Cura educativa e giustizia per tornare ad essere “umani”

«Credevamo di essere onnipotenti e sbagliavamo. Credevamo di aver capito tutto e non avevamo capito niente. Gli anni della pandemia hanno costituito un grande reset, per tante certezze e tante convinzioni, e il risultato è un trauma collettivo di cui oggi viviamo le conseguenze: una situazione di gravissimo contrasto sociale, patologie psicologiche diffuse in forme acute soprattutto tra i giovani, un’incertezza generale sul futuro».

Così esordisce Susanna Tamaro nel suo ultimo libro «Tornare umani» (2022): un tema accattivante, un’esortazione dal tono di rassicurante possibilità, un auspicio perchè l’umanità ritrovi il senso profondo di quella trama che da sempre ha ricollegato la sua convivenza. Perdono e gratitudine, anzitutto alla terra per averla umiliata, e per tutta quella lista di mancanze che come uomini e donne abbiamo stilato in nome di una giustizia fondata su logiche di potere e di efficienza che hanno generato aberranti e inaccettabili disuguaglianze.

La prospettiva che apre a un futuro diverso si potrebbe racchiudere in queste semplici parole: ‘tornare umani’. Non è uno slogan, né un titolo a effetto, ma un impegno prioritario e urgente da assumere. Ciò significa che la convivenza umana dovrà darsi una svolta, non più centrata su visioni egocentriche, su interessi di parte, su logiche di potere, dominio o sopraffazione sulle persone e sull’ambiente, ma basata sul rispetto, sulla giustizia e sulla cura, nella consapevolezza che la cura del pianeta è anche cura dei bisogni delle persone, specialmente quelle che vivono in condizioni di particolare vulnerabilità.

Questa è la sfida attuale: il coraggio di andare oltre il grido, il dolore e la crisi che ha investito rapidamente e con violenza il mondo contemporaneo. Come insiste Papa Francesco, non è più possibile far finta di non vedere e non sentire, dinanzi agli inediti progressi della scienza e della tecnologia che dovrebbero annullare la nostra cecità nei confronti della realtà e della verità. «Siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente» (FT 64). «Prendersi cura del mondo che ci circonda e ci sostiene significa prendersi cura di noi stessi. Ma abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune» (FT 17).

Cura educativa, espressione più alta della “cura dell’umano”

Le diverse forme di fragilità e sofferenza che si scorgono nella società contemporanea, soprattutto nel mondo giovanile, interpellano fortemente l’educazione.

Come rispondere se non in termini di cura educativa? Nell’attuale contesto socioculturale e politico è quanto mai necessario muoversi su tre frontiere d’azione: la frontiera drammatica dell’immigrazione, la frontiera sempre più tragica della povertà, la frontiera dell’emergenza educativa. L’invito pressante di Papa Francesco ricorda a tutti i credenti in Cristo di «aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità» (Misericordiae Vultus, 15).

Come coniugare insieme la giustizia e la cura, sia come credenti, sia come persone umane che per attitudine e sensibilità si prendono cura di quanti si trovano in difficoltà, sia come educatori/educatrici che si occupano soprattutto dei piccoli e dei poveri? Quali sono i percorsi educativi da proporre ai giovani perché divengano capaci di amare e servire gli altri in una società sempre più scossa da veri e propri drammi umanitari?

Tutto ciò sollecita da una parte cammini di conversione a livello personale e comunitario e dall’altra un ripensamento critico dell’educazione e del suo rapporto con la cura dell’umano, considerato nell’integralità delle sue dimensioni, tenendo conto anche della dimensione morale e religiosa e di quella più specificamente spirituale.

La categoria della “cura” è divenuta sempre più centrale nella nostra contemporaneità. Certamente richiede una presa in carico più decisiva da parte delle istituzioni, della Chiesa come dello Stato, ma il prendersi cura mette in gioco l’azione e il senso stesso dell’agire di genitori, maestri, educatori, medici, amici, come di qualunque mediazione educativa e formativa.

La cura è a fondamento della civiltà e governa le istituzioni che si occupano dell’educazione, della trasmissione dei valori e dei saperi, della tradizione. Il prendersi cura, il far crescere l’essere umano lungo il corso del suo sviluppo e dell’intera esistenza è un compito altamente ‘umano’, imprescindibile nel dinamismo di sviluppo dell’umanità.

Ed è proprio la cura dell’umano che, anche in situazioni sociali drammatiche, ricuce e dà fiducia, apre alla speranza e quindi al futuro. È una vera e propria rivoluzione sulla quale poi si innesta ogni solidarietà, ogni filantropia, ogni gesto di carità e opera di misericordia, come pure ogni esercizio di giustizia e di diritto. 

Educazione come ‘cura’ dell’esistenza umana

L’educazione oggi è continuamente sfidata da una realtà attraversata da profonde trasformazioni culturali e travolta da una crisi senza precedenti, una crisi che prima di essere economica, politica e sociale è antropologica. Rispondere alle tante emergenze che nascono in una società in crisi non è solo necessario ma urgente. «L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumere la responsabilità di salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo dei giovani»1. Non a caso la scelta di fondo dell’educazione come strategia prioritaria si è diffusa in tutti i continenti e in ogni paese, anche se non mancano le ambiguità perlopiù legate al modo di intendere l‘educazione e alla visione antropologica che la sottende.

Educare è la via privilegiata per umanizzare. «L’educazione dell’uomo è un risveglio umano» (Jacques Maritain). Difatti si apprende a essere uomini e donne proprio attraverso l’educazione. Educare è prendersi cura dell’umano per portarlo a pienezza, è sostenere e sviluppare processi di crescita e di innovazione a servizio delle persone e della società.

L’agire educativo trova la sua espressione e il suo fondamento nella cura, o meglio, nelle relazioni di cura, capaci di valorizzare la diversità, di aver cura dell’altro perché a sua volta apprenda ad aver cura di sé.

L’educazione allora trova nella categoria della cura educativa un principio ispiratore di progetti e buone prassi, una via privilegiata per la formazione degli educatori perché siano capaci di accostare l’umano mediante relazioni interpersonali che rigenerano e promuovono la vita, in una dinamica di reciprocità affettiva. La cura educativa diviene così espressione eloquente di quell’amore pedagogico tipicamente salesiano che consente ai giovani di sentirsi accettati, accolti e amati così come sono, e nello stesso tempo fa far loro l’esperienza della misericordia e della giustizia.

Cura di sé e dell’altro attraverso la dinamica della relazione

La cura è connotata da empatia, cioè da atteggiamenti che esprimono una modalità di approccio esistenziale fatto di tenerezza, disponibilità, dedizione, condivisione, compartecipazione, comprensione. Il prendersi cura è il risultato di una tensione intrinseca del vivere verso qualcuno o qualcosa assunta come un compito di vita e richiede una matura capacità di auto-trascendenza e di decentramento da sé. L’adulto si dimostra come un essere che cura e che riceve atti di cura e lo fa in maniera intenzionale cioè nella consapevolezza da parte di chi cura di assumersi con libertà e responsabilità la singolarità dell’altro. E questo esige un lavoro di cura su se stessi, un esercizio ‘ascetico’ di apertura, di dono di sé, mentre comporta un’istanza etica intrinseca, perché nell’atto di cura educativa la responsabilità evidenzia una direzionalità etica, una capacità di valutare assumendosi i rischi di tale decisione, un’azione migliore per sé e per l’altro.

E di tale afflato educativo bisogna riappropriarsi perché sia pervaso ogni itinerario umano e spirituale di crescita. Tocca agli educatori e a chi ha la responsabilità della loro formazione avviarsi in questo cammino di metamorfosi interiore per lasciarsi decentrare nella dinamica della relazione protesa verso qualcosa che sta al di fuori di sé, verso l’altro, la realtà, la natura per costruire attorno a noi un mondo più ‘abitabile’. 

  1. ARENDT Hannah, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, 255. ↩︎

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