La cura del creato

Nell’enciclica Laudato si’ (LS) viene delineata una vera e propria «cultura della cura» che si compone sia di piccoli gesti quotidiani sia di strategie ampie ed organizzate. Fondamento per la promozione di una tale cultura è l’educazione.

«Nulla sarà possibile se le soluzioni politiche e tecniche non vengono accompagnate da un processo educativo che promuova nuovi stili di vita. Un nuovo stile culturale. Ciò richiede una formazione destinata a far crescere in tutti l’assunzione di una cultura della cura: cura di sé, cura degli altri, cura dell’ambiente, al posto della cultura del degrado e dello scarto: scarto di sé, dell’altro e dell’ambiente» (Papa Francesco, Visita all’Ufficio delle Nazioni Unite a Nairobi, 26 novembre 2015). 

  Lasciarsi interpellare

La cura per il pianeta e per gli altri esseri umani si radica nella capacità di guardare oltre se stessi e i propri bisogni e di lasciarsi interpellare dall’alterità. È possibile considerare l’impatto che le proprie azioni hanno su ciò che ci circonda esclusivamente superando un atteggiamento autoreferenziale e isolato. Solo quando gli esseri umani si pensano uniti e veramente connessi ai loro simili e alla natura possono portare avanti stili di vita maggiormente sostenibili e partecipare al cambiamento della società.

È importante porre in evidenza come l’esperienza di qualcuno che si prende cura di un altro sia una realtà comune a tutti gli esseri umani fin dai primissimi giorni di vita. La stessa sopravvivenza sarebbe impossibile senza le cure di qualcun altro. Per questo è possibile definire la cura come «un fenomeno ontologicamente costitutivo della condizione umana» (L. MORTARI – F. VALBUSA 2020). 

Indubbiamente ci sono fasi della vita in cui l’esperienza di una condizione di fragilità rende il bisogno di cura maggiormente percepito, come durante l’infanzia, la malattia o la vecchiaia. A ben pensare, però, gli esseri umani sono assetati di cura in tutte le fasi della propria esistenza. Il bisogno di ricevere la cura dell’altro si situa, quindi, nell’essenza relazionale della condizione umana. Siamo esseri relazionali, fragili ed incompiuti. 

L’etica della cura mette al centro le persone e la relazione che le lega, caratterizzata da vicinanza, ricettività e coinvolgimento. Sperimentando in prima persona le cure amorevoli di un altro si apre la possibilità di vivere a propria volta donando attenzione e cura alle altre persone e all’ambiente circostante. Da queste considerazioni trae origine una pedagogia della cura fondata sulla vulnerabilità dell’essere umano, bisognoso di cura da parte degli altri in ogni fase della propria vita. L’abitudine alla disponibilità e alla cura verso gli altri si acquisiscono nella vita di tutti i giorni, quasi inconsapevolmente, tramite le piccole azioni quotidiane imparate in famiglia, a scuola e con gli amici. Per questo motivo è necessario che i processi educativi che mirano allo sviluppo di questa capacità abbiano per oggetto le esperienze reali vissute dagli allievi, la loro stessa vita.

Le strategie per la cura

Dimostrando l’importanza della cura e della relazione nel raggiungere gli obiettivi formativi, Nel Noddings evidenzia quattro strategie per apprendere in modo efficace una certa propensione alla cura degli altri (N. NODDINGS 1988). 

Innanzitutto, è necessario avere modelli a cui ispirarsi che rafforzino il messaggio implicito contenuto nell’esperienza della cura ricevuta da altri fin da bambini. Anche papa Francesco propone alcuni esempi perché possano ispirare chi legge l’enciclica. «Un esempio bello e motivante» è San Francesco d’Assisi, a cui il pontefice allude fin dal titolo del documento (LS 10-12).

Il santo è il miglior modello di chi si prende cura di ciò che è fragile e di una vita semplice e autentica che con le categorie di oggi si potrebbe definire all’insegna dell’ecologia integrale. San Francesco è anche fonte di ispirazione per porre la relazione con l’ambiente che ci circonda alla base di una profonda conversione personale. 

Il poverello di Assisi non è l’unico modello proposto dalla LS, che suggerisce anche l’esperienza di santa Teresa di Lisieux (LS 230) come testimone di pace, amore e gentilezza nei piccoli gesti quotidiani, capaci di scavare e irrompere, come una goccia, nella roccia della violenza e dell’egoismo.

Una seconda strategia per realizzare una pedagogia della cura è il dialogo. Esso, infatti, si basa su un ascolto attivo ed interessato della persona che si ha di fronte, per intuire realmente il bisogno e una possibile via di aiuto. Il dialogo è essenziale nella cura quanto nella relazione stessa, come possibilità di incontro e confronto, scambio di punti di vista e occasione di crescita. La prospettiva del dialogo è la stessa che anima la scrittura della LS che fin nelle parole d’apertura rende esplicito l’intento di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune. Un dialogo senza esclusi, che coinvolge i singoli cittadini ma anche e soprattutto le istituzioni politiche, economiche e religiose, nella consapevolezza che solo un vero incontro può favorire la riflessione e far maturare la sapienza.

Il valore della pratica

Un’ulteriore strategia pedagogica è dare ampio spazio alla pratica. Le esperienze in cui siamo immersi formano una sorta di mentalità che successivamente indirizza il nostro agire. Per insegnare una mentalità della cura è quindi indispensabile immergere gli educandi in azioni di cura: proporre loro di realizzarle in prima persona e creare occasioni in cui siano testimoni delle azioni compiute dagli altri.

Infatti: «la qualità essenziale della cura è quella di essere una pratica: c’è cura soltanto laddove c’è una persona che agisce, con i gesti o con le parole. Tali gesti e parole sono accompagnati da pensieri e sentimenti di cura, poiché l’azione di cura è sempre cognitivamente ed emozionalmente densa; tuttavia, siamo in presenza di un fenomeno di cura solo laddove c’è una pratica effettiva» (L. MORTARI – F. VALBUSA 2020). 

Affinché poi questo patrimonio si sedimenti e si traduca in apprendimenti significativi è utile investire del tempo per una riflessione comunitaria condivisa. In questo modo la vita stessa vissuta dagli allievi diventa l’oggetto della proposta educativa. Anche in questo caso c’è forte corrispondenza tematica con quanto emerge dalla LS. 

Preoccupazione costante di Bergoglio è, infatti, tradurre in esperienze concrete i desideri di cura per il pianeta. Da tempo sono nati movimenti giovanili per la tutela e la salvaguardia del creato, ma la difficoltà più grande è far sì che gli ideali si trasformino in esperienze concrete superando la mentalità consumista e individualista che pervade la società contemporanea. È quindi possibile affermare che l’impegno pedagogico a favore di un’ecologia integrale cominci proprio nel prendere sul serio questa sfida e nel progettare percorsi didattici che diano ampio spazio all’esperienza, sull’esempio dei tanti «educatori capaci di reimpostare gli itinerari pedagogici di un’etica ecologica, in modo che aiutino effettivamente a crescere nella solidarietà, nella responsabilità e nella cura basata sulla compassione» (LS 210).

Intrecciare aspettative e desideri

Il quarto ed ultimo passo per una pedagogia della cura viene chiamato da Noddings «conferma» e riguarda lo sforzo pedagogico di incoraggiare e fare emergere il meglio dei propri studenti. Per ottenere questo risultato è indispensabile una conoscenza profonda dei propri allievi affinché le aspettative dell’insegnante possano realisticamente basarsi sui desideri degli studenti stessi e non vi siano forzature che contraddicono le naturali inclinazioni, passioni e obiettivi personali. Risulta quindi immediatamente evidente quanto sia decisivo instaurare una relazione educativa positiva tra educatore e educando fondata sulla fiducia reciproca, sull’accoglienza e sulla cura, poiché solo in un ambiente con queste specificità si possono raggiungere dei cambiamenti veritieri e duraturi. Consapevoli anche che, nell’esperienza educativa, avere cura dell’altro significa primariamente renderlo capace di scegliere in modo autonomo e di soddisfare i propri bisogni, farlo fiorire verso una maturazione che lo renderà a sua volta capace di curare coloro che incontrerà sul suo cammino personale.

Comunità di cura

Per realizzare pienamente una pedagogia della cura è inoltre necessaria una riorganizzazione delle istituzioni educative affinché si profilino come vere e proprie comunità della cura con alcune imprescindibili caratteristiche: chiarezza nella progettualità educativa, coordinamento tra tutti gli agenti coinvolti nell’educazione e quindi tra le differenti agenzie educative primariamente tra le famiglie e l’istituzione scolastica e un solido legame tra la scuola ed il contesto sociale in cui è inserita affinché possano moltiplicarsi le opportunità di apprendimento e, conseguentemente, gli educandi siano sempre più motivati a prendersi cura dell’ambiente in cui vivono e dell’intera casa comune.

La ricerca della giustizia ambientale

Nel mondo sono molte le comunità che lottano per difendere terra, aria, acqua, foreste e il loro sostentamento da progetti dannosi e attività estrattive con pesanti impatti ambientali e sociali. Di fronte all’evidente crescita di omicidi e attacchi nei confronti degli attivisti ambientali, oggi diverse organizzazioni e gruppi documentano i crimini e contribuiscono alla loro denuncia e alla ricerca di giustizia. Global witness, Front line defenders, Amnesty International sono le più conosciute.

In Europa significativo e importante è il lavoro coordinato da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di scienza e tecnologia ambientale presso l’Università autonoma di Barcellona (UAB). I ricercatori curano e aggiornano costantemente l’Atlante globale di giustizia ambientale – Ejatlas – un archivio mondiale di storie di conflitti ambientali e degli attori coinvolti: dalle imprese ai movimenti per la giustizia sociale e ambientale.

L’Ejatlas conta più di tremila schede, di esse quattrocento documentano casi di conflitti che hanno registrato uno o più omicidi intenzionali di attivisti ambientali.

I territori che soffrono il maggiore tasso di violenza sono quelli abitati dalle popolazioni indigene dove appare evidente una discriminazione storica e la mancanza di tutela e di sistemi di giustizia adeguati, di trasparenza e d’informazione. È importante ricordare che i popoli indigeni abitano le zone del pianeta con più risorse naturali e più biodiversità perché hanno saputo tutelarle e farle rigenerare.

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