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La forza delle idee

Dovremmo imparare dai giovani. Dovremmo osservarli con maggiore attenzione, perché dopo due anni di pandemia, che hanno inciso parecchio sulle loro vite, sono ancora ottimisti e si aspettano – con ragionevolezza – un futuro migliore.

Diverse ricerche, tra cui Next Gen 2030, riportano chiaramente che degli oltre 1000 ragazzi intervistati, tra i 15 e i 30 anni in vari Paesi europei, metà maschi, metà femmine, il 73 per cento pensa che, complessivamente, nel 2030 si vivrà meglio. Un risultato sorprendente, nonostante la situazione sociale ed economica internazionale non lascia intravedere orizzonti sereni.

Cosa vogliono i giovani

Lavoro, sanità, istruzione, ambiente. Dai giovani arrivano chiari segnali di speranza. Sono attenti a sostenere i sogni, hanno ideali chiari e spazzano via tutti i pregiudizi. E soprattutto credono in una cultura di pace e di solidarietà.

I cambiamenti

Per ogni area di interesse, le domande sono divise in due parti: “Quello che ti aspetti succeda da oggi al 2030” (anno nel quale si dovranno raggiungere i 17 obiettivi dell’Agenda ONU), e “Quello che vorresti accadesse; prospettive concrete e desideri”. Tra i settori dove i ragazzi sono sicuri che ci saranno più cambiamenti, c’è il lavoro. Il 52 per cento pensa che si andrà in ufficio solo alcuni giorni a settimana, in alternanza con lo smart working. Per il 41 per cento, nelle aziende saranno obbligatori asili e palestre, per il 32 per cento ci dovranno essere anche spazi di socializzazione. Si lavorerà 5 ore al giorno, per 3-4 giorni a settimana, con uno stipendio pieno.

La parola chiave: flessibilità

C’è piena coincidenza tra quel che i giovani si aspettano e quel che sognano. Non a caso, alla domanda: “Che cosa vorresti che fosse davvero realtà?”, le risposte spaziano sempre tra asili nido, smart working, orari ridotti e una parola che riassume tutti i loro desideri: flessibilità. Concetto che spaventa gli adulti, perché lo sentono come sinonimo di precarietà e quindi incertezza.

Ma per la nuova generazione non è così; la vedono in un altro modo, e bisogna accettarlo. Secondo i giovani, flessibilità significa poter vivere rispettando i ritmi, poter esprimersi, insomma mantenere la propria identità. Un altro aspetto rilevante è che non hanno l’ansia della sicurezza, del posto fisso. Sanno già che il mondo del lavoro è cambiato, non si aspettano carriere lineari, ma vogliono costruirsi un percorso su misura in modo orizzontale, senza sfinirsi, anzi godendosi la vita pienamente, in parte
in uno spazio intimo, in parte in uno spazio in cui condividere.

La carriera non è più verticale ma a isole

Insomma, gli adulti dovrebbero non guardare ai giovani con le categorie che si applicano alla vita degli adulti. Il mondo è cambiato e magari quell’offerta di impiego full time che sembra un’occasione d’oro, ai giovani non interessa. La carriera non è più verticale ma a isole: “oggi mi interessa questo posto, mi corrisponde, domani chissà, cambierò arcipelago”. Quel che conta per loro, nella scelta di un impiego è la motivazione. Come dire, conta seguire un interesse ma anche trovarsi bene in un ambiente lavorativo appagante, rispettoso dei tempi e delle persone.

In questo contesto la tecnologia è senz’altro un aiuto, purché sia al servizio degli esseri umani, non il contrario. Quasi la metà degli intervistati crede che nel 2030 ci saranno pc intelligenti con comandi vocali che si occuperanno anche di monitorare la salute e il benessere dei dipendenti. Per i giovani, la barriera tra digitale e mondo fisico non esiste più, l’intreccio è continuo. Non a caso, i primi tre desideri che riguardano gli ospedali sono di vederli “fisici ma digitalizzati”, con “sale operatorie intelligenti”; allo stesso tempo però vorrebbero anche “tanti piccoli ospedali sul territorio molto più tecnologici” dove si possa risolvere “il problema delle lunghe liste d’attesa”.

Una scuola vicina alla realtà

Passiamo alla scuola, tema caro ai giovani che hanno subito mesi e mesi di Dad. Non la vogliono robotica, ma vicina alla realtà, con coach individuali che li aiutino a capire il mondo, spazi di aggregazione e confronto sempre aperti, in stile campus. Hanno il desiderio di vivere la scuola anche nelle ore pomeridiane, poter studiare insieme e – aspetto ancor più rilevante – trovare uno spazio sicuro, di studio e formazione a tutto tondo.

I giovani vorrebbero potersi costruire un piano di studi personalizzato (43 per cento), lezioni in presenza ma con la possibilità di seguirle da casa, un mix di docenti interni ed esterni (42 per cento), edifici tipo campus, con spazi di aggregazione e relazioni con le aziende del territorio. Le materie, per il 51 per cento degli intervistati, dovranno essere diverse da quelle attuali.

Stop alla discriminazione

Emerge una gran voglia di innovare, perché la scuola tradizionale ai giovani non basta più, non risponde ai loro bisogni, la vorrebbero più vicina alla realtà. Purtroppo sanno che sarà dura riuscire a cambiare: tra tutti gli ambiti delle ricerche l’istruzione è quello dove il desiderio di cambiamento è più alto, ma l’aspettativa concreta più bassa. La generazione “No bla bla bla” sa che scalfire l’immobilismo di un sistema così granitico sarà molto difficile.

I giovani sanno analizzare la realtà in modo sorprendentemente lucido. Sono meno aggressivi e meno rivoluzionari di una volta, ma non distratti, né apatici. Per quanto riguarda il costume e gli stili di vita, hanno già superato alcuni stereotipi e si aspettano che nel 2030 ci siano non solo meno discriminazioni in base all’orientamento sessuale, ma anche una nuova definizione del concetto di genere.

È chiaro che qui il riferimento è alla questione gender, ma è in questo campo che entra in gioco la figura dell’educatore e la responsabilità che ogni genitore, formatore, professore o adulto dovrebbe sentire su di sé. I ragazzi hanno bisogno di “bussole”, che li orientino a capire che le differenze, anche quelle sessuali, fanno parte della vita e sono occasioni di crescita, di confronto e di consapevolezza. Non si è tutti uguali e non bisogna esserlo, ma attenzione a non cadere nella trappola dell’indifferenza: estremizzare il concetto di libertà, porta i giovani a credere di poter essere tutto e al tempo stesso niente, costringendoli a vivere tutto sul momento, senza progettualità e regole. E quando le mode passano, a loro non restano che domande e dubbi, si smarriscono; è in quel momento che devono poter contare su qualcuno, un adulto consapevole, in grado di accompagnarlo in un processo di discernimento che porti il giovane a ritrovarsi e a ritrovare il suo posto nel mondo.

Tecnologici e umanisti

L’ambiente, la mobilità green, il riciclo sono proprio i temi che i giovani hanno più a cuore. Nel 2030 si aspettano che ci siano nuove tecniche per riutilizzare i prodotti (41 per cento) con cestini in grado di separare i rifiuti. La tecnologia aiuterà a migliorare il traffico, con semafori intelligenti e algoritmi che ne gestiranno i flussi.

Anche qui però, il digitale da solo non basta: la qualità della vita migliorerà perché le città saranno più inclusive, con servizi per le mamme, gli anziani, le persone con disabilità. I giovani avranno più spazi di aggregazione per il coworking e il tempo libero. Le città saranno smart solo se saranno a misura di uomini e donne. Tecnologici sì. Ma i giovani sono soprattutto umanisti.


Veronica Petrocchi
veronica.petrocchi91@gmail.com

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