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Abitudini ed ecologia

La nostra è una “società che corre il pericolo dell’elettroencefalogramma piatto, che pensa soltanto a divertirsi, a evadere, a consumare, all’usa e getta, [e che] ha bisogno di un antidoto …” (Leandro Sequerios). Sarà l’antidoto del pensiero critico che, rendendola capace di cogliere la banalità della cultura consumistica, l’aiuterà ad uscirne.

È un’esperienza comune quella di godere dei benefici dovuti all’apprendimento di abitudini che agevolano il vivere, come pure quella di dover fare i conti con quelle che lo rendono problematico. Ce ne sono per tutte le predisposizioni. Possono essere buone, ma anche negative e schiavizzanti. Molte si assumono nel proprio ambiente di vita; alcune sono frutto di scelte e di esercizi sistematici.

Volenti o nolenti, siamo tutti abitudinari, non nel senso negativo, ma per il fatto che le abitudini fanno parte della nostra personalità, danno forma alla nostra identità e all’immagine che gli altri hanno di noi. Facilitando i comportamenti, richiedono minor dispendio di energie e allargano gli spazi del tempo libero. Se buone, sono un patrimonio inestimabile non solo per la persona, ma per tutti. Vivere con persone abituate al rispetto, all’ascolto, al sorriso, al puntuale adempimento del dovere dà un senso di benessere e di sicurezza e crea un clima che fa benedire la vita e apre alla missione. Se cattive o pessime, come l’assuefazione all’alcol, alla droga, al gioco d’azzardo, all’uso eccessivo dei social danneggiano i singoli e trascinano nell’angoscia intere famiglie.

Un’abitudine che si è gradualmente sviluppata e imposta come cultura, soprattutto nell’Occidente, è quella dell’usa e getta. Si fa con un fazzoletto, con un abbigliamento, con l’energia, con l’acqua, ma anche con le persone e con il partner. Data la complessità dell’argomento, le riflessioni che seguono si limitano all’abitudinario usa e getta delle cose. È un uso legato al benessere. Si è imposto come desiderabile. È infatti molto comodo. Consente di risparmiare fatiche e tempo e, apparentemente, di essere garante dell’igiene. In realtà sta creando montagne di rifiuti difficili da smaltire, con le conseguenti emissioni inquinanti.

È cosa risaputa che alla base di questo benessere che ha indotto l’abitudine dell’usa e getta ci sono gli interessi di un’economia che per sopravvivere ha bisogno di produrre e produrre, indipendentemente dal fatto che questo comporta la distruzione delle foreste (vedi Amazzonia), della biodiversità con le culture intensive e tanto altro, calpestando i diritti e la dignità degli indigeni, aumentando il numero dei poveri e facendo confluire la ricchezza in mano a pochi.

Le abitudini hanno una notevole incidenza sul nostro sistema psico-fisico. È loro caratteristica perdurare nel tempo. Cambiarle è molto difficile, ma possibile1. Di fronte a un’abitudine indesiderata è ingenuo credere che sia sufficiente saperlo e che basti dirsi o dire di non farlo. È nota la fatica di chi cerca, anche con l’aiuto di terapie adeguate, di smettere di fumare, di bere, di giocare. L’azione abitudinaria, dato che si fa senza riflettere, può anche essere in contrapposizione a quello che si pensa. Un giorno ho assistito a un piccolo episodio. La responsabile di una scuola primaria aveva organizzato, con entusiasmo, una mattinata per la presentazione del progetto: M’illumino di meno. Quando, poi, ha accompagnato i bambini a mensa, ha acceso tutte le luci dei corridoi, anche se ben illuminati dal sole. Di fronte a un comportamento del genere verrebbe spontaneo giudicare incoerente la persona. In realtà, in quel momento, la responsabile, presa dalla preoccupazione del gruppo, ha continuato a fare com’era abituata.

Con le abitudini non si scherza. Anche chi ha cultura e ricopre un’autorità deve fare conti seri con loro. L’abitudine all’usa e getta, allo spreco è diversa dalle altre. Si è infiltrata con il volto dalle mille possibilità, si è imposta come strumento di benessere, alleviatore delle fatiche. Dati gli aspetti positivi che porta con sé, rende sordi al grido della terra e dei poveri, difficoltosa la consapevolezza dei risvolti negativi e frena il cambiamento. Inoltre, pur volendo non sprecare, non sempre è possibile. Molto, infatti, anche solo riguardo il mercato alimentare, è impostato in modo da costringere a buttare. Basta pensare agli involucri delle monodosi, ai vuoti dei distributori automatici, all’uso delle plastiche. Di fronte a questa impostazione, il consigliato riciclaggio non è possibile, resta solo la magra libertà della raccolta differenziata.

Per arrestare questo spreco che crea montagne di rifiuti, sarebbero necessari interventi politici nazionali e sovranazionali, ma questi, essendo fortemente condizionati dall’economia, vanno molto a rilento. Tuttavia, sebbene sia forte e realistica l’impressione di dover lottare contro i donchisciotteschi mulini a vento, stanno fermentando e fiorendo molte iniziative motivate ad arginare e a cambiare rotta. Quelle che riguardano lo smaltimento pulito e la raccolta differenziata sono importanti, ma, garantendo il comodo usa e getta, non frenano lo sfruttamento della terra e dei poveri e le emissioni inquinanti.

L’ideale sarebbe quello di prevenire. Il preventivo fa parte del nostro DNA. Ha le radici nel passato, ma è volto al futuro con una carica irresistibile di speranza. La sua forza carismatica potrebbe, può, destare quella “sana inquietudine” di cui parla Papa Francesco, che non è agitazione, ma sguardo aperto alle possibilità di un futuro migliore. Potrebbe, può, come già in varie parti sta avvenendo, far lievitare quel pensiero critico che consente di discernere e contrastare le abitudini indotte dalla banalità della cultura consumistica; potrebbe, può, essere un efficace aiuto per discernere tra bisogni reali e bisogni indotti dal consumismo e acriticamente assunti, e per arrivare a scelte essenziali, al gusto di sentirsi liberi di far senza del superfluo anche se comodo.

Il problema ecologico, se compreso nella sua reale portata e urgenza, può suscitare un impegno carico di quell’entusiasmo responsabile che non teme la fatica, che si fa tanto più resiliente quanto più pesanti sono le difficoltà e che cerca di estendersi facendo rete. Ci vuole entusiasmo, resilienza, costanza, pazienza, tanta pazienza anche con se stessi. Superare, abbandonare abitudini che offrono comodità è faticoso per tutti. È una sfida enorme per l’autoformazione e ancor più per l’educazione. È una strada dura, ma indispensabile alla vera crescita delle persone e alla salute del Pianeta.

Stimolate da studi e ricerche scientifiche, dagli interventi accorati di Papa Francesco a cominciare dalla Laudato si’ e, non ultimo, dalle scelte del Capitolo Generale XXIV, stanno spuntando lodevoli iniziative. Ma, soprattutto nell’occidente, pur non mancando le conoscenze scientifiche, stenta a farsi strada quella consapevolezza che, diventando sana inquietudine, mette in movimento, anche se il cammino è scomodo, irto di imprevisti e non promette risultati economici efficienti e immediati.

Non si può più star a guardare. È necessario agire anche con azioni apparentemente inutili. Non mancano liste di consigli su comportamenti da evitare e da apprendere, nella speranza che diminuisca lo spreco e il cumulo dei rifiuti, il clima diventi più respirabile, il vivere più sobrio e la distribuzione dei beni più equa. Si può cominciare con alcune attenzioni personali apparentemente irrisorie come il risparmio e il riciclo della carta, la diminuzione dell’uso delle monodosi alimentari con l’utilizzo di prodotti sfusi (forse anche migliori) e il consumare un fazzoletto in meno alla settimana. Nelle annuali 52 settimane, diventerebbero oltre 5 pacchetti di meno da smaltire. Dal personale, il cerchio può allargarsi al comunitario con la diminuzione dell’uso della plastica nelle mense, negli incontri, nelle feste, e andare oltre facendo rete. 

  1. Cfr MAZZUCCHELLI Luca, Fattore1%. Piccole abitudini per grandi risultati, Giunti, Firenze 2022. ↩︎

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