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Progetti

Al futuro appartengono i progetti, fili tracciati tra i sogni e la realtà. Pro-gettare: gettare avanti i pensieri e il cuore per far parte di questo mondo, per partecipare al dono ricevuto.

La progettazione educativa ha vissuto ormai molte stagioni più o meno feconde. Nonostante la stanchezza che a volte si avverte, l’esigenza di ritrovarsi e di riflettere insieme è particolarmente significativa oggi. La post-modernità ha ridimensionato il potere della cultura razionale e tecnologica e ha ridato spazio a una visione culturale aperta alla varietà delle alternative all’interno delle quali orientarsi e scegliere. Ha inoltre esteso l’esigenza della progettualità a tutti gli ambiti della vita, rischiando di accentuare gli aspetti di portata metodologica e tecnologica, anziché la dimensione culturale, antropologica, esistenziale.

Il senso

È necessario riguadagnare il senso del progettare, di quel processo impegnativo che diventa virtuoso quando nel dialogo e nel confronto, apre la quotidianità alla speranza, rende possibile l’incarnazione degli intenti comuni nella vita reale e visibile l’amore per le nuove generazioni in gesti concreti. La progettazione educativa è delle persone e per le persone, è un processo lento che ha bisogno di essere sostenuto in modi e tempi diversi e in cui ci si deve allenare. Progettare quindi per un’autentica realizzazione umana.

È per questa ragione che la progettualità educativa implica sempre una dimensione etica: un agire che esprime una visione, un modello di vita. È una sorta di reazione alla stagnazione, alla rassegnazione, alla routine, al rischio di banalizzazione dell’esistenza. La vita per esprimere il suo desiderio di bene e di pienezza è chiamata al dinamismo, a manifestare la sua libertà, a mettere in gioco le sue energie e capacità. C’è bisogno di orizzonti verso cui orientarsi, di strade concrete da tracciare e percorrere, di capacità da investire per qualcosa per cui si è disposti a dedicare la vita.

Verso un nuovo patto educativo

Nel corso del suo Pontificato Papa Francesco ha più volte ricordato la necessità di un’ampia collaborazione a livello territoriale sul piano educativo per la “custodia della casa comune”.
Ricordiamo, tra i suoi interventi quanto ha affermato al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede il 9 gennaio 2020: «ogni cambiamento, come quello epocale che stiamo attraversando, richiede un cammino educativo, la costituzione di un villaggio dell’educazione che generi una rete di relazioni umane e aperte. Tale villaggio deve mettere al centro la persona, favorire la creatività e la responsabilità per una progettualità di lunga durata e formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità. Occorre dunque un concetto di educazione che abbracci l’ampia gamma di esperienze di vita e di processi di apprendimento e che consenta ai giovani, individualmente e collettivamente, di sviluppare le loro personalità».

Apprendere, conoscersi, dialogare, condividere orientamenti e decisioni, sono passi lenti che richiedono tempo e gradualità, passione e disponibilità a mettersi in ascolto, sapere in ogni caso dialogare e anche mettersi in discussione. Si tratta di un investimento sul futuro. È il futuro che ci viene incontro nella forma dell’esigenza di un cambiamento. Il discernimento condiviso permette di pro-gettare, di proiettare in avanti, di costruire un ponte verso il futuro, cioè di individuare ciò che di buono è stato fatto in passato per cogliere i termini universali, le finalità irrinunciabili che valgono anche per il presente e per il futuro. I modelli circa la progettazione sono molti, tuttavia li possiamo raccogliere e sintetizzare in tre approcci: sinottico-razionale, concertativo-partecipativo ed euristico. L’approccio alla progettazione si modifica in rapporto alla relazione che si ritiene sussista tra il problema e la sua soluzione in termini di complessità. Infatti più il problema apparirà semplice, lineare, conosciuto più si penserà che si possa definire a priori o attingere a soluzioni pre-esistenti; più aumenterà la percezione della complessità del problema più si intraprenderanno percorsi di progettazione partecipata per coinvolgere diversi interlocutori e costruire soluzioni in modo condiviso attraverso tavoli di concertazione e di individuazione di strategie innovative, non costruite a priori, ma individuate attraverso un percorso di ricerca e di azione (Orlando-Zampetti, Progettazione educativa,  2018).

La complessità dei problemi educativi richiede spesso una visione olistica che è difficile da produrre se si tiene conto di un solo punto di vista o di una sola interpretazione dei fenomeni. La visione sistemica ai problemi educativi parte dal presupposto che, se si vuole capire la realtà di cui ci si sta occupando, non la sia può isolare; si tratta di un’ottica di analisi e di intervento che presuppone i vari sistemi in relazione (sistema scuola, famiglia, territorio ecc. …). La visione sistemica assume la prospettiva della complessità e porta l’attenzione sulla diversità dei contesti, assume un’ottica olistica delle situazioni, delle persone, gruppi, eventi, ed è per sua natura attenta all’interpretazione. La progettazione partecipativa è più lenta, ha il pregio però di responsabilizzare i diversi attori coinvolti a diverso titolo nel progetto. Essa è fondamentale per fondare il progetto sulla flessibilità rendendolo modulabile e adattabile in relazione alle possibili esigenze e alle variazioni delle condizioni o delle situazioni contingenti.

 

Rinnoviamo la passione per un’educazione più aperta e inclusiva 
per formare persone capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni.
(Atti CG 24, n.33)

 

I territori come ecosistemi educanti

Sono necessarie alleanze ampie per costruire un contesto realmente attento alla vita delle nuove generazioni. Indubbiamente la realtà odierna ci chiede di ripartire dai territori. Questo ci invita a riconoscere che essi sono animati da progettualità nascenti dentro i reticoli del vivere quotidiano. Queste progettualità chiedono un approccio partecipativo tra organizzazioni del lavoro sociale, culturale ed educativo e la governance istituzionale di un determinato contesto.

I percorsi di crescita sono innanzitutto campi di esperienza che prendono forma nei contesti locali e nelle interazioni con l’ambiente sociale. Educante è l’ambiente in cui si cresce. Crescere, infatti, significa mettersi alla ricerca del proprio appuntamento con il mondo facendo esperienze, interagendo con altri, mettendosi alla prova per riconoscere i propri desideri e le proprie capacità.

Il territorio di riferimento in sé, l’ambiente in cui si cresce, è pertanto sempre educante ed è educante in termini di opportunità offerte, di clima di possibilità, di accesso a esperienze, così come di riconoscimento delle diversità, della necessità di personalizzare i percorsi, di prestare attenzione ai momenti di passaggio come alle fragilità. Una comunità educante è un contesto sociale che diventa consapevole di tutto ciò, per proporsi intenzionalmente di assumere l’educazione come un fatto sociale prioritario che richiede la collaborazione di tanti attori e che in questa collaborazione riconosce un potenziale arricchimento delle opportunità e una riduzione delle disparità di partenza. Ma una comunità educante è anche un contesto locale in grado di comprendere che l’investimento nell’educazione è il modo migliore per rafforzare il proprio tessuto connettivo in termini di coesione sociale, per aumentare le proprie competenze e difese immunitarie di fronte alle avversità.
Per queste ragioni la comunità educante non può essere una proposta che riguarda genitori, insegnanti, allenatori, parroci ed allenatori, ma un obiettivo che coinvolge tutti, anche i soggetti economici, i commercianti come le imprese, e l’intera cittadinanza.

Una comunità educante è un fattore essenziale per lo sviluppo di un territorio perché è orientata a promuovere una competenza essenziale per i tempi che viviamo: la capacità di aspirare, ovvero di costruire un ponte tra presente e futuro.

Utopia o realtà?

Questa capacità, come ha spiegato Arjun Appadurai, è una competenza culturale che ci proietta nel futuro in termini co-evolutivi. È l’idea che la mia condizione potrà migliorare solo se il mondo intorno a me potrà cambiare in meglio e che ci conduce a una forma di mutualità e solidarietà molto concreta, nella quale ogni genitore può assumere la prospettiva per cui il futuro del proprio figlio dipende anche dal miglioramento della condizione dei figli degli altri e che tutto ciò richiede di prendersi cura del territorio come contesto nel quale fare e condividere esperienza. Mentre nei territori si torna a respirare, allora, sembra maturo il tempo perché, insieme, ci si disponga a guardare al territorio come a un ecosistema locale, caratterizzato dalla possibilità di forme di interdipendenza positiva, di interazioni generative e intenzionalità condivise, dove si possa riconoscere e nutrire la capacità di aspirare. Proprio come accade nella «nazione delle piante» descritta da Stefano Mancuso, che ci ricorda quanto la legge del più forte sia una strumentale traduzione socio-economica delle teorie di Darwin, mentre l’evoluzione della specie procede per adattamenti progressivi attraverso la capacità di sviluppare mutuo appoggio e cooperazione, scambio di informazioni e di sostanze nutritive, simbiosi e fotosintesi per respirare e – insieme – imparare ad aspirare, a crescere (Cf. Animazione sociale 348 – 7/2021, 95-96).

 

Mara Borsi, FMA 
mara@fmails.it

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