Avversari, non nemici

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Per evitare di ridurre la pace a slogan, simboli e riti - religiosi e profani- ciascun di noi, impotente a siglarla ad alti livelli, dovrebbe costruirla attimo dopo attimo impegnandosi a convivere e rispettare la pluralità delle opinioni di quanti si oppongono alle nostre. Ogni convinzione, che ci piaccia o meno, se non è strumentale a bassi interessi personali e di parte, è legittima e contiene delle verità, frutto di una storia personale sempre potenzialmente feconda. Vi è implicita una valutazione degli eventi che porta in sé il rifiuto dell’ingiustizia e acuisce l’aspirazione a realizzare un mondo più umano nel quale si renda possibile il massimo di felicità nelle condizioni date.

Il primo principio a cui educarsi ed educare è dunque il riconoscimento della legittimità di posizioni che mirano in modi e metodi diversi ad obiettivi condivisibili. Tutti – compresi moglie marito figli e amici più cari – hanno il diritto e anche il dovere di elaborare e difendere, in scienza e coscienza, una propria visione della realtà proponendo quelle che considerano le soluzioni migliori. È proprio questo il tratto distintivo di una socializzazione che poggia sulla maturità di un popolo. Infatti, quando manca il rispetto delle posizioni opposte e prevale lo scontro teso all’annullamento dell’altro, viene meno la democrazia. 

L’altro aspetto, ugualmente importante e legittimo, è riconoscere all’altro e a sé il diritto di combattere per affermare le proprie idee, in una sana competizione che è il sale di una convivenza non stagnante. Troppo spesso si concepisce la competizione come annullamento dell’altro in campo socio-politico ed economico. Eppure l’avversario, contro le cui idee si combatte, non è un nemico da zittire ed emarginare, ma una persona a suo modo certa di avere in tasca il progetto migliore, con la quale competere lottando secondo le regole della buona convivenza democratica per dimostrare l’eventuale infondatezza o limitatezza delle sue idee e far avanzare le proprie sulla base della ragionevolezza e dei fatti.

Un terzo tratto esige una dose di umiltà nel credere nella bontà delle proprie idee, il che comporta un certo ‘apostolato delle idee’ che insiste ossessivamente nel voler convincere per vincere. La pace richiede la disponibilità a credere che anche le idee dell’altro vadano prese in considerazione e che si faccia spazio perché possano essere espresse e dunque esige di essere al contempo avversari e alleati che si riconoscono nella comune ricerca della verità, nel principio della libertà di pensiero, nella correttezza della lotta per l’affermazione delle proprie idee. Vale ancora la frase erroneamente attribuita a Voltaire: «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire». Non si tratta di fair play che faccia bella mostra di una elegante tolleranza. La tolleranza ha i suoi limiti: non può giungere ad accettare per falso pacifismo che si promuova l’omicidio, lo sterminio, il razzismo. Essa si riconosce in un “minimo etico” che reclama reciprocità di obiettivi: si è reciprocamente tolleranti ma anche – obtorto collo – intolleranti con quanti propagandano l’intolleranza verso determinate categorie e atti delittuosi.

Benché questi assunti siano teoricamente condivisi, di fatto risulta prevalente il modello relazionale, sociale e politico che demonizza la parte avversa. I mass media, le forze politiche, la società civile pullulano di discorsi tesi a svalutare l’avversario, che si trovi in posizione di poter dare corpo normativo alle idee e decidere la scala delle priorità, oppure di opposizione. Chi lotta, vincitore o sconfitto, non può concentrarsi a ridicolizzare i contenuti e i metodi della parte opposta, individuando quelli più attaccabili da dare in pasto all’opinione pubblica, a contraddire sistematicamente e  aprioristicamente ogni progetto, a colpire il tallone d’Achille dell’avversario diffondendo critiche caustiche e fake news, a scavare sulla vita privata degli avversari, per svelare eventuali errori commessi in gioventù, amplificarli e diffonderli servendosi dei talk show, delle vie giudiziarie, di veri, supposti o costruiti scandali familiari, economici, sessuali. L’opposizione alle idee e all’operato dell’avversario non può colpire la sua persona, distruggerne la reputazione, intaccarne l’integrità morale, arroccandosi sulla pretesa superiorità morale della propria parte, per cui idee, valori e comportamenti positivi starebbero da una sola parte mentre tutto il resto meriterebbe disprezzo. “Da una parte gli illuminati dall’altra i barbari e fascisti da educare ai veri valori”. È noto che una democrazia incapace di raccogliere e valorizzare il buono da dovunque venga, con un rapporto inquinato tra maggioranza e minoranza, governo e opposizione, si ammala e tende a slittare verso la dittatura. 

La legittimità di competere non significa che tutti i mezzi sono eticamente e politicamente corretti per averla vinta, come se l’obiettivo fosse solo di strappare il potere al ‘nemico’ e afferrarlo nelle proprie mani. Lo constatiamo ancor più oggi, in tempi di guerra nel Medio Oriente, in Africa e alle porte dell’Europa, quando le contraddizioni esplodono e l’obiettivo di vincere e sconfiggere l’altro svela militanti che si dichiarano a parole contro la violenza, indefessi nello sventolare bandiere per la pace, ma che lavorano per invelenire il clima sociale, culturale e politico. Di fatto assistiamo alla diffusione di intolleranza, violenza verbale e comportamenti che meritano di essere bollati come antidemocratici, considerato che erodono le radici della democrazia rendendola sempre più vulnerabile. Questi metodi, diffusi in modo sottile e sofisticato attraverso la cultura e i mass media, stanno avvelenando le relazioni anche tra appartenenti a religioni diverse, poggiando sulla tendenza di ciascuna a pretendere di avere in tasca la verità. Ammonisce la Commissione Teologica Internazionale: «Ancora oggi molti degli aderenti alle religioni, e le società stesse che le abbracciano, vivono all’interno di un pensiero religio-centrico al di fuori del quale non possono dialogare con altre verità. Solo la loro religione è “la Verità” e a margine di essa non possono riconoscere l’esistenza di altre “verità”, al plurale».

La triste benedizione che Kirill ha dato alla guerra di Putin rafforzando le posizioni anti Ukraina, non solo degli ortodossi, ha disorientato quanti assistono impotenti alle connivenze politiche, economiche e diplomatiche tra cristiani ortodossi e Putin contro l’Occidente e il cattolicesimo di Roma in nome dell’antico concetto di ‘guerra giusta’. Il divieto di uso della forza previsto dalla Carta delle Nazioni unite resta sulla carta, ivi comprese le eccezioni in caso di “legittima difesa” e azione deliberata dal Consiglio di sicurezza ONU (oltre alle eccezioni di natura consuetudinaria, riconducibili a categorie classiche del diritto internazionale come consenso, necessità e interventi umanitari). Nella realtà si individuano i nemici e si chiudono le porte al dialogo tanto da impedire di fatto l’accoglienza di papa Francesco come pellegrino di pace. 

Gli approfondimenti di questi diversi aspetti circa la pace e l’uso della forza portano a conclusioni meno apodittiche. Piuttosto che ‘sì e no’ rimandano alla responsabilità e al discernimento caso per caso. Proprio per questo assume un ruolo fondamentale la cultura e in primis l’ambiente familiare in cui si crescono specie le nuove generazioni: ascolto sincero, capacità di dubitare della propria verità, disponibilità a mettere in discussione ogni posizione ritenuta indiscussa e a posporre le idee alle persone. In particolare la valorizzazione della narrazione dei fatti così come gli altri li leggono educa a comprendere e, se del caso, accogliere le ragioni altrui e dunque mettere in pratica una strategia di pace che non si contenta di riempirsi la bocca delle lodi liturgiche per gli «operatori di pace» né di un quieto vivere stagnante che promuove l’assuefazione alle idee altrui fino a farsi complici del male. La sana competizione è un correttivo dei limiti di ogni visione parziale, della demonizzazione dei conflitti, di ogni fuga irenica nei paradisi; occorre sempre lottare per non assuefarsi alla ricerca di consolazioni alienanti, per contrastare la legge del più forte e rimuovere, ovunque è possibile e una dopo l’altra, le condizioni che impediscono una giusta convivenza e che ci sono più ‘vicine, come la diffusione delle droghe, le violenze in famiglia, le ingiuste promozioni ed emarginazioni nel lavoro e quelle che sembrano lontane, almeno fino a che non arrivano alle nostre porte, come le guerre e i loro crimini, tortura e terrorismo, campi di concentramento, stupri di massa, corsa agli armamenti, minaccia nucleare.Se vuoi la pace, semina la pace, ma anche lotta per realizzarla insieme a tutti coloro che sinceramente la cercano e condividono la fatica quotidiana della costruzione di relazioni sapide e giuste e di decostruzione in sé e negli altri dell’egoismo, dell’odio, della vendetta. Non possiamo essere solo “celebratori della pace”; occorre realizzarla: “Beati gli operatori di pace”.

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