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Possiamo affermare – e non è una novità – che il concetto di educazione è cambiato nel corso della storia dell’umanità. Guardando alla preistoria con gli occhi di oggi, sappiamo che il tipo di educazione allora era imitativa e domestica: l’individuo dava il suo contributo al clan, verso cui si rivolgevano gli interessi dei membri del gruppo familiare. Si trattava di un’educazione in cui si imparava ciò che era necessario nel presente. Era un’educazione magica, basata sui miti propri di ogni gruppo e su un rapporto molto stretto con la natura e i suoi fenomeni, in cui si manifestavano tradizioni e credenze.
L’educazione si evolve con il tempo, come la forma di organizzazione sociale. Nell’Antica Grecia, a Roma o in Mesopotamia vediamo i primi esempi di comunità educate sotto l’insegnamento di un maestro, con una relazione strettamente centrata sull’universo e sull’essere, in cui predominavano la filosofia e la scrittura. Le università del Medioevo diventarono il centro educativo, con l’apprendimento basato sulla religione e sulla scienza. Nel Rinascimento, con l’Umanesimo, si assistette a un approfondimento delle scienze, della filosofia, dell’arte e della letteratura, reso possibile dalla grande invenzione della stampa.
Con la rivoluzione industriale, lo sviluppo di sistemi scolastici moderni e dell’istruzione pubblica divenne essenziale per preparare le persone a lavorare nelle fabbriche e nei mestieri tecnici. Tuttavia, l’alfabetizzazione globale rimase una sfida per molte nazioni.
Dalla metà del XX secolo a oggi, possiamo parlare di una vera e propria universalizzazione dell’istruzione: istruzione obbligatoria e gratuita, università, formazione tecnica e professionale, programmi di studio standardizzati, nuovi metodi pedagogici, apprendimento basato su progetti, inclusione scolastica, nuove tecnologie, intelligenza artificiale. Questi sono solo alcuni dei termini che sentiamo frequentemente.
Qual è lo scopo di tutto questo e qual è il punto di arrivo? È importante riflettere su cosa o chi sia al centro dell’educazione e quale sia il suo obiettivo finale. In alcuni momenti storici, il centro è stato la tribù o la comunità; in altri, la società e il suo progresso economico e culturale. Negli ultimi anni, invece, il focus si è spostato sulla persona dell’allievo e sulle sue competenze sociali: educare al lavoro, alla professione, a una migliore performance, a crescere all’interno di una comunità, a vivere in un mondo globalizzato.
Nell’umanità di oggi, ci rendiamo conto che qualcosa è andato storto. L’educazione non è riuscita a mantenere in salute il nostro mondo. Qua e là, ci sono governi corrotti, economie in crisi, mancanza di lavoro, fame diffusa, poteri consolidati, migranti indesiderati e sogni che si sgretolano. Soprattutto, vediamo un senso di impotenza di fronte a una pace fragile e a nuovi focolai di violenza ogni giorno.
Papa Francesco ha dichiarato, nel dicembre 2020, in occasione della presentazione del Patto Educativo Globale: “Una delle principali difficoltà che l’educazione deve affrontare oggi è la diffusa tendenza a decostruire l’umanesimo. L’individualismo e il consumismo generano una competizione che degrada la cooperazione, offusca i valori comuni e mina alla radice le regole più elementari della convivenza. Anche la cultura dell’indifferenza, che avvolge le relazioni tra individui e popoli, così come la cura della casa comune, corrode il senso dell’umanesimo.” (Videomessaggio per il lancio della Missione 4.7 e del Patto per l’educazione, 16/12/20).
Come possiamo recuperare l’umanesimo che favorisce una cultura di pace? Un punto di partenza potrebbe essere dare più spazio alla misurazione, allo sviluppo e all’ottimizzazione della gestione emotiva, per favorire la crescita delle competenze emotive sia intrapersonali che interpersonali. Questo significa tornare all’educazione emotiva, che dagli anni ’80 – e persino prima – ha iniziato a essere utilizzata, seppur timidamente, in alcune scuole.
Per competenze emotive intendiamo quell’insieme di conoscenze, abilità, capacità e atteggiamenti necessari per diventare consapevoli, comprendere, esprimere e regolare in modo appropriato i fenomeni emotivi. Lo scopo di queste competenze è aggiungere valore alle funzioni professionali e promuovere il benessere personale e sociale.2
Cosa fare, quindi, con i nostri bambini, adolescenti e giovani? Lo sviluppo delle competenze legate all’intelligenza emotiva inizia in casa, principalmente attraverso interazioni appropriate tra genitori, figli e fratelli. Ciò avviene tramite il modellamento del comportamento dei genitori e le loro interazioni con i figli. Con le loro risposte alle situazioni di vita, i genitori insegnano ai figli come identificare e gestire le proprie emozioni, sia in modo appropriato sia – talvolta – in modo errato.
“Dobbiamo fare in modo che in questo villaggio nasca una convergenza globale per un’alleanza tra gli abitanti della Terra e della casa comune, affinché l’educazione sia creatrice di pace, di giustizia, di accoglienza tra tutti i popoli della famiglia umana e di dialogo tra le loro religioni. Un villaggio universale, ma anche un villaggio personale, individuale.”
Papa Francesco
Nella sfera accademica ed educativa, la dimensione affettiva è stata spesso relegata in secondo piano. La costruzione di legami affettivi all’interno di questi spazi viene percepita come un ostacolo alla conoscenza “neutrale”. Tuttavia, la proposta pedagogica salesiana, basata sul Sistema Preventivo, include il livello affettivo come asse centrale. Per Don Bosco, “l’educazione è una questione di cuore”, un principio che si è concretizzato in numerosi incontri di Madre Mazzarello con le ragazze, dove ognuna si sentiva l’unica destinataria della sua tenerezza materna.
Ed è proprio da qui che tutto deve partire: un nuovo modello di relazione che ci educa alle emozioni e ci fa crescere nell’empatia di fronte a tante realtà avverse. Un modello in cui ognuno può dire: “Io sono il centro, meritevole di questo amore…”, per poi ripetere la stessa esperienza con chi ci circonda quotidianamente.
Questa educazione alle emozioni e ai sentimenti coinvolge, come un fiume che scorre, altre persone che si uniscono lungo il cammino. Dai piccoli gruppi si passa alle città, alle intere società e, perché no, ai Paesi. Educare all’amore significa educare al rispetto e alla pace.
Dobbiamo lavorare affinché, in questo villaggio, nasca una convergenza globale: un’alleanza tra gli abitanti della Terra e della casa comune, affinché l’educazione diventi creatrice di pace, giustizia e accoglienza tra tutti i popoli della famiglia umana, oltre che di dialogo tra le diverse religioni. Un villaggio universale, ma anche un villaggio personale, individuale.
- Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti all’Assemblea plenaria della Congregazione per l’Educazione cattolica (degli Istituti di studi), 20 febbraio 2020. ↩︎
- Rafael Bisquerra, Presidente della Rete Internazionale di Educazione Emotiva e Benessere, Professore Emerito dell’Università di Barcellona, Dottore Honoris Causa del CELEI del Cile, Dottore in Scienze dell’Educazione, Laurea in Pedagogia e Psicologia. ↩︎