Perché queste indicazioni etiche e sostenibili si realizzino, sono senza dubbio essenziali interventi normativi efficaci a carico delle istituzioni nazionali e internazionali. Tuttavia, le azioni più incisive e durature perché più sentite debbono venire dalla base della società civile, ossia dai cittadini, dalle famiglie e dalle aziende. Tutti dovrebbero avvertire l’urgenza di usare al meglio i beni, evitando gli scarti, a cominciare da quelli alimentari legati al consumismo, all’alimentazione eccessiva e sbagliata, all’utilizzo smodato di carne e merendine.
Il WOIR (Vatican.WoirNet.org), che dal 1978 monitora produzione e scarti, ha proclamato il 2023 Anno del cibo: “International Year of food”. Papa Francesco – non solo con la Laudato si’ – insiste sulla necessità di prendersi cura del pianeta e chiede a tutti – famiglie, multinazionali, capi di Stato – di cambiare stili di vita. Ne va della solidarietà verso quel terzo della popolazione mondiale che ancora non può nutrirsi adeguatamente. Non bastano i piccoli passi avanti fatti con la riduzione della fame; di fatto il 10% della popolazione è ancora denutrita, a fronte di una popolazione mondiale giunta a superare gli 8 miliardi.
Il contrasto con il mondo privilegiato, che ogni anno getta nell’immondizia milioni di tonnellate di cibo, è stridente. Eppure ne va anche della nostra stessa sopravvivenza. Che si disponga di risorse abbondanti o meno, tutti dovrebbero imparare a consumare il necessario, per il bene della propria salute e per l’ambiente. A livello globale si calcola che il 36% di cibo viene sprecato. Lo sconcerto dal punto di vista etico è anche causa di significativa perdita economica (900 miliardi di dollari annui a livello globale) e di disastro ambientale (eventi climatici estremi e alle carestie). Tutti i rifiuti infatti contribuiscono in modo significativo all’aumento delle emissioni di gas serra e al cambiamento climatico. Sconcerta soprattutto ciò che la sezione italiana di WOIR ha denunciato sulla base dei dati sullo spreco disponibili in Europa: il primato spetta all’Italia, che negli ultimi 20 anni ha buttato 277 milioni di tonnellate di cibo. Eppure è un paese prevalentemente cattolico, solidale e ricco di buoni principi.
È ora di intervenire ai diversi livelli. A monte, occorre partire dall’educazione da dare e testimoniare in famiglia, nella scuola, nelle associazioni, puntando a formare persone capaci di autocontrollo, adolescenti che si accontentano all’essenziale, non a riempirsi di oggetti acquistati in modo compulsivo e scartati poco dopo. L’economia non può funzionare senza la collaborazione consapevole e attiva delle famiglie. Che dire di bambini a tavola che, in famiglia o al ristorante, fanno capricci per ottenere quel che desiderano, pretendono che il loro piatto sia stracolmo, per poi mangiare qualche boccone e lasciare il resto? È naturale che un bimbo sia attratto dal cibo gustoso, ma i genitori possono aiutarlo a valutare cosa realmente riuscirà a consumare e poi sollecitarlo a mangiare tutto ciò che è nel piatto. Essi stessi per impattare efficacemente sui figli dovrebbero cucinare il più possibile in modo sobrio, sostenibile e naturale, conservare e riproporre per la cena ciò che non è stato consumato a pranzo. Potrebbero sistemare diversamente e rendere appetibili gli avanzi, come pane raffermo, frutta (macedonie), salumi, albumi, riso e pasta, arrosto, dolci; preparare piatti gustosi con quelle parti degli alimenti che vengono normalmente scartate perché considerate poco ‘nobili’, anche se in realtà sono ricche di nutrienti preziosi per la salute, come le bucce di zucchine e melanzane, foglie dei carciofi, zucca (la buccia della zucca si può gustare al forno), frutta, piselli (i baccelli possono trasformarsi in una piacevole bevanda), gambi di asparagi, fave, patate. Sta alla creatività di ciascuno sperimentare con prudenza cose nuove in cucina. Ciò che un tempo si faceva costretti dalla povertà, oggi occorre farlo spinti dall’etica della solidarietà e dalla premura per la sopravvivenza del pianeta intero.
Il cambiamento dei costumi ai livelli micro può apparire solo una goccia che si perde nell’oceano, ma è un contributo indispensabile a evitare che le raccomandazioni restino grida manzoniane e cadano dall’alto come gocce d’acqua sui vetri.
Lo chef Franco Aliberti ha elaborato al riguardo un decalogo per le famiglie:
• Fare giornalmente la spesa, ponderando i quantitativi e calcolando i tempi di deperimento. Infatti, quando il cibo lo si acquista in abbondanza e deposita in frigo “invecchia” e diviene meno salubre, quando non viene gettato.
• Calcolare la quantità da cucinare misurandola sui componenti della famiglia o dei commensali consumando meno cibo, con meno calorie e meno spreco.
• Utilizzare creativamente tutte le parti dei diversi prodotti.
• Saper bene conservare i cibi. Se in frigo, valutare gli scomparti più adatti, secondo le diverse temperature ed evitando di accostare quei cibi che si danneggiano (es. le mele accelerano la maturazione degli altri frutti).
• Fare la spesa controllando sempre la data di scadenza in considerazione dei tempi del consumo.
• Fare attenzione nel fare la spesa a come il prodotto è stato confezionato, se riciclabile ed essenziale
• Riutilizzare il cibo non consumato il giorno prima, cercando di renderlo ugualmente gradevole (classico esempio le polpette).
• Quando è possibile, evitare l’eccessivo uso di stoviglie, posate e piatti, indugiando nel piacere estetico. Oltretutto si facilita la preparazione dei cibi e si rende l’ora dei pasti più agile. Inoltre lavare meno significa consumare meno acqua e meno detersivi inquinanti.
• Scegliere oculatamente dove andare quando si pranza fuori casa, informandosi previamente sul tipo di cucina e sui prodotti usati.
• Non vergognarsi di chiedere il cibo che non si è consumato, abitudine che a volte viene ancora vista con supponenza, considerandola – a torto – ‘volgare’. Al contrario, chiedere al ristoratore di poter portare a casa il cibo non consumato, oltre ad essere un diritto del cliente, soprattutto evita che venga gettato. Alcuni ristoratori cominciano a prevenire la richiesta attrezzandosi con contenitori adeguati alla conservazione, chiamati “Rimpiattino”.
Aggiungerei a queste indicazioni dello chef l’attenzione a redistribuire quello che non si consuma, specie quando si va al ristorante, pensando a chi potrebbe gradirlo: il rifiuto o lo scarto di qualcuno può diventare una risorsa per qualcun altro. Lo si può consegnare direttamente oppure tramite la mediazione del parroco, del prete, dei volontari. Ci sono famiglie in stato di bisogno che sussultano di gioia quando ricevono da chi può andare al ristorante il cibo non consumato, specie se si tratta di pesce o di cibi particolarmente costosi che non potrebbero procurarsi.
Abbandonato il business model e il concetto di ‘fine vita’ dei prodotti, il modello auspicato di Circular Economy attiva strategie per prolungarne diversamente la durata, mirando a scelte a basso impatto ambientale. L’acquisizione di tali comportamenti vale per tutti i prodotti, non solo quelli alimentari e influisce sul mercato imponendo alle aziende sin dalla creazione dei prodotti e dal loro imballaggio, di progettare tenendo conto del riciclo tutte le volte che è possibile, prevenendola produzione di rifiuti.