La giustizia: conquista di ogni giorno

Gemma Capra Calabresi. Una donna esile e allo stesso tempo tenace, con lo sguardo dolce e profondo di chi ha combattuto e ne è uscita a testa alta.

Appare così Gemma Capra Calabresi che, il 17 maggio 1972, a soli 25 anni con due bambini piccoli e un terzo in grembo, perde il marito, il Commissario Luigi Calabresi, assassinato sotto casa a Milano nell’ambito delle indagini sulla strage di Piazza Fontana, di matrice terroristica. Quel giorno, alle 9:15 del mattino, inizia per lei un cammino “impervio e luminoso” di pacificazione e perdono che, a distanza di anni, ha deciso di raccontare, per dire a tutti che “il perdono è una forza, non una debolezza, il perdono fa sentire liberi, fa vivere in pace con Dio e con l’umanità”. La sua testimonianza disarma e commuove, perché vissuta fino in fondo; le sue parole non appaiono retoriche o scontate, perché conquistate giorno per giorno, in un calvario di processi in cui non ha perso la fiducia nell’umanità, insegnando ai suoi figli a non serbare rancore verso nessuno. Sono temi che appassionano e coinvolgono chi si occupa di giustizia riparativa e di perdono, come chi l’ha ascoltata, il 4 marzo 2023, al simposio su “La giustizia biblica e la fraternità”, organizzato in Vaticano dalla “Fondazione Fratelli Tutti” quale avvio dei Cammini Giubilari Sinodali. Ma come aiutare le generazioni di oggi e di domani a non alimentare l’odio e a credere nella giustizia? La Signora Gemma, dopo la morte del marito, ha insegnato Religione a bambini e bambine di scuola elementare, maturando insieme a loro le convinzioni che oggi la rendono una donna pacificata. Risponde alle domande con grande disponibilità e apertura di cuore.

“Il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno” (FT 11).
Come educare alla giustizia? Come insegnare ai bambini e ai giovani un cammino graduale verso la giustizia?

Come l’amore, la giustizia va conquistata ogni giorno. Così come il perdono, è un’esperienza difficile, lenta, ma che ogni giorno – così come la fede – va innaffiata. Ho cominciato il mio cammino di perdono, quello concreto e vero, dopo aver avuto verità e giustizia. Perché la verità e la giustizia sono fondamentali per la storia e la vita di un Paese, ma anche di una famiglia. Ho cercato giustizia proprio per i miei figli. Quando insegnavo Religione alle elementari, il mio insegnamento era proprio incentrato sullo scambio, sulla condivisione, sul riuscire a guardarsi negli occhi e chiarire immediatamente. C’erano scaramucce, gelosie, litigate, rabbia, quindi io insegnavo sempre ad avere un rapporto sincero, di dialogo. Anche ai miei figli ho insegnato a chiarire, a scusarsi, ad affrontare le situazioni. Secondo me, più che ai bambini, oggi bisogna parlare ai genitori, che tendono a minimizzare. È il genitore che deve far capire come conquistare ogni giorno questa giustizia che deve essere di tutti. Non c’è la giustizia del povero, del ricco: la giustizia è una, ed è di tutti, per tutti.

Quanto è importante cercare di “restare umani”, anche attraverso la cura della propria persona e degli altri, e quanto importante è stata la cura nella sua vita?

Io ho ricevuto tanta cura dagli altri. Ho scoperto l’importanza fondamentale degli altri, perché la cura è uno scambio, è qualcosa di reciproco, è farmi aiutare per poi aiutare. La cura è tutto quell’amore che io ho ricevuto dagli altri, tutta quella vicinanza che mi hanno dato, tutte le preghiere per me, quelle carezze, quelle strette di mano per la strada. Io ho sentito che ce l’avrei fatta perché non mi hanno lasciata sentire sola. La cura, per la mia esperienza, è condivisione, e gli altri sono stati la ricchezza più grande che ho avuto. A volte noi guardiamo gli altri in modo strano, li temiamo, non ci apriamo. Gli altri sono un patrimonio che abbiamo.

Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire” (EG 59).
Tante volte è più facile scendere a compromessi, reagire con rabbia o con omertà. Come insegnare ai giovani a non cedere al male?

Intanto bisogna insegnare a non nascondersi ‘dietro un dito’. Quando sono andata a incontrare Leonardo Marino, che nel commando dell’uccisione di mio marito guidava l’auto, lui mi ha detto: “Io ho solo guidato la macchina, uccidere è un po’ diverso”. Allora io gli ho risposto: “Lei portava la persona che avrebbe ucciso, sapeva cosa andava a fare, quindi non è meno grave”. Ognuno deve conoscere la responsabilità, il ruolo che ha quando fa del male e, naturalmente, anche quando fa del bene. Sempre, nella nostra vita, dobbiamo imparare a conoscere il nostro posto, nel bene e nel male. Io comunque l’ho perdonato, però non gli ho fatto sconti, perché doveva sapere la sua responsabilità, doveva capirla. Se gli avessi detto “lei guidava solo la macchina, non ci pensi più’”, secondo me non avrei fatto il suo bene. Lui ha dovuto fare i nomi dei mandanti e dell’assassino e mi ha detto: “Li ho traditi”. Ho risposto: “Ricordati che quando si dice la verità non si tradisce mai, perché la verità è una. E quindi quando si dice il vero – come ci ha insegnato Gesù Cristo – non si tradisce”. I miei figli, che sono andati da lui perché volevano capire, al ritorno mi hanno detto: “Come siamo fortunati per l’educazione, per gli esempi, per l’amore che abbiamo avuto”. Loro hanno capito come certe vite difficili – di stenti, di sacrifici, di rabbia, di sfortuna – possono portare a scelte sbagliate. Io penso che, quando andremo ‘lassù’, saranno davanti a noi mille miglia, per la fatica che hanno fatto, già da quando sono nati. Quindi noi abbiamo delle responsabilità davvero grandi. Ecco perché mi dico: che diritto ho di relegare queste persone per tutta la vita all’atto peggiore che hanno compiuto?

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