Di cosa è fatta la speranza

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“Di che cosa è fatta la speranza” di Emmanuel Exitu, ispirato alla vita di Cicely Saunders, pioniera delle cure palliative, esplora la natura della speranza attraverso l'esperienza del dolore e della fede. Un romanzo che invita a riflettere su come lenire la sofferenza e dare dignità agli ultimi istanti di vita.

Abbraccio misterioso

Il 15 ottobre 1943 Cicely Saunders, allieva infermiera della prestigiosa Scuola sperimentale per Infermiere “Nightingale” di Londra, raggiunge un ospedale dove inizia il servizio ai feriti reduci dai fronti di guerra. Trova l’inferno: centinaia di coetanei che muoiono tra atroci sofferenze. Invece di scoraggiarsi di fronte all’impossibilità di salvarli, comincia a studiare la situazione e scopre che per lenire la sofferenza dei moribondi non bastano le cure fisiche: è necessario curare la loro disperazione.

“Di che cosa è fatta la speranza”, di Emmanuel Exitu, è un romanzo che tra la sua origine dalla vita di una persona reale, Cicely Saunders, infermiera e successivamente medico, la quale lottò per aprire il primo moderno hospice: «una casa specializzata come un ospedale e un ospedale caldo come una casa».

A contatto con le sofferenze non riconosciute proprio da chi dovrebbe curarle, in Cicely avviene un cambiamento che nasce dal chiedersi come si possano migliorare gli ultimi istanti delle persone. Relazionandosi con persone sole ed emarginate, Cicely comincia ad annotare i tentativi e i fallimenti, le intuizioni e le buone pratiche che consentono di lenire la sofferenza di chi non è più guaribile. Alcune “risposte” gli giungeranno assistendo un ebreo polacco, malato terminale, infatti dalle conversazioni con lui nasce la prima idea di hospice, un luogo dove si possa concludere la vita dignitosamente. Altre le giungono passando dall’ateismo alla fede anglicana, un passaggio reso possibile dall’ascolto delle conferenze di Clive S. Lewis, il celebre convertito autore delle “Cronache di Narnia”. Credente, Cicely «ha tutto chiaro in testa: crede che un Dio esiste, lo crede come qualcosa di naturale, come si crede all’esistenza di una montagna; sa perfino che è un Dio speciale, che si è fatto carne per noi. Tutto, sa tutto. Ma sa pure che saperlo soltanto con la testa non cambia un accidente. È nel cuore che devi saperlo, nel cuore! Sapere solo con la testa è una luce senza fuoco, non ti scalda. Invece devi poterlo toccare, Dio, non solo vederlo. Devi sentire il cuore di Dio che ti batte contro attraverso la pelle, che ti vibra sul petto». E quando Dio tace? “Dio tace non perché non esiste: tace perché sta soffrendo con noi, per noi, come noi. È un Dio vivo, di carne viva. E la carne soffre. E nessuno che stia davvero soffrendo ha voglia di fare discorsi, né di sentirli. Pertanto, quando ci troviamo davanti una persona che soffre e non sappiamo cosa dire, dovremmo offrire piuttosto la nostra presenza, noi stessi, proprio come fa Dio”.

“La speranza è il modo peggiore…”

Cicely insegna che la sofferenza si sconfigge con un farmaco di cui tutti possiamo disporre: l’empatia, far sentire il prossimo amato e stimato. È quanto ha compreso trovandosi nell’inferno, là dove ha inventato il nuovo, ha compreso che “la speranza è il modo peggiore di affrontare la vita. Naturalmente se si escludono tutti gli altri, che sono molto peggio”. La speranza non è una tecnica di suggestione per vedere le cose come non sono ma è la capacità di stare dentro al presente. In questo senso la speranza “è il modo peggiore di affrontare la vita” perché è impegnativa, però “tutti gli altri sono molto peggio” in quanto escludono la creatività e la libertà, l’essere protagonisti. Cicely testimonia che, se si è capaci di attenzione, si può giunger a scorgere il possibile dove sembra che tutto sia impossibile. Dunque “Di che cosa è fatta la speranza”? C’è un capitolo che dà il titolo al libro, in esso si elencano gli ingredienti della speranza: quelle cose e persone che i malati terminali hanno care, che il personale dell’hospice procura loro: da un whisky con ghiaccio tritato a un cucciolo d’elefante, perché “la speranza è fatta di cose che hanno bisogno di qualcuno che le faccia accadere”. Ciascuno di noi può essere una di queste persone che le fa accadere, in ogni ambito.

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