Un futuro sostenibile
Un futuro sostenibile è quello in cui il “grido dei poveri” e il “grido della terra” è meno stridente, meno forte. È un futuro in cui il divario tra i ricchi e i poveri in ogni Paese del mondo si riduce, in cui ci sono meno poveri e affamati nelle nostre città e nei nostri Paesi, meno disoccupati ed emarginati. Ma è anche un futuro in cui ogni persona umana non solo ha preso coscienza del fatto che la nostra terra è in fiamme, ma ha anche messo in pratica un cambiamento nello stile di vita a beneficio dell’ambiente e questo a tutti i livelli dell’esistenza umana come persone singole, famiglie, comunità, istituzioni, ecc.
“Questo solo è peccato,
origine di ogni altro errare:
il non aver saputo
che la terra è di Dio.
Ed Egli è nel cuore delle cerve
e sotto le ali delle rondini.
Allora, o creature innocenti, pure voi aiutatelo
a chiedere perdono.”
David Maria Turoldo
Per poter lavorare a un futuro sostenibile abbiamo bisogno di cambiare le lenti con cui guardiamo il nostro mondo. Passare da una visione economicistica, ad una più olistica, e cioè quella dell’ecologia integrale. Essa è il paradigma attraverso il quale guardiamo ai concetti interrelati di ecologia, economia e sostenibilità. Guardare attraverso le lenti dell’ecologia integrale significa riconoscere che i diversi sistemi di conoscenza devono essere in dialogo, come ci ricorda Papa Francesco:
“Data la complessità della crisi ecologica e delle sue molteplici cause, dobbiamo renderci conto che le soluzioni non emergeranno da un solo modo di interpretare e trasformare la realtà. Occorre anche rispettare le varie ricchezze culturali dei diversi popoli, la loro arte e poesia, la loro vita interiore e la loro spiritualità. Se siamo veramente preoccupati di sviluppare un’ecologia capace di rimediare ai danni che abbiamo fatto, nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza possono essere lasciati fuori, e questo include la religione e il linguaggio che le è proprio” (LS 63).
Sia il nostro sistema economico, sia il concetto e la pratica della sostenibilità sono stati criticati da una prospettiva di ecologia integrale. In effetti la parola economia deriva da “oikos-nomos”, gestione e cura della casa, e del pianeta terra; amministrazione della casa, della sostanza, del patrimonio, e insieme custodia del pianeta: di questo si occupa, o meglio dovrebbe occuparsi l’economia. Un’economia che distrugge l’ambiente è dunque un ossimoro, e se questo accade vuol dire che per strada ci siamo persi qualcosa.
Forse l’oikos nei secoli è stato inteso come casa privata più che come casa comune, ed è stato guardato con occhi maschili più che femminili. Ci si è curati dunque dei beni privati, delle imprese, dei contratti, e poco dei beni comuni, del bene-stare, delle relazioni. Ma una città, una società, non può essere solo un insieme di beni privati.
L’economia circolare
Nella Laudato si’ leggiamo: «Non si è ancora riusciti ad adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare. Affrontare tale questione sarebbe un modo di contrastare la cultura dello scarto che finisce per danneggiare il pianeta intero» (22).
Nel modello lineare si impiegano risorse per la produzione, scartando i rifiuti, e producendo beni che verranno poi buttati o eliminati. Si presta poca attenzione al fatto che i prodotti, una volta usati, e gli scarti di produzione, possano essere nuovamente messi in uso o reinseriti nel processo produttivo. Un’economia circolare, invece, è un’economia che dà vita a catene produttive che limitano gli sprechi, sono alimentate da energie rinnovabili, e le risorse naturali utilizzate vengono inserite in circuiti connessi, in cui già durante la produzione si pensa a come utilizzare o riutilizzare gli scarti. Tutto di un prodotto viene ideato pensando a come minimizzare gli sprechi e l’uso di risorse. Per fare un esempio, visitando un impianto di riciclo dei rifiuti, ho imparato che i moderni imballaggi delle confezioni di bottiglie d’acqua o di bibite, o le loro etichette, per come sono fatti, rallentano il processo di separazione dei rifiuti (anche per i colori e le forme che hanno). Se chi progetta e realizza questi imballaggi avesse in mente i temi della sostenibilità ambientale e i processi per il riutilizzo della plastica forse li penserebbe in maniera diversa. L’economia ecologica non è qualcosa di astratto, ma chiede uno sforzo collettivo e un impegno innanzitutto di conoscenza.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una sempre maggiore consapevolezza dell’esigenza di cambiare e ci si è mobilitati a livello internazionale. L’agenda 2030 e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite spingono verso la sostenibilità. Ma quale è la differenza tra questi obiettivi e quelli della Laudato Si’? “Mentre l’Agenda 2030 cerca di riparare in modo significativo l’attuale modello economico globale, l’enciclica chiede di respingere l’egemonia economica e di aumentare la responsabilità etica a tutti i livelli. Mentre l’Agenda 2030 immagina un’economia verde con sfumature socialdemocratiche, l’enciclica prevede un’era post-capitalista, basata su un cambiamento culturale verso l’eco-solidarietà” (Sachs, 2017).
È chiaro su questo punto Papa Francesco quando si rivolge ai giovani di Economy of Francesco: “Un’economia che si lascia ispirare dalla dimensione profetica si esprime oggi in una visione nuova dell’ambiente e della terra. Dobbiamo andare a questa armonia con l’ambiente, con la terra. Sono tante le persone, le imprese e le istituzioni che stanno operando una conversione ecologica. Bisogna andare avanti su questa strada, e fare di più. Questo “di più” voi lo state facendo e lo state chiedendo a tutti. Non basta fare il maquillage, bisogna mettere in discussione il modello di sviluppo. La situazione è tale che non possiamo soltanto aspettare il prossimo summit internazionale, che può non servire: la terra brucia oggi, ed è oggi che dobbiamo cambiare, a tutti i livelli” (Francesco, 24 settembre 2022).
L’altro punto che Papa Francesco consegna ai giovani è “il principio etico universale – che però non piace – che i danni vanno riparati. Questo è un principio etico, universale: i danni vanno riparati. Se siamo cresciuti abusando del pianeta e dell’atmosfera, oggi dobbiamo imparare a fare anche sacrifici negli stili di vita ancora insostenibili. Altrimenti, saranno i nostri figli e i nostri nipoti a pagare il conto, un conto che sarà troppo alto e troppo ingiusto”.
L’economia della ciambella: un nuovo paradigma
Un contributo interessante e innovativo che tenta di sviluppare un approccio diverso all’economia e ai suoi modelli, è quello di Kate Raworth, sintetizzato in un libro diventato ormai famoso: L’economia della ciambella (The Doughnut Economics). L’autrice in maniera intelligente si chiede come mai alcuni modelli economici si sono fatti strada nella storia, anche se ritenuti poco aderenti alla realtà. E individua nel potere delle immagini e dei grafici il successo di tanta teoria economica lungo i secoli. Se dunque vogliamo cambiare il pensiero economico, dobbiamo cambiarne le rappresentazioni.
Ed ecco che dagli assi cartesiani, dove il meglio è sempre in alto e a destra, passiamo alla ciambella, dove tutto lo sforzo è fatto per rimanere nei limiti della sua parte edibile.
In un passaggio del libro, l’autrice si sofferma sul principio di non sazietà e sulla crescita: «Metafore spaziali come “buono è in alto” e “buono è davanti” si sono profondamente radicate nella cultura occidentale, modellando il nostro modo di pensare e parlare.” E conclude che è necessario un profondo cambiamento nelle nostre metafore: da «buono è verso l’alto» a «buono è in equilibrio».
Kate Raworth descrive gli obiettivi di lungo termine dell’umanità con l’immagine di una ciambella, cioè di due cerchi concentrici. Dentro il cerchio interno (nel buco) si trovano le privazioni critiche per l’umanità (analfabetismo, fame, ecc.); oltre il cerchio esterno, che rappresenta il tetto ecologico, ci sono il degrado ambientale, i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità, ecc.
Tra i due cerchi, la cosiddetta ciambella: lo spazio entro il quale possiamo soddisfare i bisogni di tutti nei limiti del pianeta. L’immagine della ciambella ci fa pensare anche ad un salvagente: l’ultima occasione che abbiamo di ripensare la nostra economia e di salvarci.
Per l’autrice esistono sette mosse per rendere equo e sostenibile il modello economico di oggi e sono:
1. Cambiare obiettivo: passare da un’economia incentrata solo sulla crescita del Pil a un’economia che rispetta i diritti umani di ognuno e il Pianeta. Tutto ciò è sintetizzato nell’immagine della ciambella. Cosa è esattamente la ciambella? «È una bussola radicalmente nuova per orientare l’umanità in questo secolo. E punta verso un futuro che può soddisfare i bisogni di ogni persona – come cibo, acqua, alloggio, energia, sanità e istruzione – salvaguardando simultaneamente il mondo vivente da cui dipendiamo» (79).1
2. Vedere l’immagine complessiva: nelle nostre rappresentazioni del sistema economico abbiamo dimenticato alcuni elementi, come la natura e l’energia, mentre ne abbiamo troppo enfatizzato altri, come il mercato e la finanza.
3. Coltivare la natura umana: la scienza economica, lo sappiamo, per lungo tempo ha ragionato attraverso le lenti dell’Homo oeconomicus, che è visto come egoista, avaloriale, isolato, calcolatore e dominatore della natura. Proviamo invece a pensare l’essere umano come sociale e aperto alla condivisione, interdipendente, non calcolatore e profondamente intrecciato al groviglio della vita e della natura.
4. Imparare a capire i sistemi: partendo da Newton e dalla sua mela che da sempre ha aiutato gli economisti a spiegare e intendere l’economia, prendendo in prestito le leggi della fisica, la Raworth considera l’economia come l’albero da cui la mela è caduta. L’economia, come l’albero, cresce grazie ad un «affascinante gioco di relazioni, tra alberi e insetti, sole e foglie, radici e pioggia, boccioli e semi». L’economia, quindi, non può essere definita come un meccanismo stabile (errore degli economisti), ma come un sistema complesso di esseri umani interdipendenti in un mondo dinamico.
5. Progettare per ridistribuire: «Niente dolore, niente guadagno». Questo è il motto che gli economisti, citando Schwarzenegger, utilizzano per spiegare che le Nazioni devono sopportare il dolore sociale della diseguaglianza se vogliono creare una società più ricca e più equa per tutti.
Per la Raworth questo motto racchiude, però, una scelta dannosa che spinge l’umanità ancora più fuori la ciambella. La diseguaglianza, per la scrittrice, non colpisce solo i poveri, ma tutto il tessuto sociale; quindi è necessario poter ridistribuire, sì il reddito ma, soprattutto, la ricchezza.
6. Creare per rigenerare: Il sistema che normalmente prendiamo a modello è un’organizzazione economica lineare e degenerativa che viene raffigurata come “un bruco”: dalla testa, questo, prende le materie prime (“le mangia”), le lavora, le usa e le getta, quindi estrae materiali, li lavora per ottenere prodotti, li vende ai consumatori che poi li butteranno. Questo, dice Kate, «assomiglia a un bruco industriale, che ingerisce cibo a un’estremità e espelle sostanze di scarto dall’altra». Per passare dal bruco all’economia circolare della farfalla è necessario che le aziende siano generose. L’economia rigenerativa per progetto (o della farfalla) funziona grazie a energia rinnovabile che elimina sostanze tossiche e rifiuti. In che modo? Fa sì che gli scarti, anziché andare in discarica, siano le materie prime per il processo successivo (“rifiuti uguale alimenti”). I due cicli (che corrispondono alle due ali della farfalla) sono: quello relativo al biologico (terreno, vegetali, animali) e quello tecnico (relativo ai materiali sintetici, alla plastica). Il primo ciclo, quello biologico, è il ciclo rigenerante, mentre l’altro è quello ripristinante (riciclare, rinnovare i materiali).
7. Essere agnostici sulla crescita: bisogna non solo andare oltre l’utilizzo del Pil, ma superare l’assuefazione finanziaria. Ogni economista mainstream traccerà una linea che sale all’infinito (curva esponenziale della crescita) per rappresentare il Pil. Ovviamente ci sono due possibilità sul futuro andamento della linea: o continuerà a salire all’infinito, o può cominciare ad appiattirsi per poi alla fine stabilizzarsi su un dato livello. L’economia della Ciambella è contro la crescita senza limiti del Pil.
Grazie ai sette passi, per pensare come un’economista del XXI secolo, si può arrivare a un’economia circolare capace di rigenerare i sistemi naturali e di redistribuire le risorse, consentendo a tutti di vivere una vita dignitosa in uno spazio sicuro ed equo, eliminando il concetto di crescita illimitata che non tiene conto delle diseguaglianze.
Il ruolo della finanza
In tutto questo discorso su sostenibilità, rigenerazione, soddisfacimento dei bisogni fondamentali di tutti, rispetto della terra, quale ruolo gioca o può giocare la finanza?
Negli ultimi anni sta crescendo la consapevolezza che gli investimenti finanziari fatti dalle famiglie, dalle imprese, dalle compagnie, ecc., possono avere un impatto positivo per andare verso un’economia ecologica. Generare impatto socio-ambientale senza rinunciare al ritorno finanziario. È il principio alla base dell’impact investing, una strategia di investimento sostenibile e responsabile (o Sri) che si sta diffondendo sempre più negli ultimi anni.
Come funziona la finanza sostenibile, come avviene la selezione di fondi che possano garantire la sostenibilità? Le società di gestione del risparmio più attente a queste dimensioni solitamente operano con due criteri, quello dell’esclusione di chi non garantisce sostenibilità e quello del premio di chi opera in maniera virtuosa.
Si parte innanzitutto da criteri di esclusione nella selezione del portafoglio di titoli, cioè azioni e obbligazioni di Stati e Imprese che rientrano in un fondo di investimento:
– esclusioni settoriali (settore petrolifero, azzardo, ecc.)
– esclusioni in base al mancato rispetto di convenzioni internazionali (mine antiuomo, biodiversità, corruzione, norme sui lavoratori…)
– esclusione in base al mancato rispetto dei diritti umani (esclusione di Stati che applicano la pena di morte, ecc.).
Esclusi imprese e Stati che non rientrano nei criteri stabiliti, si procede alla costruzione di una classifica, per poter selezionare le migliori compagnie secondo alcuni criteri:
– ambientali (riduzione emissioni inquinanti, uso efficiente dell’energia, rendicontazione ambientale, ecc.)
– sociali (salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, politiche per il rispetto dei diritti umani, pari opportunità e parità di genere)
– governance (presenza di un codice etico, piani di remunerazione, ecc.)
Le imprese e gli Stati che passano questi screening entreranno nell’universo investibile dei fondi che vogliono garantire criteri di sostenibilità agli investitori.
Anche nel campo della finanza è necessario, oggi più che mai, camminare nella linea, offerta dall’enciclica Laudato si’, di un’ecologia integrale. Le piccole o grandi somme investite in fondi che finanziano imprese dannose per l’ambiente, o dove i diritti dei lavoratori non sono rispettati, ci rendono complici di un sistema che al tempo stesso denunciamo a gran voce. Se negli investimenti si guarda solo al ritorno finanziario dobbiamo chiederci sulle spalle di chi va a ricadere quel di più che arriva nelle nostre tasche.
Al tempo stesso, anche qui bisogna vigilare affinché il mondo della finanza verde e sostenibile non sia solo un ulteriore e nemmeno troppo mascherato tentativo di allargare il mercato delle società finanziarie, che usano ‘pseudo’ fondi verdi per farsi pubblicità.
Non è tempo per operazioni di superficie: di fronte ai giovani, alla loro consapevolezza più viva della necessità di un cambio di rotta, abbiamo la responsabilità di andare a fondo, di metterci in questione radicalmente e di mostrare che, sebbene siamo parte di un mondo a pezzi e abbiamo contribuito a ciò che oggi ci fa temere per il futuro, è possibile cambiare. Un futuro sostenibile inizia oggi ed è un debito che dobbiamo saldare, almeno in parte, recuperando e rilanciando una visione olistica, integrale, profetica del presente. Questo è il contributo che papa Francesco ha inteso dare nelle indissolubili encicliche Laudato sì e Fratelli tutti: l’ha fatto coinvolgendoci, chiamando tutti a una nuova empatia e all’azione concreta. Si chiama nel linguaggio della tradizione cristiana: “conversione”. Un cambio di prospettiva e di passo. Un cambio di direzione possibile adesso e a ciascuno.
- K. Raworth (2017), L’economia della ciambella, Edizioni Ambiente, pag. 66. ↩︎