Qual è stata la tua prima comunità?
Duekoué, in Costa d’Avorio, una delle comunità frutto del Progetto Mornese. Eravamo tre sorelle e un’infermiera laica. I miei ricordi sono molto belli e ringrazio Dio con tutto il cuore. Ero molto felice, felice. Tutto mi dava gioia, una gioia che cercavo di condividere senza aspettarmi nulla in cambio. È stato un momento di grazia.
Come sei riuscita a comunicare il carisma salesiano?
Nella semplicità, cercando di essere Figlia di Maria Ausiliatrice, mettendo in pratica tutto ciò che abbiamo imparato negli anni di formazione nei vari aspetti, scoprendo i semi del carisma nelle persone, nei bambini e nelle ragazze, dai quali ho imparato molto. La comunicazione del carisma avviene anche attraverso la vita comunitaria nella ricerca della volontà di Dio e nella condivisione.
Quali aspetti della cultura hanno aiutato la comunicazione del carisma?
Parecchi! L’accoglienza, la festa, la semplicità, l’apertura e la condivisione, la dimensione religiosa, soprattutto la gioia dei bambini capaci di rallegrarsi per le piccole cose, la capacità di soffrire delle persone. Le difficoltà incontrate mi hanno aiutato a maturare. Una delle difficoltà è quella della lingua. Potevo dire solo poche parole, ma la gente era felice di sentirci parlare la loro lingua. Ridevano quando sbagliavo. Per superare questo, abbiamo cercato di comunicare con il cuore, il linguaggio universale.
Qual è stato il rapporto con i primi missionari salesiani?
A Duekoué, prima del nostro arrivo, i nostri fratelli salesiani avevano parlato alla gente del nostro arrivo. E, in effetti, il nostro arrivo è stato una festa. I nostri fratelli salesiani ci aspettavano con il cuore aperto. Abbiamo preso parte alle diverse attività della Parrocchia: visite ai villaggi, promozione della donna, formazione dei catechisti, oratorio, animazione di gruppi, accompagnamento del gruppo Cœurs et âmes vaillantes, della Jeunesse Etudiante Catholique (JEC), il dispensario di pronto soccorso, ecc. La collaborazione tra noi è stata molto buona.
Quali sono state le sfide?
Le periferie. Da subito ci siamo rese conto che la missione non è una questione personale ma comunitaria. Ognuno di noi aveva una responsabilità specifica. Per me era la scuola. Suor Sion si occupava della promozione della donna e l’infermeria era gestita da suor Elena, attività che portava avanti con grande competenza e sollecitudine. Mons. Bernard Agré è stato per noi come un padre che ha sempre avuto fiducia in noi. Il suo desiderio era quello di costruire una grande scuola cattolica pilota per tutte le altre scuole della diocesi, con l’obiettivo di condividere il sistema preventivo, cosa che abbiamo avviato subito con la formazione degli insegnanti per una trasformazione della mentalità. A poco a poco, abbiamo scoperto che l’educazione ai valori era urgente. La scuola è cresciuta molto rapidamente. Le classi erano al completo. In breve tempo la missione è diventata bella e si sono aggiunte una casa per le ragazze e una scuola. Abbiamo avuto anche delle difficoltà, come il ciclone che ha distrutto diverse cose e a volte siamo state costrette a ricominciare da capo. Quasi ogni mese si verificava qualche incidente. L’inserimento nella vita della diocesi non è stato difficile. Abbiamo potuto conoscere praticamente tutte le missioni della diocesi e abbiamo lavorato molto. A noi è stata affidata la responsabilità del Consiglio educativo e l’accompagnamento di otto scuole. Dovevamo visitarle periodicamente.
La domenica era bello perché andavamo nei villaggi per l’animazione liturgica: la parrocchia aveva più di 80 comunità cristiane che visitavamo mensilmente. La sera ci incontravamo per la preghiera e la condivisione delle esperienze e poi la cena. Sono stati momenti davvero bellissimi. Altri momenti significativi sono state le attività festive con la presenza di alcuni volontari.
Com’è stato l’inserimento nella diocesi?
Non è stato difficile. Abbiamo potuto conoscere praticamente tutte le missioni del- la diocesi e abbiamo lavorato molto. A noi è stata affidata la responsabilità del Consiglio educativo e l’accompagnamento di otto scuole. Dovevamo visitarle periodicamente. La domenica era bello perché andavamo nei villaggi per l’animazione liturgica: la parrocchia aveva più di 80 comunità cristiane che visitavamo mensilmente. La sera ci incontravamo per la preghiera, la condivisione delle esperienze e poi la cena. Sono stati momenti davvero bellissimi. Altri momenti significativi sono state le attività festive con la presenza di alcuni volontari.
Sei soddisfatta della tua presenza come Figlia di Maria Ausiliatrice missionaria in Africa?
Sì, sono molto soddisfatta. Quello che potrei dire alle giovani suore è di lasciarci afferrare ogni giorno da Gesù, di avere passione per l’umanità come Don Bosco e Madre Mazzarello. Ciò significa essere innamorate di Gesù. Vedo il futuro con grande speranza.
L’Ambasciata di Spagna in Costa d’Avorio ti ha conferito l’onorificenza in riconoscimento dei meriti riscontrati nell’ambito dell’educazione e della promozione umana? Cosa significa per te?
Ringrazio il Signore per quanto ha operato in me e nell’Istituto. La medaglia d’onore che ho ricevuto è a nome dell’intero Istituto. Suor Chantal Mukase, Consigliera Generale Visitatrice in visita canonica alla nostra Ispettoria, presente alla cerimonia di consegna, ha colto l’occasione per ringraziare le autorità, in particolare l’Ambasciatore, per aver conferito a nome del Re di Spagna la benemerenza a una Figlia di Maria Ausiliatrice e per aver presentato, nel suo discorso, l’Istituto e in particolare il lavoro svolto in Africa a servizio di bambini e giovani. Questo ci incoraggia a lavorare sempre all’insegna della fraternità per trasmettere ai giovani l’amore alla vita, il desiderio di vivere, e per essere segni di speranza per il mondo.