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La vita quotidiana costruisce la pace

Sono arrivata a Timor nel 1992, quando la missione aveva solo quattro anni, ma già si vedevano i primi frutti del lavoro delle pioniere. Un grande contributo era stato dato anche dai salesiani che, sicuri di una risposta positiva da parte della Madre alla loro richiesta di una nostra presenza in Timor, avevano già coinvolto alcune giovani nella loro missione, preparandole a vivere nello spirito salesiano. Accanto alla prima casa, che accoglieva gli orfani causati dall’occupazione indonesiana e i bambini i cui genitori stavano combattendo la guerriglia nella foresta, era stata già aperta una seconda casa, nella capitale, in collaborazione con una scuola cattolica, ma soprattutto con lo scopo di aprire un oratorio frequentato da moltissimi giovani, desiderosi di capire come la fede poteva aiutarli a leggere la situazione di oppressione che stavano vivendo.
Al mio arrivo in comunità mi ha subito colpito, e più tardi ho scoperto che colpiva anche la popolazione, il clima familiare che si respirava, nonostante fossimo di nazionalità diverse. E fu proprio un maestro del paese a rendermi consapevole della “ricchezza” di questa testimonianza; mi chiese: Come fate, voi di nazionalità così diverse, a lavorare insieme con gioia e con dedizione agli altri? Mi accorsi allora che più che le nostre parole che invitavano all’accettazione del diverso, ad amare anche i nemici, era la nostra vita quotidiana che rendeva convincenti quelle stesse parole. Ho cominciato a collaborare a Venilale, una zona di montagna, nell’ambulatorio aperto per rispondere alle esigenze della popolazione e ho avuto modo di accostarmi alla povertà della popolazione: povertà economica di chi vive della terra che ha a disposizione, povertà culturale, perché il livello dell’educazione scolastica era molto basso e nel villaggio gli adulti parlavano solo uno dei quattro dialetti della zona, povertà di sogni per i giovani, perché l’occupazione indonesiana toglieva loro qualsiasi obiettivo per il futuro. In tutta questa povertà c’era però la ricchezza di una fede semplice, che sentiva la presenza di Dio soprattutto nella sofferenza e nella ricerca della giustizia, di cui la Chiesa si faceva carico. In realtà, fin dall’inizio, si è cercato di dare uno stile educativo al lavoro nell’ambulatorio: accanto alla cura, si davano informazioni sulle malattie, sul funzionamento di alcuni farmaci… poi si sono strutturati meglio alcuni progetti: la formazione di “motivatori” in ogni villaggio che potessero essere delle “antenne” per cogliere la situazione sanitaria nel villaggio e anche perché potessero intervenire nelle cose più semplici; ci siamo anche preoccupate delle mamme prossime al parto, dando informazioni perché potessero accedere al sistema sanitario e dando “pacchi premio” a chi accettava di partorire con una levatrice. Infine, l’ultimo progetto ancora in corso, è quello per la nutrizione: essendo una zona rurale, non mancano frutta e verdura e altri cibi che, per superstizioni o informazioni sbagliate, vengono scartati. Il progetto raggiunge tutte le scuole della zona, fino alla scuola superiore, con incontri sia con i professori che con gli alunni per un corretto uso dei commestibili che la zona offre. Abbiamo iniziato con i piccoli e i giovani, perché esperienze precedenti ci hanno mostrato che è molto difficile sradicare alcune convinzioni dalla mente degli adulti. Ogni fine settimana accompagnavo un missionario nei villaggi più lontani: lui si prendeva cura delle anime, con le confessioni e la Messa, ed io mi prendevo cura dei corpi, facendo ambulatorio nella veranda della cappella o in un’aula della scuola. Dopo la guerra, questa attività è stata sospesa, in quanto il Governo aveva dei programmi simili e non dava permessi per le stesse attività. Ma ora stiamo pensando di ricominciare nelle zone remote, dove è davvero necessario. Nel contatto con queste realtà mi sono accorta di quanta “grazia” ho ricevuto nella mia vita: tante cose per me “scontate” (avere una famiglia dove sperimentare amore e fiducia, poter frequentare una scuola, andare all’oratorio e trovare persone pronte ad accompagnare nella vita di fede, poter esprimere liberamente il pensiero…) nella realtà in cui stavo vivendo erano “conquiste” da raggiungere anche a prezzo di grandi sacrifici. Dopo alcuni anni, la missione si è allargata anche all’Indonesia ed ora abbiamo 14 comunità: 11 in Timor e 3 in Indonesia, dove sogniamo di poter annunciare la bellezza della nostra fede a tante altre comunità.
Attesa alla clinica.

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