Nel secolo scorso, Etty Hillesum, ebrea olandese morta nel 1943 nel campo di sterminio di Auschwitz, di fronte ad uno scenario simile a quello attuale, scriveva: “Voglio dire che accanto alla realtà più atroce c’è posto per i bei sogni. […]. Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà trovata da ognuno in se stesso, se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza e popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo”.
Nel corso della storia, Maestri di spiritualità, Saggi di culture diverse e anche persone semplici esperte di vita hanno sottolineato l’importanza del perdono per liberarsi dall’odio, ritrovare la pace in se stessi e assicurarsi una vita buona. Attualmente, Papa Francesco, nei suoi autorevoli e appassionati interventi, non perde occasione per sollecitare, oltre che alla preghiera, a dare il proprio contributo alla pace nel mondo creandola nel proprio cuore. Anche le Scienze psicologiche, superata una certa riluttanza dovuta al fatto di ritenere il perdono un atteggiamento di esclusiva competenza della religione, da qualche tempo si stanno interessando alle dinamiche che riguardano i possibili percorsi per aiutare le persone a ritrovare, con la pace interiore, la libertà e il benessere.1
Nella quotidianità del vivere, anche negli ambienti religiosamente impegnati, dove generalmente si pensa che “tutti sono un cuor solo e un’anima sola”, la possibilità di malintesi, incomprensioni, offese, tradimenti reali o presunti è innegabile. Sentirsi ferite/i e trovarsi, a volte, anche sanguinanti, è più che probabile, come pure, offendere e ferire anche senza volerlo, essendo l’essere umano segnato dal limite.
Le offese, vere o presunte, anche se di leggera entità, provocano dolorose ferite. Dopo un iniziale senso di disorientamento, l’offesa fa nascere generalmente sentimenti di indignazione, odio e desiderio di vendetta. L’offensore diventa una presenza interiore continua e ingombrante. La mente si trova spesso ad arrovellarsi con rabbia nella ricerca di soluzioni, di vendetta rendendo difficoltosa anche la concentrazione sui compiti ordinari. Nella situazione di disagio emerge, fra l’altro, un bisogno prepotente di incontrare qualcuno per dare sfogo al dolore, confrontarsi, piangere, capire. L’ascolto rispettoso, la comprensione, l’astensione dal giudizio possono diventare balsamo sulla ferita e un aiuto a intravvedere la luce dell’uscita dal tunnel tenebroso dell’odio e della vendetta.
Importante è trovare un’amica, un’esperta di vita o un’esperta professionale che accoglie, ascolta, comprende, lascia piena libertà di piangere e di dar sfogo alla rabbia; una/o che non si meraviglia se la situazione penosa viene ripetuta, perché sa che i tempi di rimarginazione sono lunghi e faticosi; una/o che non plagia, né ricorre a discorsi moraleggianti, ma che sta accanto, aiuta a ridimensionare la situazione, a rendersi conto dei propri limiti ed errori; una/o che quando vede l’opportunità, indica possibili strade alternative alla vendetta. La prossimità, la comprensione, lo stimolo discreto a frequentare gruppi di guarigione, di fraternità, di preghiera possono diventare un efficace aiuto per far emergere quelle energie positive che mettono in grado di far rimarginare la ferita, di padroneggiare la situazione senza sentirsi vittima e di andare avanti con dignità; possono essere un efficace aiuto per trasformare i sentimenti negativi in compassione, forse alla lunga in amore e ritrovare, con la pace interiore, gli ampi e luminosi orizzonti della libertà. Non mancano preziose e toccanti testimonianze, anche attuali, al riguardo.2
In alcuni momenti di particolare tensione, una buona camminata in solitario, un’attività fisica piacevole, lo scrivere quanto disturba dentro, potrebbero offrire un po’ di sollievo.
Il perdono rimane pur sempre un percorso difficile, faticoso, doloroso, ma possibile e soprattutto liberante.
Nel percorso di guarigione, è necessario tener presente che, come la cicatrice, segno
della ferita rimarginata, resta, ma non fa più male, così il ricordo dell’offesa rimane, ma elaborato e liberato dal bruciore emotivo dell’offesa, non disturba più e lascia liberi. A differenza di quelle fisiche, però, le ferite delle offese rimarginate, in alcune circostanze che riattivano il ricordo, tendono a riaprirsi, a dolorare. Senza sgomentarsi, è opportuno, allora, ricorrere agli aiuti che precedentemente si sono dimostrati efficaci e, soprattutto, alla preghiera. La preghiera intesa non come recita di formule, ma come ricorso a una Presenza Viva che avvolge di tenerezza, una Presenza che sa, può e desidera sanare e che dalla Croce fa sentire nell’intimo quelle parole sacre e cariche di umanità: “… perdona loro, non sanno quello che fanno”. Quel “non sanno quello che fanno” pronunciato dall’Uomo-Dio nel momento più buio e più sacro della sua vita, può illuminare la comprensione del limite creaturale delle persone, quella dell’orante compresa, e diventare un efficace aiuto per trasformare i sentimenti di odio in sentimenti di compassione. Davanti al Crocifisso, uno potrebbe anche sentirsi dire: “Guarda, a me hanno fatto di peggio” e, nel confronto, ridimensionare il peso dell’evento negativo e ritrovare la forza per proseguire nella strada intrapresa.
Il pieno compimento del percorso del perdono è la riconciliazione, con l’incontro, la chiarificazione e il riconoscimento reciproco dei torti subiti. Ma questo non sempre è possibile. L’altra parte può non essersi resa conto del disagio creato o non essere disponibile a fare il passo. Il mancato coronamento della riconciliazione, lascia qualcosa in sospeso, ma non toglie importanza e valore alla fatica del cammino fatto. Liberarsi dal macigno dell’odio e del rancore che tengono schiavi e ritrovare la pace interiore è un dono inestimabile che la persona fa a se stessa e, dopo tanta fatica, anche un merito. Un consiglio attribuito a Budda dice così: “Perdona gli altri, non perché essi meritano il perdono, ma perché tu meriti la pace”.
Raggiungere la pace interiore, attraverso il faticoso percorso del perdono, sostenuto e purificato dalla Grazia, è il più grande dono che una persona possa “meritare”, possa fare a se stessa. Chi ha ritrovato la pace acquista anche, con la libertà, uno sguardo profondo, carico di quell’umanità che conosce la compassione, la misericordia, la benevolenza gratuita. Negli ambienti di vita, nelle comunità le persone rappacificate diventano una presenza che, anche nel silenzio e nell’inattività, diffonde serenità, fraternità, pace. Incontrarle fa bene. Note o sconosciute, prestanti o disabili, giovani o vecchie, in prima linea o in riserva che siano, per la forza diffusiva della pace, forza che sorpassa gli angusti limiti dei recinti, diventano anche efficaci collaboratrici alla costruzione di quel sogno di pace che abbraccia il mondo.
- Cf BARCACCIA Barbara e MANCINI Francesco (a cura di), Teoria e clinica del perdono, Raffaello Cortina, Varese 2013; LUMERA Daniel, I 7 passi del perdono. La scienza della felicità. Un metodo rivoluzionario per GUARIRE e REALIZZARSI, BIS, Cesena 2014. ↩︎
- Cf CALABRESI MILITE Gemma, La crepa e la luce. Sulla strada del perdono. La mia storia, Mondadori, 1^ edizione Oscar absolute, Ariccia (RM) 2023. V. anche Intervista DMA n.1 2023 ↩︎