Due aspetti vorrei sottolineare con riferimento all’ecologia del corpo: l’aspirazione a controllare il proprio corpo attraverso la scienza e a gestire liberamente le relazioni affettivo-amorose, due aspetti con cui siamo destinati a fare i conti, proprio perché comportamenti innovativi, relativi ad ambito circoscritto (sociale, economico o istituzionale) avanzano nel mainstreaming culturale e diventano prassi, costumi, leggi.
Quanto al controllo del corpo, negli ultimi tempi cresce l’aspirazione a gestire la propria identità correggendo e eliminando ciò che con è confacente al proprio ideale di bellezza e salute. Correggere o ‘rifare’ occhi, labbra, seno, glutei è solo questione di soldi. Così pure per l’appartenenza sessuale. Si rifiutano non più solo gli antichi modelli di genere, ma la stessa configurazione delle identità sessuali maschili e femminili. Si preferisce sbizzarrirsi nella ricerca di identità mobili, senza frontiere, secondo l’orientamento di ciascuno, sottomettendo il corpo a prove di laboratorio dalle dubbie conseguenze.
Il cosiddetto “post umanesimo” incoraggia le speranze nel potere dell’ingegneria e della politica che investono su ricerche innovative, in risposta alle sollecitazioni bizzarre degli utenti, alla boria degli scienziati e agli interessi dei committenti: manipolazione del DNA, innesto di protesi meccaniche, nanotecnologia, crionica (ibernazione in attesa di tempi migliori), neurofarmacologia, intelligenza artificiale (che per certi versi supera quella umana), interfaccia tra mente e macchine, trasferimento della coscienza su un supporto digitale (“mind uploading” che suppone la compatibilità della mente con l’hardware dei computer), microchip sottocutanei in grado di mappare ogni spostamento e scaricare informazioni, computer biologici impiantabili nel corpo umano, capaci di replicarsi come le cellule, esoscheletri (muscolature artificiali), organi bionici dalle prestazioni spettacolari, uteri artefatti in grado di “emancipare” la donna dalla gravidanza.
Molti di questi obiettivi appaiono miraggi che, quando realizzabili, non cancellerebbero il sospetto di procedere in senso anti-ecologico, in contraddizione col montante sentimento planetario di rispetto per l’ecosistema, di cui è porta bandiera Greta Thunberg. Ci si domanda: quale egosintonia, tanto invocata per giustificare i cambi di sesso, se si delega alla scienza il potere sui corpi? Come conciliare gli interventi manipolativi con l’appello a non alterare l’‘ecosistema’? Quante risorse è giusto spendere per modificare il sesso e ridefinire le identità, a fronte del crescente divario tra poveri e ricchi? Quanto tempo s’impiega per rompere i confini tra reale e virtuale, persona e avatar, abbandonando la presa diretta su obiettivi più concreti e solidaristici?
Non è il caso certo di rifiutare pregiudizialmente ogni aspetto del post-umanesimo, come spesso gran parte del mondo cattolico ha fatto in passato nei confronti delle innovazioni. È normale che tra le aspirazioni umane ineliminabili c’è di disporre di sistemi innovativi per migliorare la qualità della vita, prolungare la giovinezza e la durata, promuovere l’industria genetica e farmaceutica, sconfiggere le malattie, sostituire parti del corpo danneggiate con protesi artificiali… Tuttavia la ricerca scientifica e le tecnologie non sono neutre; tutto dipende dagli obiettivi proposti, dalle procedure per realizzarli e dalla responsabilità morale dei protagonisti.
L’ala più avveduta del femminismo di ispirazione “personalista” è opportunamente prudente, giacché troppi modelli esaltati come nuovi finiscono per costruire gabbie uguali o peggiori delle vecchie. Inoltre, sono sempre possibili fallimenti degli esperimenti scientifici a dimostrazione che gli obiettivi di una vita buona e felice non possono essere raggiunti poggiando solo sulla scienza. Oggi più di ieri si avverte la necessità di concordare su un’etica pubblica che imponga limiti alle ricerche, le incoraggi a promuovere una vita buona e felice e scoraggi l’ottimismo ingenuo di chi pensa che tutto ciò che è tecnologicamente possibile debba essere realizzato. Meglio procedere a tentoni, ponderando i costi in termini umani, le risorse da impiegare, le possibili e spesso imprevedibili conseguenze boomerang.
L’ecologia umana richiama poi l’attenzione al cambiamento di paradigma delle manifestazioni affettivo-erotiche. Le nuove generazioni rifiutano ogni atteggiamento moralistico negativo. Conoscersi, trovarsi attraenti, sperimentare l’intimità corporea sono considerati passi inevitabilmente conseguenti, legati al sentire di ciascuno e non alla promessa di fedeltà e tanto meno alla istituzione matrimoniale.
Quanto al mondo cristiano e cattolico, bisogna riconoscere che negli ultimi decenni è cambiato il valore attribuito all’eros: non è più il necessario esito premiale di un fidanzamento casto, da benedire in funzione dei figli, ma l’espressione di un linguaggio di comunicazione corporea che coinvolge tutta la persona nel processo delle relazioni io tu. Ciò che attiene all’attrazione sessuale, alle carezze, ai baci, ai giochi d’amore non è inteso solo come una tecnica per arrivare all’obiettivo erotico e/o alla procreazione, ma è considerato costitutivo della relazione di comunicazione tra due persone. Tutte le modalità di comunicazione sono vie di apprendimento dell’arte di amare che, tra successi e fallimenti, avanzamenti e arretramenti, educano alla trascendenza di sé. Il mix di amore libidine e di amore donativo impedisce di dare giudizi netti rifiutando i primi ed esaltando i secondi, giacché tutte le azioni umane presentano spinte egoistiche e altruistiche, compreso l’amore materno, che è apparentemente quello più altruistico che conosciamo. Tutti gli affetti sono soggetti a processi di progressiva purificazione orientati dagli attori sociali sollecitati dagli eventi.
Benedetto XVI, con riferimento ai processi dell’amore, ha sottolineato la compresenza di eros e agape, attrazione umana e amore donativo che impedisce di spaccare sentenze e che spinge coloro che si amano a non restare inebriati e ingabbiati dalla libido. Impedisce altresì a coloro che hanno scelto la verginità del corpo di considerarsi immuni dai moti dell’attrazione affettiva-erotica (la ‘neutralità’ spesso nasconde tumulti soffocati, sempre a rischio di esplodere) facendo l’abitudine a stringere tante mani senza sapere cosa realmente significa stringerne una. «Tra l’amore e il Divino – ha scritto – esiste una qualche relazione: l’amore promette infinità, eternità, una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere. Ma al contempo è apparso che la via per tale traguardo non sta semplicemente nel lasciarsi sopraffare dall’istinto. Sono necessarie purificazioni e maturazioni […] non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l’uomo, la persona […]. Solo in questo modo l’amore – l’eros – può maturare fino alla sua vera grandezza… Adesso l’amore diventa cura dell’altro e per l’altro. Non cerca più se stesso, l’immersione nell’ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell’amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca»1.
Questo bel passo di Benedetto XVI riconosce umilmente la necessità di sottoporre i moti del cuore ad un processo di apprendimento delle buone relazioni affettive che non disdegna l’eros corporeo ma che al contempo apprende tacitamente a non fermarsi ai corpi, a non idolatrare la persona amata e non trascurarla, a stimarla e rispettarne il pudore, ad esercitarsi nel donarle gioia, ad assumere la responsabilità della cura del suo corpo come fosse il proprio: tutti aspetti di una ecologia dei rapporti interpersonali.
Il più delle volte s’impara non tanto dalle regole della morale, ma dall’esperienza e dalle testimonianze di persone credibili, le quali anche senza parlare educano a volere il bene dell’atro oltre che il proprio, ad essere prudenti, a tenere conto che l’amore è sempre a rischio di spegnersi se pospone l’altro all’io, se non viene alimentato, se punta ad una fusione che annulla la distanza. Scrive Simone Weil: «In un’amicizia perfetta… I due amici accettano pienamente di essere due creature distinte. È solo con Dio che l’uomo ha il diritto di desiderare di essere direttamente unito»2.