Conosciamo tutti la storia “Il ponte e i due fratelli”, che risulta significativa nell’affascinante mondo odierno delle relazioni interpersonali e internazionali. https://www.youtube.com/watch?v=4JrDIO_QhfI
Le relazioni internazionali stanno fallendo e le ragioni si approfondiscono di anno in anno. Secondo il Centro per gli Affari Internazionali di Barcellona (CIDOB1), il 2023 è stato l’anno più conflittuale a livello mondiale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, con 237.000 morti in 10 gravi conflitti armati, alcuni dei quali più noti di altri, ma che ci vedono tutti coinvolti.
Abbiamo sentito parlare molto di questi conflitti, ci sono grandi studiosi di ogni strategia utilizzata, vengono realizzati numerosi grafici sulle possibili decisioni e sui loro effetti, possiamo citare nomi e colpevoli… Il richiamo della PACE ci esorta. E anche questa domanda: come ci mettiamo in gioco? Cosa facciamo per il cambiamento?
I conflitti sono lotte per sopravvivere, per ottenere benessere e libertà; sono dispute per costruire la propria identità, in ultima analisi per difendere la soddisfazione dei bisogni umani fondamentali.
Se guardiamo la nostra realtà più vicina, troviamo un gran numero di disaccordi, che ci riguardano a livello sociale, familiare, lavorativo, con gli amici e nel nostro modo di entrare in sintonia con la natura. È una grande crisi, nonostante i molteplici progressi e miglioramenti tecnologici, non riusciamo a capire, a discernere insieme le soluzioni migliori, e la spaccatura si sta ampliando.
Abbiamo visto l’importanza dell’ascolto in questo processo di comprensione, ora è il momento di approfondire una comunicazione più completa. Cosa significa? È noto che l’atto comunicativo più semplice si compie solo quando il messaggio è compreso. Il semplice fatto di inviare, dire qualcosa o scrivere non è comunicazione, non è nemmeno lontanamente paragonabile, è solo una libera espressione di un io.
Quando questo ciclo è completo, cioè quando un tu riceve il messaggio inviato, e questo processo bidirezionale si chiude, possiamo cominciare a parlare di comunicazione.
La comunicazione ha accompagnato l’uomo fin dalle sue origini, e gli ha permesso di evolvere, crescere e capirsi; Per questo è stato necessario passare da un io e un tu a un noi. Si è così instaurato il dialogo tanto necessario all’evoluzione dell’umanità. Quel noi oggi per ciascuna, ciascuno, significa comunità. La comunità è comunicazione e la comunicazione è comunità.
Oggi, nelle relazioni interpersonali sono andati perduti il rispetto, la tolleranza, l’empatia. Senza questi valori non c’è comprensione. Dialogare non è lo stesso che far valere la mia opinione, imporre le mie idee. Per riuscirci dobbiamo avere la capacità di ascoltare, imparare dagli altri, prestare attenzione e, soprattutto, essere capaci di silenzio, che ci aiuta a comprendere meglio e a non alimentare pregiudizi.
L’ascesa e l’espansione delle nuove tecnologie consente oggi una migliore comunicazione, questo è ciò che era stato promesso, ma pur avendo a portata di mano o di un clic la possibilità di incontrarci, siamo più separati e senza dialogo. Quanti di noi lasciano da parte il cellulare durante una riunione? Quando salgono sull’autobus, o sulla metropolitana, c’è un’infinità di io connessi con se stessi e non con gli altri, senza ascoltare ciò che accade intorno a loro o con la testa chinata e gli occhi fissi sui propri dispositivi.
Stiamo perdendo le nostre funzioni e i nostri sensi, abbiamo urgente bisogno di recuperare la voce, l’olfatto, il tatto, abbiamo urgente bisogno di guardarci negli occhi.
Come società, come governo, abbiamo smesso di promuovere la convivenza con le persone che ci circondano, non abbiamo più formato comunità con un obiettivo comune, ci hanno devastato l’individualismo e la competizione invece di valorizzare il diverso, la diversità di vedute e di pensiero che arricchisce e dà qualità al dialogo.
L’evoluzione della persona, dell’intera umanità, è legata alla saggezza che esiste tra le relazioni delle persone e l’apprendimento a l’essere “uomini migliori”. Per riaffermare questa esigenza di apprendimento ascoltiamo ancora una volta il nostro Papa Francesco: “In quest’epoca che rischia di essere ricca di tecnica e povera di umanità, la nostra riflessione non può che partire dal cuore umano. Solo dotandoci di uno sguardo spirituale, solo recuperando una sapienza del cuore, possiamo leggere e interpretare la novità del nostro tempo e riscoprire la via per una comunicazione pienamente umana.”2
Sappiamo che non siamo i primi responsabili della gestione delle regole, delle leggi o delle relazioni tra i Paesi, ma abbiamo a portata di mano un grande potere: il dialogo (e chi dice dialogo parla di ascolto, di parola, di voce).
Un potere che, come il falegname della nostra parabola, è capace di frenare la rabbia per riconciliarsi, creare fratelli e sorelle e colmare le distanze. Come possiamo cambiare il corso di queste situazioni conflittuali con il dialogo?
I grandi scenari della multicultura, dell’interreligiosità, delle diverse idee politiche, ci parlano di rispetto, di accettazione delle nazioni, ognuna con culture, tradizioni, idee, lingue diverse; cioè di vedere il mondo con e da un’altra prospettiva per comprendere i sentimenti e le azioni degli altri. Con azioni che vanno anche a beneficio degli altri, avremmo società più giuste ed eque. Il nostro compito principale sarà quello di promuovere comunità di dialogo e di raggiungere l’equilibrio. Il dialogo è senza dubbio la base di un nuovo paradigma per la civiltà di oggi.
Ciascuno di noi è chiamato ad essere un artigiano della pace, unendo e non dividendo, estinguendo l’odio e non conservandolo, aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri!» FT 284
IL PONTE E I DUE FRATELLI
Due fratelli, Tomas e Javier, vivevano d’amore e d’accordo in fattorie adiacenti. Un giorno scoppiò una seria lite tra loro, la prima dopo 40 anni in cui avevano coltivato insieme la terra condividendo macchine e attrezzi, scambiandosi continuamente raccolti e beni.
Il tutto è iniziato con un piccolo malinteso, cresciuto fino ad esplodere in uno scambio di parole amare seguito da settimane di silenzio.
Una mattina qualcuno bussò alla porta di Tomas. Quando aprì si trovò davanti un uomo con gli attrezzi da falegname: “Sto cercando un lavoro per qualche giorno” – disse il forestiero – “forse avete bisogno di qualche piccola riparazione qui nella vostra fattoria e io potrei essere d’aiuto”.
“Sì”, disse il maggiore dei due fratelli, “ho un lavoro per lei. Guardi là, dall’altra parte del torrente, in quella fattoria vive il mio vicino, il mio fratello minore. La settimana scorsa c’era un bellissimo prato tra noi, ma lui ha deviato il letto del fiume perché ci separasse. Forse l’ha fatto per farmi arrabbiare, ma io gli farò di meglio: vedi quella catasta di legna vicino al fienile? Voglio che tu costruisca uno steccato alto due metri e mezzo di altezza, non voglio vederlo mai più”. Il falegname rispose: “Credo di aver capito la situazione, farò un lavoro che ti soddisferà”. Il fratello maggiore aiutò il falegname a raccogliere tutto il materiale necessario e lasciò la fattoria per il resto della giornata per andare a fare spese in paese.
Il falegname lavorò duramente tutto il giorno misurando, tagliando, inchiodando. Verso il tramonto, quando il contadino tornò, il falegname aveva appena finito il suo lavoro. Il contadino rimase a bocca aperta. Non c’era una recinzione di due metri, ma un ponte. Un ponte che collegava le due fattorie attraverso il torrente. Era una vera opera d’arte.
In quel momento, il fratello minore, Javier, arrivò dalla sua fattoria attraversando il ponte e abbracciò il fratello e, con gli occhi pieni di lacrime, gli disse: “Sei un grande uomo! Hai costruito questo bellissimo ponte dopo quello che ti ho fatto. Grazie, perdonami”.
Mentre i due fratelli stavano facendo pace, il falegname in silenzio raccoglieva gli attrezzi per andarsene.
“No, no, aspetta; rimani ancora per qualche giorno, ho parecchi lavori per te”, disse il fratello maggiore al falegname. “Mi fermerei volentieri”, rispose lui, “ma ho molti ponti da costruire”.