Negli ultimi decenni del XX secolo, anche prima dell’esplosione dei media digitali, esisteva già una forte tendenza nei media analogici a utilizzare il sensazionalismo come strategia per aumentare, mantenere e, in un certo senso, “intrattenere” il pubblico. I giornali sensazionalisti avevano e hanno molto successo, utilizzando tattiche come il linguaggio accelerato, le immagini d’impatto, i discorsi aggressivi e l’eccessivo sfruttamento di fatti specifici. Con l’avvento dei social media e delle reti, il sensazionalismo ha assunto nuove forme che, incorporate da influencer e produttori di contenuti, hanno perfezionato sempre più le tecniche utilizzate per colpire il pubblico, generare panico sociale, trasmettere messaggi aggressivi e discorsi di odio che si diffondono con l’argomento della libera espressione.
Questa forma di comunicazione, che cerca di massimizzare le sensazioni dei consumatori di contenuti, finisce spesso per creare un effetto narcotizzante che paralizza la società, generando caos e conformità ai sistemi in vigore. È un modo per seminare la disperazione. In generale, si tratta di informazioni superficiali, di approcci semplicistici che cercano di fornire risposte semplici a problemi complessi e sono spesso utilizzati da gruppi politici, economici e persino religiosi che manipolano i fatti per trarre in qualche modo vantaggio dalle idee che propagano.
In questo contesto, è fondamentale che le persone che lavorano negli spazi educativi e nella formazione dell’opinione pubblica siano in grado di leggere criticamente questa realtà, cercando di capire come funzionano questi sistemi di manipolazione delle informazioni e dei contenuti. Dobbiamo essere in grado di opporci a questa cultura sensazionalistica che poco aiuta a costruire una società migliore; dobbiamo recuperare la speranza per comunicare la vita!
Secondo Papa Francesco nel suo 59° Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: “Troppo spesso oggi la comunicazione non genera speranza, ma paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fanatismo e addirittura odio. Troppe volte essa semplifica la realtà per suscitare reazioni istintive; usa la parola come una lama; si serve persino di informazioni false o deformate ad arte per lanciare messaggi destinati a eccitare gli animi, a provocare, a ferire.”
Il Pontefice ha insistito sulla necessità di “disarmare la comunicazione” cercando di rompere il paradigma della “competizione, della contrapposizione, della volontà di dominio e di possesso, della manipolazione dell’opinione pubblica”. Quando la logica del mercato rende l’informazione merce di consumo, rischiamo di ricevere dai media una realtà distorta, incapsulata a misura di chi trae profitto dal tempo che trascorriamo scorrendo i contenuti offerti e selezionati dagli algoritmi che governano i sistemi.

Il Giubileo della Speranza proposto da Papa Francesco è un’occasione propizia per ripensare come comunichiamo e cosa comunichiamo. La dinamica del Regno, che si muove tra il “già” e il “non ancora”, ci porta a chiederci: “Quali sono le ragioni della mia speranza nel mondo di oggi?” ‘Dove sono i semi della Parola?’ ‘Come posso essere lievito nella pasta?’. Dobbiamo trovare risposte a queste domande nel nostro tempo.
Una comunicazione permeata dalla virtù della speranza, in contrapposizione a una comunicazione sensazionalistica, fa capire alle persone che c’è un futuro possibile e permette loro di sentirsi parte e responsabili della società in cui vivono. Per il teologo peruviano Gustavo Gutierrez, la speranza “è considerata un’utopia trasformativa, cioè una speranza riterritorializzante che va oltre la critica aperta e sottolinea la necessità di trasformare la società alla luce di un’utopia liberatrice”. In tempi di media digitali, il grande rischio che corriamo è quello di avere una massa schiavizzata dai dispositivi digitali che pensa di essere libera perché può scegliere con un click a quali delle migliaia di contenuti disponibili vuole accedere o meno, o perché semplicemente si sente in diritto di esprimere opinioni personali cariche di pregiudizi e stereotipi.
Niente di più lontano dalla speranza cristiana di questa falsa libertà, che rende schiavi soprattutto i più giovani e i più vulnerabili. La speranza cristiana ci parla di una comunicazione liberatrice, capace di sognare la trasformazione della società, che sovverte il senso comune nella prospettiva dei diritti umani, dei più poveri, del Regno di Dio. La speranza cristiana ci parla di utopia, del sogno di una nuova umanità che è possibile, raggiungibile e che spinge le persone a non rimanere nello stesso stato, ma ad andare avanti. Possiamo essere comunicatori di speranza, portando la Parola di vita, di libertà, di giustizia e di pace.
Glossario
Cultura sensazionalista
Si riferisce a una società in cui i media e altri mezzi di comunicazione utilizzano spesso il sensazionalismo per attirare l’attenzione del pubblico. Il sensazionalismo è caratterizzato dalla presentazione di informazioni in modo esagerato o distorto, con l’obiettivo di provocare forti emozioni, come lo shock o l’indignazione, nei destinatari del messaggio. In questa cultura, le notizie e gli eventi sono spesso distorti o amplificati per generare maggiore interesse e coinvolgimento, spesso a scapito dell’accuratezza e dell’obiettività. Questo può portare a una percezione distorta della realtà, in cui eventi banali vengono trattati come di grande importanza, mentre questioni rilevanti possono essere trascurate.

Algoritmi
Gli algoritmi sui social network sono insiemi di istruzioni che determinano quali contenuti vengono mostrati a ciascun utente, con l’obiettivo di personalizzare e ottimizzare l’esperienza di navigazione. Analizzano i comportamenti individuali, come i like, i commenti, le condivisioni e il tempo trascorso su determinati post, per identificare interessi e preferenze. Sulla base di queste informazioni, gli algoritmi selezionano e ordinano le pubblicazioni che appaiono nel news feed, dando la priorità a quelle considerate più rilevanti per ogni persona. In questo modo, ogni utente riceve contenuti personalizzati in linea con i propri interessi e le interazioni precedenti. Ad esempio, su Instagram, l’algoritmo tiene conto di fattori quali la tempistica del post, l’engagement ricevuto (like, commenti, condivisioni e salvataggi) e il rapporto dell’utente con l’account che lo ha pubblicato. Ciò significa che i post più recenti, con un elevato coinvolgimento e provenienti da account con cui l’utente interagisce frequentemente, hanno maggiori probabilità di apparire nel feed.

Speranza di riterritorializzazione
Il termine riterritorializzazione, in termini generali, si riferisce al processo di riorganizzazione o ridefinizione di spazi, identità o strutture dopo una “deterritorializzazione” (perdita o spostamento da un territorio o contesto originario). Il termine combinato “speranza di riterritorializzazione” può essere interpretato come l’aspettativa positiva o la fiducia nella possibilità di ricostruire, riorganizzare o ridefinire spazi, identità o strutture che sono stati precedentemente destabilizzati o spostati. In contesti sociali o culturali, ciò si riferisce alla fiducia nella capacità di una comunità o di un individuo di ristabilirsi e di trovare un nuovo senso di appartenenza o di identità dopo aver affrontato cambiamenti o sfide significative.
