Il ruolo della scuola nell’educazione alla pace

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La scuola può contribuire fortemente al cambiamento della società e ha un ruolo determinante nell'educare alla pace. Proprio le nuove generazioni possono aiutarci ad immaginare e costruire la pace e a comprendere profondamente il suo valore. Costruire significati condivisi, gettare lo sguardo su ciò che accade nel mondo, leggere un libro o esplorare le opere d'arte... ci sono diverse possibilità per affrontare i temi della guerra e della pace.

Qualsiasi sia il punto di partenza è importante far riflettere sull’essenza della pace: le buone relazioni.

Pace e conflitto sono due termini contrapposti che segnano le relazioni e il nostro quotidiano. La pace come grande ideale, ma anche come qualcosa da ricercare nelle piccole vicissitudini di tutti i giorni. L’educazione alla pace inizia proprio da qui, da come noi adulti riusciamo ad accompagnare bambini, ragazzi, adolescenti attraverso la giornata, favorendo attitudini e comportamenti che facilitano l’instaurarsi di un clima sereno e aiutandoli nella risoluzione costruttiva dei conflitti. 

Cambiare valori

L’obiettivo principale dell’educazione alla pace consiste nella promozione di un cambiamento di valori, attitudini e comportamenti in modo da favorire un clima di classe basato sulla tolleranza, il rispetto, la solidarietà e la giustizia. Allo stesso tempo si promuovono la trasformazione pacifica dei conflitti, il dialogo e la non violenza. Si tratta di un’educazione ai valori che mira a sensibilizzare adulti, persone in crescita e la società in generale sull’importanza della cooperazione e della solidarietà tra culture diverse e del rispetto per tutti gli esseri viventi. 

L’educazione alla pace è uno strumento di intervento che si propone di tradurre la nonviolenza in azioni concrete legate al quotidiano di ognuno. L’approccio nonviolento al conflitto non vede il conflitto come esclusivamente negativo, ma come una crisi che accanto a elementi di rischio contiene elementi di potenziale cambiamento, di crescita e di sviluppo. 

L’educazione alla pace è insieme una educazione ai diritti umani, alla cittadinanza, all’intercultura, al dialogo e alla convivenza, alla democrazia, alla legalità e alla giustizia, alle competenze sociali ed emotive, al conflitto e alla nonviolenza, alle pari opportunità, alla solidarietà e alla condivisione, al rispetto dell’ambiente, al risparmio energetico, al consumo critico.

La scuola gioca un ruolo fondamentale in questo processo e fornisce un banco di prova privilegiato per la trasmissione di attitudini e valori propri dell’educazione alla pace. Lungi dal costruire una “materia in più”, si tratta di un’attitudine, dell’attenzione costante che insegnanti e allievi prestano verso atteggiamenti, azioni e reazioni. Essa prende spunto dagli avvenimenti quotidiani e può essere inserita nella programmazione annuale, ricollegandosi a molti degli ambiti di insegnamento.

Se la scuola non educa alla pace, a cosa educa?

Una scuola di pace è innanzitutto una scuola che riflette su se stessa e che si ripensa, sia a livello culturale che organizzativo. Tutti, da chi dirige la scuola agli insegnanti, dal personale tecnico agli studenti e ai genitori, debbono rispondere alla domanda: cosa possiamo fare per trasformare la nostra scuola in un luogo di pace?

La pace s’insegna e si impara. Per questo la scuola ha una responsabilità speciale. Del resto, se la scuola non educa alla pace, a cosa educa? L’educazione alla pace non può essere considerata un compito aggiuntivo da sommare ai tanti che ricadono sulla scuola. Essa deve essere considerata come lo sfondo integratore dell’intero processo formativo. Questo non significa che siccome “tutto è pace” non abbiamo bisogno di “fare niente” di più o di diverso. La pace, e soprattutto l’esperienza della sua mancanza, ci interroga e ci spinge a ripensare costantemente il modo di relazionarci e di fare scuola. 

Assumere questa prospettiva equivale a realizzare l’utopia preconizzata dalla pedagogista italiana, più conosciuta a livello mondiale, Maria Montessori: risvegliare l’educazione dinanzi a una società ferita dalla guerra.

La pace è un tema trasversale e universale (Montessori, 1949), anzi è il nodo tra i vari campi del sapere. Essa è presente nelle varie culture, religioni e popolazioni e in ognuna di queste trova una specifica argomentazione. Da sempre l’umanità si è vista impegnata nei contesti di appartenenza per la sua realizzazione, spesso testimoniandola con il proprio agire. 

La pace, in quanto condizione personale, comunitaria e anche politica, può essere considerata come slancio e apertura di “tutta” l’umanità a aderire a una pluralità di valori come la democrazia, la giustizia e la libertà; valori, questi, che possono incidere sul cammino umano e educativo di ciascuno. Non a caso anche le religioni propongono da sempre strade per seminare la pace. Queste “vie” vanno percorse con coraggio e creatività, ma soprattutto richiedono la testimonianza. 

Le tre vie tracciate da Papa Francesco «per la costruzione di una pace duratura» (Francesco, 2022), ovvero il dialogo tra le generazioni per condividere progetti comuni, l’educazione e l’istruzione e la sicurezza del lavoro per la realizzazione della dignità della persona, risultano particolarmente suggestive per addentrarci in un discorso che riconosce alla pace un significato universale, educativo e progettuale.

Il compito dell’insegnante che educa alla pace è un compito che richiede attenzione all’umano in tutte le sue sfaccettature.

Sfida e bussola

L’insegnante è chiamato ad essere un educatore e un ricercatore, un facilitatore e un negoziatore, un “testimone esperto” del tempo in cui vivono gli alunni, capace di attraversare i linguaggi delle nuove generazioni. In questo senso, l’insegnante che educa alla pace: è capace di collaborare con i colleghi, le famiglie, gli operatori del territorio alla costruzione di una comunità educante; si aggiorna, ricerca e studia, rinnovandosi nei contenuti e nei metodi di insegnamento; è capace di promuovere un’interpretazione inclusiva della cittadinanza globale e locale; agisce con rispetto secondo i principi della pace e della nonviolenza e testimonia questa scelta nei diversi contesti professionali, nei rapporti con gli alunni/studenti, con i colleghi e con le famiglie. 

Anche la Montessori insisteva sulla necessità di difendere la pace assegnando alla pedagogia un ruolo essenziale per renderla universale ed operante, e quindi capace di educare i giovani all’incontro e al rispetto tra popoli, culture e religioni differenti. Per la “Dottoressa” «la pace è un principio pratico di umanità», ovvero una necessità che richiede azioni preventive – in questi tempi più che mai – e riflessioni a livello comunitario. 

In primo piano vi è la necessità di educarci ed educare alla pace facendo crescere nelle nuove generazioni la capacità di immaginarla, di desiderarla, di comprenderla, di difenderla e di costruirla laddove ancora non c’è. È quindi indispensabile accogliere il tema della pace come sfida e bussola per l’educazione delle giovani generazioni.

L’esortazione della Montessori incisa sulla sua tomba a Noordwijk (Olanda): Io prego i cari bambini che possono tutto di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo sintetizza appieno l’impegno culturale e educativo che ha portato avanti per la costruzione di una cultura della pace.

L’educazione alla pace si nutre di buone pratiche. È essa stessa pratica e non dichiarazione di intenti, ragione per cui il docente è chiamato a riconoscersi come “professionista riflessivo”: ricercatore per rispondere ai bisogni delle nuove generazioni al fine di coordinare e orientare l’educazione alla pace verso percorsi efficaci e significativi, e non stereotipati, in cui l’alunno, l’alunna possa esercitare la cittadinanza attiva in tutte le sue sfaccettature.

Educare alla pace è impegno etico che interpella gli ambiti educativi formali, informali e non formali. Essa richiede cooperazione e qui il dialogo diventa un ponte gettato verso ciò che può dividere popoli, culture e religioni differenti. 

La scuola gioca un ruolo cruciale perché essa è “libertà” e “integrazione”. È il luogo in cui si intrecciano relazioni, ma è soprattutto comunità capace di valorizzare la dimensione antropologica, le esperienze e la sfera valoriale di “tutta” la popolazione scolastica.

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