Scegliere il bene

“Dedicarmi agli altri è quello che mi fa stare veramente bene” – con queste parole inizia la mia casuale chiacchierata con Amira. Ha lo sguardo di chi ne ha passate tante, ma ha ancora tanto – forse troppo – da riconsegnare.

La storia che mi racconta, in una piazza alberata in un pomeriggio di maggio, è la sua vita. Le sue origini africane e l’amore per le sue radici si manifestano attraverso l’emozione con cui pronuncia e ricorda i luoghi dell’infanzia, che non vede da un po’. Non sa come sta la sua famiglia, la sua tribù, e se il villaggio in cui è nata è andato distrutto.

Attualmente in Africa ci sono conflitti in 31 Stati: Burkina Faso (scontri tra etnici), Egitto (guerra con militanti islamici), Libia (guerra civile), Mali (scontri tra esercito e gruppi ribelli), Mozambico (scontri con ribelli RENAMO), Nigeria (guerra con i militanti islamici), Repubblica Centrafricana (spesso avvengono scontri armati tra musulmani e cristiani), Repubblica Democratica del Congo (scontri con i gruppi ribelli), Somalia (guerra con i militanti islamici di al-Shabaab), Sudan (scontri con i gruppi ribelli nel Darfur), Sud Sudan (scontri con gruppi ribelli).

La guerra fa paura, terrorizza, genera morte ma lei ha avuto la forza e la fortuna di riscattarsi. La sua è una storia in positivo, infatti oggi lavora come mediatrice culturale per un’importante associazione internazionale. Lei aiuta il prossimo, come altri hanno fatto con lei perché si rialzasse.

Non aveva nulla, viveva per strada, costretta a prostituirsi. Non poteva ribellarsi, ma il destino, o la Provvidenza, hanno compiuto un piccolo miracolo, mettendole davanti una giovane volontaria della onlus per la quale oggi lavora.

Tante volte ci sentiamo così fragili, così presi da noi stessi, dai nostri piccoli problemi quotidiani che non vediamo null’altro. Se solo pensassimo a quante persone, ogni giorno, incrociamo lungo il nostro cammino, quanti sorrisi potremmo regalare a uno o all’altro, e invece ce ne restiamo curvi su noi stessi, afflitti e tristi, anche egoisti.

Amira sorride sempre invece, conosce la sofferenza e per questo ha imparato, in fretta, a lottare. Ha 27 anni, con la maturità di una donna adulta, consapevole del suo passato e forte del suo presente e del suo futuro. Alla domanda “Cosa ti ha dato la forza per andare avanti?”, ha risposto: «Tre cose: l’amore per me stessa, la fede, la sete di conoscenza. Credere in qualcosa o in Qualcuno che ha fatto la differenza, non mi ha fatto sentire sola e abbandonata anche nei momenti più bui».

Sconcertata dalle sue ferite ed errori, Amira ha pensato anche alla morte. Aveva vergogna, anche se tante volte si è costretti a fare delle scelte. La cosa che più le faceva male era l’idea di dover vendere il suo corpo e la sua anima come una merce, essere trattata da oggetto. Ma ha creduto di poter fare di meglio. Anche dopo essersi arresa alla debolezza della carne, dopo essere caduta, ha guardato alla misericordia di Dio e si è affidata a questa. Essere cristiani, dopo tutto, significa essere profondamente amati da un Dio che ci vede con tutti i nostri peccati e ci ama comunque. Cadeva e il primo pensiero era volgersi nuovamente al Signore. È stata la sua tenacia e l’orgoglio nella convinzione che saremo sempre perdonati, mai giudicati, ad aiutarla.

Il Signore illumina anche i nostri cuori, come quello di Lucia, l’operatrice volontaria che ha incrociato lo sguardo di Amira. Le è bastato pochissimo per capire che, dietro quegli occhi neri, si nascondeva una profonda storia di sofferenza; c’era una richiesta di aiuto da accogliere e a cui dare risposta concreta.

Dopo aver ottenuto tutti i documenti e aver iniziato un corso di italiano, Amira è stata segnalata alle addette dell’associazione. Comincia così una prima fase di orientamento per capire se la persona è pronta ad intraprendere un percorso con un primo monitoraggio sulle competenze e poi con il tutoraggio durante il tirocinio. La formazione è mirata al vissuto quotidiano, si insegna loro come ci si presenta durante un colloquio di lavoro, come ci si veste, qualcuna lo sa già, altre, meno scolarizzate, possono incontrare difficoltà. All’inizio “risulta più difficile l’inserimento delle ragazze, proprio quelle provenienti dall’Africa”, perché per loro è più difficile adattarsi alle nostre abitudini e imparare la lingua italiana. Ma ci sono anche altri motivi tra cui la diseguaglianza, nelle aziende a volte non si accolgono le donne di colore.

Solitamente le imprese scelte per il tirocinio sono quelle della ristorazione, delle acconciature, della pasticceria, della sartoria, delle pulizie. Altre volte le ragazze sono inserite in settori diversi, proprio per far emergere le capacità individuali.

Tra le storie più belle che mi ha raccontato Amira, c’è quella di una persona che è riuscita ad ottenere un diploma in ragioneria ed è entrata in uno studio di commercialisti. Alla fine del percorso di inserimento, queste donne prendono in mano la loro vita ed evitano il rischio di cadere nella tratta umana. Chi entra nel sistema di accoglienza ha il necessario per sopravvivere, non solo materiale, ma emotivo. Si alimenta, così, la determinazione a volere una vita migliore, e questo grazie al lavoro degli operatori e volontari che restituiscono speranza a donne senza futuro. È importante la consapevolezza che “sei tu che devi trovare un futuro migliore qui, solo così lo avrà anche la tua famiglia, sia quella che hai lasciato nel tuo Paese, sia quella che ti costruirai”.

Tante volte, dopo il nostro incontro, ho pensato a come avrei reagito a tutte le situazioni tremende vissute da Amira. Non credo che le avrei superate così bene come ha fatto lei, con la sua dignità di donna e forte della fede, quel legame profondissimo e sincero che la unisce in modo indissolubile al Padre. Il Padre che ci ama, nonostante noi, nonostante i nostri difetti e nonostante i nostri scetticismi. Amira ha un rapporto con il futuro, con la vita e con gli altri che sembra andare oltre i sentimenti e le emozioni terrene. Mentre mi parlava del lungo viaggio, da sola, tra violenze e depressione, il mio cuore si faceva piccolissimo; non avevo le parole e gli strumenti per rispondere in modo adeguato – e sensato – al suo racconto. Ma mi convincevo dell’esistenza e della profondità del legame con Lui e gli altri che, se ascoltato, capito e accolto possiamo far fruttare in doni meravigliosi. Amira ha scelto la strada del bene!

 

Veronica Petrocchi
veronica.petrocchi91@gmail.com

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