Ho voluto girare questo film non appena ho letto del caso di un padre malato terminale che tentava di trovare una nuova famiglia per suo figlio prima di morire. Sebbene la situazione in cui si trovano i personaggi principali sia molto drammatica, scrivendo la sceneggiatura ho voluto avvicinarmi alla storia in un modo molto sottile, discreto, il più lontano possibile dal melodramma e dal sentimentalismo” – ha commentato il regista Uberto Pasolini presentandolo alla Biennale del Cinema di Venezia. “La principale sfida è stata quella di lavorare con un bambino molto piccolo, creando una relazione padre-figlio credibile e commovente. A soli quattro anni il piccolo Daniel Lamont è un attore naturale, straordinariamente consapevole e sensibile, e ha avuto la fortuna di lavorare al fianco di un attore di grande talento e generosità come James Norton.
Sono le immagini mute di un adolescente con lo zaino in spalla che si allontana nello specchietto retrovisore, della candelina di compleanno in più che Micheal mette nella mano di John, della casa degli specchi del lunapark che restituisce le loro figure deformate, con Michael alto e John più piccolo, per sempre troppo giovane. Piccole grandi idee di scrittura visiva che trascendono il realismo senza negarlo e mettono in poesia la durezza dell’esistenza.
Ma Nowhere Special non è un film che parla solamente di morte, al contrario è una rara testimonianza artistica della pienezza della vita. È angosciante per un padre sapere che sarà affidato a qualcun altro la crescita di suo figlio e che non potrà mai vedere l’uomo che Michael diventerà. Ma sa che il regalo più grande glielo ha già fatto, donandogli la vita. Il regista ci ricorda che nulla di quello che è nostro, lo è realmente. E lo fa con un linguaggio semplice e riflesso nella problematica del padre che deve gradualmente comunicare al figlio la loro storia. Una delicatezza del dialogo è riflessa nella delicatezza di fare cinema. Non possiamo controllare il tempo che abbiamo a disposizione, ma possiamo viverlo nel migliore dei modi possibili. Il rapporto padre-figlio che emerge dal film è reale, come lo sono i gesti e l’affidamento di John verso il cielo e verso un Dio che dovrà prendersi cura del bambino. Un affidamento che arriva col tempo perché all’inizio da parte di John c’è un comprensibile rifiuto della situazione. Ma la rabbia fa posto alla necessità di trovare un linguaggio in grado di spiegare quello che accadrà. E quindi si riavvicina a una spiritualità che all’inizio rifiutava e che invece lo accompagnerà nella scelta della famiglia che amerà suo figlio. È questa la grande lezione che ci regalano Uberto Pasolini, il cast e il film, accompagnando lo spettatore in un viaggio sospeso, pieno di incertezze ma incredibilmente vero.
Scheda film
Genere: Drammatico
Anno:2020
Regia: Uberto Pasolini
Attori: James Norton, Michael Lamont, Chris Corrigan, Valene Kane, Louise Mathews, Keith McErlean, Eileen O’Higgins, Rhoda Ofori-Attah
Paese: Italia, Romania, Gran Bretagna
Durata: 96 min
Distribuzione: Lucky Red
Sceneggiatura: Uberto Pasolini
Fotografia: Marius Panduru
Montaggio: Masahiro Hirakubo, Saska Simpson
Musiche: Andrew Simon McAllister
Produzione: Picomedia, n.s.l., Digital Cube con Rai Cinema, con il sostegno di Eurimages, del Mibact e del Centro Cinematografico Rumeno.
Andrea Petralia
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