Passare dall’io al noi: la forza della comunità per combattere l’individualismo

La modernità è caratterizzata dal primato dell’“Individualismo”, che considera l’individuo come una cellula autonoma e responsabile all’interno dello Stato democratico. Questa prospettiva, accanto alla ragione strumentale e al capitalismo, è fortemente contrastata da Papa Francesco. Già Papa Benedetto XVI metteva in guardia contro l’individualismo utilitaristico, che definisce la persona come mero “‘capitale umano’, ‘risorsa’, parte di un meccanismo produttivo e finanziario a lei superiore”. Superare questa logica è cruciale per il futuro dell’umanità, da qui la necessità di passare dall’“io” al “noi” e riscoprire il valore della comunità come spazio di resistenza e identità culturale.

Secondo Papa Francesco, “gli individui isolati possono perdere la capacità di superare la logica della ragione strumentale” e cadere in un consumismo senza etica (LS 219). Contrariamente alle credenze diffuse, “l’individualismo non ci rende più liberi” (FT 105), ma promuove “ambizioni e sicurezze individuali” (FT 105), compromettendo il bene comune.
Il risultato dell’individualismo è la cultura dell’indifferenza, tanto criticata da Papa Francesco, che chiude l’individuo in sé stesso e lo isola dal mondo circostante. L’altro è visto come nemico da sconfiggere, concorrente da superare e la vita compresa secondo una logica di marketing priva di compassione e dignità.

Non siamo individui, ma persone

Potrebbe sembrare solo una questione di parole, ma va ben oltre. La concezione dell’essere umano come “individuo” è radicalmente diversa da quando lo pensiamo come “persona”. Essere “individuo” significa essere unico, indivisibile, è un concetto che si consolida con il capitalismo ed è legato al diritto di possedere, in quanto soggetto libero, razionale e indipendente. È la nozione di individuo a fondare l’individualismo, che secondo Emanuel Mounier è:

[…] un sistema di costumi, sentimenti, idee e istituzioni che organizza l’individuo sulla base di atteggiamenti di isolamento e di difesa. (…) Uomo astratto, senza vincoli né comunità naturali, dio supremo al centro di una libertà senza direzione né misura, sempre pronto a guardare gli altri con sospetto, calcolo o pretesa…1

Ben diversa è l’idea di persona, che secondo l’antropologia cristiana, parte dall’idea di essere una creatura a immagine e somiglianza di Dio. L’essere “persona” rimanda alla Trinità, quindi alla relazione, alla comunione. La sua unità è legata alla capacità di interazione, di dialogo e di alterità.
Dalla prospettiva dell’essere persona, in relazione alla concezione trinitaria, si può dire che “l’elemento fondamentale della comunione intratrinitaria è il fatto che l’unione tra le persone divine non sopprime le differenze e le individualità proprie di ciascuna”.2 La capacità di comunicare come persona offre la possibilità di uscire da sé, di liberarsi da sé e in questo atteggiamento di spogliarsi di sé, di incontrare il mistero che si rivela nell’“altro”.
La conseguenza pratica di questo concetto è molto evidente, se l’altro è persona, immagine e somiglianza di Dio, proprio come me, allora l’altro non mi è indifferente, perché anch’egli è immagine viva di Dio, rivestito della stessa dignità e stesso valore. In questo caso, quando vedo l’altro soffrire, è Dio che soffre in lui, quindi questo mi preoccupa e mi impegna a empatizzare con l’altro.

Superare la logica del potere per giungere alla comunione

Nel corso della storia, la Sacra Scrittura è stata spesso male interpretata. Un esempio è la lettura erronea del racconto della creazione in Genesi, che pone l’essere umano come apice. Difatti, Genesi 2,3 sottolinea che l’essere umano è creato il sesto giorno, mentre il settimo, culmine della creazione, è il giorno del riposo di Dio, rappresentando perfetta comunione tra Dio, l’uomo e le creature. L’idea dell’essere umano come apice della creazione ha legittimato il potere sugli altri esseri, ma la responsabilità verso la creazione è cruciale. Essere creati a immagine di Dio non concede il diritto di agire senza responsabilità. Secondo Brustolin e Machado, “il grande significato di ciò che è stato creato si traduce nel vivere questo giorno santificato (giorno in senso kairotico, non cronologico) con il Creatore, che riposa “con” e “nella” sua opera: la storia del cielo e della terra è lo Shabbat eterno”.3 La centralità del “potere umano” deve trasformarsi in “comunione con Dio e la creazione” per adottare uno stile di vita sostenibile, considerando il consumo responsabile delle risorse. Il sabato, culmine della creazione, richiama alla comunione, alla contemplazione e, quindi, alla comunicazione, indicando che l’essere umano è destinato alle relazioni e che la sovranità appartiene a Dio.

La giustizia sociale è una condizione per la pace

In una rapida osservazione sul sito Global Conflict Tracker è possibile identificare almeno 27 conflitti armati in atto oggi nel mondo, che esemplificano quella che Papa Francesco chiama una terza guerra mondiale che si sta consumando poco a poco attraverso crimini, massacri e distruzione. Ma la pace non è minata solo dai conflitti dichiarati che si diffondono tra le diverse nazioni, è importante ricordare che secondo il rapporto: “La ‘sopravvivenza’ dei più ricchi – perché è necessario tassare i super-ricchi adesso per combattere le disuguaglianze”, lanciato in occasione dell’incontro del Forum Economico di Davos 2023, per la prima volta in 30 anni, la ricchezza estrema e la povertà estrema sono cresciute contemporaneamente. Secondo il documento, l’1% più ricco del mondo ha trattenuto quasi i 2/3 di tutta la ricchezza generata nel 2020 – circa 42 mila miliardi di dollari – sei volte più di quello che il 90% della popolazione mondiale (7 miliardi di persone) ha ottenuto nello stesso periodo. Si stima inoltre che tra 691 e 783 milioni di persone nel mondo hanno affrontato la fame nel 2022, come indicato nel rapporto “Lo stato della sicurezza alimentare e nutrizionale nel mondo 2023” , diffuso dalla FAO.
In questo contesto di scandalosa ingiustizia sociale, è molto difficile parlare di pace e non sorprende che la maggior parte dei conflitti mondiali si localizzino nel Sud del mondo, nelle regioni dove si concentrano le popolazioni più bisognose, che soffrono la scarsità del cibo e gli effetti devastanti del cambiamento climatico in corso. Questa realtà non può passare inosservata ai cristiani e a tutte le persone che sono impegnate nella costruzione di un mondo migliore. Il senso di appartenenza alla comunità universale, principio di umanità che ci porta a vedere in ogni essere umano l’immagine e la somiglianza di Dio, ci obbliga a non guardare con indifferenza questi numeri e a portare queste riflessioni negli ambienti in cui viviamo sono in grado di agire e concentrarsi.

Salvataggio della fede cristiana come comunità, popolo di Dio

La fede cristiana è eminentemente comunitaria, originata dalla formazione di una comunità di discepoli da parte di Gesù. Oggi, tendenze soggettiviste rischiano di relegare la fede alla sfera privata, compromettendo la vitalità delle comunità. Affinché la fede sia incarnata, deve essere profetica, capace di annunciare il Regno di Dio e denunciare sistemi che minano la dignità umana. Il senso del “noi” come famiglia umana è fondamentale e potrebbe offrire un contributo significativo nella lotta contro l’ingiustizia.
In un mondo interconnesso, la comunicazione cristiana dovrebbe essere profetica, sfidando le tendenze alienanti e invitando ad adottare stili di vita conformi ai valori cristiani. In un contesto ultramediale come quello attuale, cosa comunichiamo? Ci rifugiamo in tendenze e mode alienanti, nella superficialità di discussioni, post e commenti su argomenti irrilevanti e di tendenza, oppure siamo capaci di essere voci profetiche che coinvolgono e invitano le persone ad assumere nuovi stili di vita conformi a valori e ideali cristiani in cui crediamo?

  1. MOUNIER, Emmanuel. O personalismo. Moraes Editores, Lisbona, 196, 4ª ed., p. 61. ↩︎
  2. BOMBONATO, Vera L. ALTEMEYER Fernando J. (Orgs) Trindade, mistério de comunhão e comunicação in: Teologia e Comunicação: corpo, palavra e interfaces cibernéticas. São Paulo: Paulinas, 2011, p. 108. ↩︎
  3. BRUSTOLIN L. A. & MACHADO R. F. (2008). Um pacto pela terra–a crise ecológica na agenda da Teologia. Teocomunicação, 38(160), p.230. ↩︎

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