Famiglia e scuola devono fare i conti con un mondo che tende continuamente a sostituire l’essere con l’apparire, le dimensioni più profondamente umane con la spinta a cercare likes e consensi con gli scoop, non importa se rincorrendo scenari di violenza e inducendo a giocare con la guerra e con la propria identità. I genitori si fanno un vanto di figli ancora nel carrozzino e che già conoscono l’ABC dei giochini elettronici. Sperando che col crescere acquisiranno le abilità tecniche che garantiranno la centralità nel mondo del lavoro, restano in bilico tra approvazione e diniego. La scuola da parte sua lotta – spesso impotente – contro l’abuso di telefonini e l’invadenza delle comunicazioni di massa, dominate delle grandi holding che fanno profitti sulla produzione e sulla diffusione ossessiva di notizie, immagini, suoni. Sul mercato dell’opinione pubblica viene offerta h 24 una pluralità di informazioni equipollenti, che entrano in conflitto nei sistemi di concorrenza e finiscono col minimizzare e nullificare lo sforzo del discernimento dei contenuti. Gli insegnanti s’impegnano come possono per favorire un uso intelligente dei mezzi di comunicazione digitale e risvegliare la capacità critica di interpretare, rielaborare, personalizzare i messaggi.
A difesa delle comunicazioni interpersonali e contro le derive della comunicazione tecnologica il caposaldo resta la famiglia. Non servono lauree specifiche e testi di pedagogia e psicologia. È in gioco quella genialità dell’amore che intuisce le situazioni e sa utilizzare una pluralità di registri comunicativi, calibrandoli sul tu che sta di fronte, sulle circostanze, gli argomenti trattati, le possibili reazioni, sempre mirando alla migliore intesa possibile io-tu-noi. In famiglia valgono le testimonianze dirette dei componenti e dunque la coerenza, l’affidabilità, la sollecitudine nel rivolgersi agli altri, la capacità di stabilire rapporti chiari, trasparenti, convincenti. Per realizzare un clima di pace, tutti dovrebbero impegnare cuore e intelligenza nei messaggi da trasmettere e una pari attenzione a quelli che vengono comunicati. Le sviste, i malintesi, gli spropositi in questo ambito minano la pace interpersonale possono provocare conflitti non sempre gestibili.
Come possono i genitori evitare che i loro messaggi vengano giudicati impositivi, invasivi, sproporzionatamente impegnativi? Una delle tentazioni da frenare per prevenire i rifiuti è quella di “fagocitare” i figli. Un genitore non è immune dal desiderio di imprigionare i figli, dal volerne prolungare la dipendenza, rifiutarne o addomesticarne l’alterità. Cos’altro è la guerra se non il tentativo di sopraffazione da parte di chi ha o ritiene di avere una forza superiore e vuole assorbire quella più modesta nella sua orbita? L’arte di accompagnare la crescita esige genitori che non addestrano i figli alla conformità, alla funzione che dovranno esplicare da adulti, secondo modelli prestabiliti, sociali, politici, religiosi.1 La persona si suscita con un appello, non si costruisce con l’addestramento. Occorre che l’altro progressivamente scopra il senso del suo esistere, assuma la propria responsabilità nel selezionare e scegliere il suo percorso specifico nel consesso delle relazioni in cui è collocato, portando il contributo della propria personalità, di una storia personale unica che va costruendosi nel tempo. Ciascuno riceve, elabora e trasmette un proprio sguardo sulla realtà; non si inserisce nel tessuto familiare o sociale come i pezzi ad incastro di un meccanismo fisico. Recepisce, interpreta elabora e agisce influenzando il suo piccolo mondo. Porre l’accento sull’esistenza, sulle scelte, significa lavorare al modo migliore di mettere in circolo i talenti propri e quelli altrui, accettando il carico di responsabilità etica che essi impongono.
I genitori devono guardarsi dalle tendenze invasive, fino ai limiti dell’avvilimento delle personalità dei figli (quanti non si rendono conto di rovinarli!), o dell’annullamento di sé per i figli, fino ai limiti del masochismo. Non pochi tra i ‘nuovi genitori’, anche perché giudicano faticoso e controproducente un rifiuto, s’impongono di far crescere i figli liberi da ogni vincolo, non farli piangere, assecondarne sempre i desideri. Rinasce quel puerocentrismo anni Ottanta (pedagogia ‘diseducativa’ di B. Spook), i cui frutti sono ancora visibili in bambini e adolescenti ‘tiranni’, egocentrici e, a tale scopo, violenti.
In vista di un sistema di pace lungimirante è opportuno che i figli imparino ad incassare dei “no” senza scalpitare, a riconoscere l’intenzione amorevole anche nelle poche e basilari regole su cui i genitori non transigono. Quel che vale è la qualità del rapporto di fiducia che rende accettabili le indicazioni dei genitori, perché trasmesse con ferma amorevolezza e perché attestate dalla coerenza tra discorsi e stili di vita. Solo la conoscenza diretta e prolungata di ciascun componente il nucleo familiare sa indicare come rivolgersi ai diversi soggetti tenendo conto della specifica condizione di fragilità e calibrando la comunicazione sulla capacità ricettiva dell’altro. Del resto, se il grado di democrazia di una nazione si misura sulla capacità di impegnarsi per i più deboli, tanto più ciò vale per le famiglie. Gli educatori alla pace sono suscitatori di fiducia, di libertà e responsabilità; risvegliano quell’appello interiore che chiama la persona ad essere se stessa, essendo per gli altri.
I valori umani che la famiglia è chiamata a custodire sono tanto più importanti con la rivoluzione di Internet, la quale è per molti versi liberante ma non è scevra da rischi. Le potenzialità interattive si moltiplicano: il lavoro e la spesa a casa, il voto nella democrazia “digitale”, le prenotazioni di viaggi e spettacoli, le amicizie con persone sparse in tutto il mondo. Tuttavia, gli adolescenti, benché più esperti nelle comunicazioni virtuali, non sempre sanno difendersi dall’intreccio e dalla sostituzione del reale con il virtuale, da giochi con interlocutori mai visti, anche d’azzardo, dal sesso virtuale con ragazze mai incontrate. Essi amano restare costantemente in contatto col mondo, essere visti e nascondersi, partecipare a comunità virtuali nella veste di personaggi fantasiosi (fumetto, cartone animato) o reali (ad es. quelli preferiti nello sport o nel cinema) e spesso ne restano catturati. Inoltre, concentrati come sono sui mezzi elettronici, indeboliscono le relazioni empatiche dirette in famiglia e con i compagni, per non parlare dell’abitudine che contraggono a relazioni frettolose, intermittenti e interscambiabili, in cui l’altro è chiamato in causa quando e se è funzionale, per essere poi estromesso e dimenticato non appena diventa ingombrante: ci si può liberare di avatar molto più agevolmente che dell’altro in carne ed ossa.
Perché la pace sia praticata nella vita di tutti i giorni, bisogna imparare in famiglia a comunicare col corpo, col cuore, con l’intelligenza e con l’anima. Laddove il rapporto tra comunicante e ricevente è molto più che face to face – coniuge, figli, amici, conoscenti, vicini – non è facile chiudere la porta ai feed back critici, rivendicativi, conflittuali che impongono di mutare atteggiamento con ciascuno dei membri con cui si condivide la quotidianità, tenendo conto della molteplicità di variabili che delineano le differenze di sesso, età, propensioni politiche e convinzioni religione. Tale compito delicato e sapiente impegna soprattutto i genitori nel cercare di capire quali sono le doti specifiche di ciascun figlio/a e contribuire a farle emergere e apprezzare. La pace richiede l’intelligente disposizione a calibrare il proprio comportamento sull’altro, rispettando il mistero unico che rappresenta. Nessuno è un esemplare riproducibile. Infatti, benché si possano condividere in linea di massima le idee universali, i principi e le caratteristiche che sintetizzano le qualità dell’essere umano, ogni concetto si infrangerà sempre di fronte al fatto che qui ed ora c’è quel singolare tu. Le mamma e i papà, mentre cercano di comprendere e favorire lo sviluppo dei figli con un’opera maieutico-socratica-cristiana, sanno di ricevere il dono di una persona inedita che dice al mondo una parola non ancora detta da altri, imparano a riconoscere e sostenere “vocazioni inaspettate”.
Si educa alla pace più agevolmente in famiglia se in essa si alimentano buona disposizione alla reciprocità, creatività, continui adattamenti dinamici tra l’io e l’altro, ricominciamenti fecondi. Il riconoscimento e la stima delle doti di ciascuno, la capacità di accordare le differenze e appianare i conflitti generano nei figli autostima e quindi coraggio nell’assumere la responsabilità di scegliere e rifiutare, di affermarsi, di pagare di persona, di andare verso gli altri affrontando i rischi di fallire, di restare soli, di raggiungere obiettivi diversi da quelli perseguiti. Può capitare che qualche componente della famiglia segua un percorso di vita tortuoso e riprovevole, senza, per questo, essere cancellato dall’album di famiglia lasciando una ferita incolmabile.
Se appresa in famiglia, la disposizione a costruire la pace, si apre alle relazioni di tutti verso tutti, nell’aspirazione ad essere pienamente se stessi aiutando ogni prossimo ad essere quel che è e dunque valorizzando quel fondo di ricchezza e di sovrabbondanza che ogni persona possiede e che purtroppo spesso resta non sfruttata. L’equilibrio della pace è sempre precario, sempre da ricostruire, mai immune da tensioni intra ed extra personali, poiché ogni situazione è ambigua, impura e comporta una presa di posizione che volenti o nolenti, prima poi, costringe a rifiutare la neutralità e l’indifferenza, ad affrontare sacrifici, sia pro (in vista di obiettivi) che contro gli ostacoli, a ‘sporcarsi le mani’. Perciò chi vuole essere costruttore di pace deve conoscere il valore della lotta.
- Cf E.MOUNIER, Le personnalisme, Oeuvres, Seuil, Paris 1961-63, III, p.521. ↩︎