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Alla paura si associa generalmente un significato negativo: fa paura. Spesso, infatti, porta ad atteggiamenti irrazionali di aggressività esagerata, fuga incontrollata, insicurezza, impotenza. Ma, e finché si mantiene nei limiti, può anche stimolare alla prudenza e alla prevenzione di situazioni negative.
Nell’oceano delle paure, con quelle che affondano le radici nella notte dei tempi, ne stanno insorgendo altre, collegate all’avvento delle guerre, al cambiamento climatico e ai rapidi sviluppi della tecnologia. Sono paure che si respirano nell’aria, intuite, temute, ma ancora sconosciute. Alcune ricerche recenti, interessate agli effetti dell’uso quotidiano dello smartphone nelle ultime generazioni, hanno evidenziato, negli adolescenti e nei giovani, l’insorgere di nuove forme di paura come la Nomophobia, cioè “la condizione psicologica in cui le persone hanno paura di essere staccate dalla connettività del telefono cellulare” e la Fomo, cioè “la paura di essere tagliati fuori: una paura pervasiva nel momento in cui si pensa che gli altri membri del proprio gruppo sociale stiano avendo esperienze gratificanti e significative mentre non ci si trova insieme a loro”.2 Queste paure, come pure altri atteggiamenti indotti dall’uso dello smartphone, impediscono un sano sviluppo delle relazioni necessarie alla crescita.
L’imperfezione è semplicemente il senso della vita. Ciò che guardiamo e viviamo è imperfetto. L’imperfezione fa parte della natura dell’uomo, solo l’idea di aspirare alla perfezione è terribile.
Paolo Crepet
Fra le antiche e recenti paure che meriterebbero una seria riflessione ce n’è una sotterranea e sfuggente che può abitare in chiunque. È la paura di chi, per qualche caratteristica, è visto e sentito diverso. Il diverso, lo sconosciuto, il migliore possono essere avvertiti come un pericolo, possono far nascere la paura di non essere all’altezza.
Chi vive questo stato emotivo difficilmente riesce a percepirlo nella sua reale portata, anzi tende a negarlo, nascondendolo sotto buone motivazioni e atteggiamenti apparentemente corretti.
Può annidarsi in tutti, ma, da quanto sappiamo anche dalla storia attuale, le persone più vulnerabili sembrano quelle che si trovano a gestire grandi o piccoli ruoli di potere nell’ambito politico, economico, religioso, sociale. Uno dei pericoli che incutono paura a chi si trova in questi ruoli sono le persone che, sostenute da una buona cultura e con serie ragioni, pensano diversamente o hanno caratteristiche particolari che fanno ombra. Le difese per mettersi al riparo da questi “esseri pericolosi” sono spesso quelle di toglierli di mezzo con guerre, esilio, imprigionamento, omicidio, destituzione da ruoli importanti, spostamenti, emarginazione. Quanto avviene nell’ampio ambito politico, con modalità simili più attenuate, si ripete anche nelle piccole collettività, nei vari gruppi di persone.
Oltre ad essere contro la dignità della persona umana, queste reazioni evidenziano, in chi le compie, l’incapacità di confrontarsi, di dialogare, di accettare che qualcuno abbia qualcosa di diverso e di migliore da proporre; evidenziano, soprattutto, la paura e il rifiuto delle proprie fragilità. L’accettazione dei propri limiti è difficile per tutti, ma per chi impersona un ruolo di potere e crede di dover essere migliore degli altri, lo è molto di più. Ignorare e negare anche a sé stessi i propri limiti e attribuire agli altri presunte pericolosità, è più facile che trovare il coraggio di accettarli.
Fin dai primordi della vita, la natura ha fornito agli esseri umani, con l’istinto e l’intelligenza, gli strumenti utili per difendersi sia dalle paure provocate dai pericoli reali, anticipate dalla previsione ed evocate dal ricordo, come pure da quelle “create” dal timore di non essere all’altezza, da gelosie, confronti, fantasie e altro. E continua a farlo. Ma, mentre la conoscenza del contenuto pericoloso delle paure reali consente di trovare difese mirate e in grado di mettere in salvo, le reazioni alle paure “create” dal contenuto pericoloso costruito, diventano molto problematiche e negative. Nell’ambito delle relazioni interpersonali e internazionali creano enormi ingiustizie con strascichi infiniti di sofferenza.
La speranza è legata al coraggio se vuoi avere speranza devi avere coraggio che è soprattutto credere in se stessi, tutti noi possiamo cambiare.
Paolo Crepet
Sull’Osservatore Romano del 15 aprile 2024, Pierluigi Banna scrive: “Dietro i conflitti c’è sempre la paura di non essere all’altezza. Ma una soluzione esiste”. Riconoscere e accettare i reali contenuti delle paure suscitate dalle relazioni interpersonali, è difficile, ma possibile.
Si tratta di fermarsi, di lasciarsi alle spalle le aspettative di quel mondo che ci vuole efficienti, di entrare con rispetto e benevolenza nella profondità e nella complessità di noi stessi e delle situazioni e lì dare spazio al pensiero critico illuminato dai grandi valori umani e dalla Fede. In questo spazio dove la Luce avvolge con un abbraccio colmo di fiducia e con l’aiuto di una persona saggia, diventa possibile non solo riconoscere i reali motivi delle paure con le dinamiche psichiche che le hanno costruite, ma anche trovare il coraggio di accettarle. Riconoscere e accettare i propri limiti significa accettarsi per quello che si è, unificarsi, non aver più nulla da nascondere, né da perdere, né da difendere, superando così quella paura di non essere all’altezza che crea conflitti. E, nel profondo senso di beatitudine che viene dal sentirsi liberi dai macigni nascosti, trovare anche, come ultimamente supplica il Papa, “il coraggio della bandiera bianca” quando è in gioco il bene della Comunità umana, la pace.
Chi ha sperimentato questa liberazione, nel vivere quotidiano, sia del grande che del piccolo mondo, riesce ad accettare il confronto con chi è diverso, ad ascoltare, dialogare e collaborare senza pregiudizi; non ha paura di riconoscere l’esagerato bisogno di possedere, di avere cose superflue, come pure quello di credersi l’unica/o detentrice/detentore della verità e di dover avere l’ultima parola imponendosi con prepotenza; non ha bisogno di ridire su tutto e su tutti per sentirsi importante; sa far tesoro delle critiche, sorridere umoristicamente di sé, creare fraternità.
Comunicare è un gesto d’amore, un riconoscere che l’uno ha il diritto di sapere e l’altro il dovere di dire.
Paolo Crepet
Paolo Crepet, noto psichiatra, scrittore ed educatore, nel suo ultimo libro: “Prendetevi la luna. Un dialogo fra generazioni”, osservando le difficoltà che i giovani incontrano nel confronto di un mondo che li vuole sempre perfetti e incrollabili, scrive: “Forse i nostri ragazzi e ragazze devono arrivare a sentirsi Supereroi quando riescono ad accettare le proprie debolezze e a raccontarsi, a volersi bene!”. La stessa cosa, e forse a maggior ragione, si potrebbe dire anche per gli adulti. Trovare il tempo per entrare in se stessi, liberarsi dalle scuse/preferenze indotte dalla paura di sentirsi costretti a seguire la corsa all’efficienza, al fare e così esimersi dalla fatica di pensare, conoscersi, capire e rendersi disponibili a mettersi in discussione, con i tempi che corrono, potrebbe essere veramente da “Supereroi”. Ma, nell’abbraccio di Luce che viene dall’Alto e in compagnia di una saggia amicizia, oltre all’accettazione dei propri limiti, diventa possibile anche l’apertura al dialogo, la realizzazione di relazioni coinvolgenti costruttrici di pace.