Fede e spiritualità svolgono un ruolo fondamentale per cercare e riconoscere segni di speranza, in quanto offrono un quadro di riferimento che va oltre la contingenza, le difficoltà quotidiane. La fede aiuta le persone a dare un senso alle esperienze, a trovare un sostegno interiore nei momenti di dolore e di sofferenza. Vivere la dimensione spirituale significa aprirsi a qualcosa di più grande di noi, credere a una presenza divina che ci sostiene. La speranza trasforma le difficoltà in opportunità di crescita e di rinnovamento, anche in situazioni drammatiche che sembrano insormontabili. Sono tante le persone che, spinte da una forte motivazione interiore, incarnano la speranza e la tessono nel loro quotidiano, nel dono di sé con la semplicità e l’intelligenza del cuore che sa sempre trovare il positivo e coltivarlo, credendo fermamente in un futuro migliore. Eppure spesso queste persone non fanno rumore, le loro storie intrise di speranza passano inosservate. In un mondo che sembra soffocato da cronache tristi, è importante scoprire e narrare esperienze che danno voce alla speranza, a una speranza condivisa, più forte di terribili e disumani bombardamenti!

Un’esperienza che ha messo a dura prova la speranza è quella vissuta in Sudan, dove le FMA sono state presenti dal 1989 al 2024, fino a quando la situazione causata dalla guerra iniziata nel 2023 e non ancora conclusa, è diventata insostenibile e molto rischiosa. La storia di vita narrata da Suor Teresa Roszkowska, FMA, ci permette di cogliere come, nella concretezza della vita, la speranza è più forte della guerra!
Il grido di speranza del Sudan
Sono Suor Teresa Roszkowska, FMA missionaria polacca, una delle quattro che, accompagnate da Madre Lina Chiandotto, sono arrivate per prime a Khartoum, nel quartiere di Shajara. Da allora, ho sperimentato tanti cambiamenti sociali e culturali, eventi politici, tensioni e conflitti. Al nostro arrivo, ci siamo messe subito in ascolto della gente, costruendo una comunità educante in costante crescita nel dialogo interreligioso per la pace e la fraternità. Abbiamo potuto educare migliaia di bambine, bambini, adolescenti con la Scuola dell’Infanzia, Primaria e l’Oratorio-centro giovanile. Nel Centro di promozione “Dar Mariam” abbiamo accolto generazioni di donne, giovani e adulte, che attraverso svariati corsi di promozione, di alfabetizzazione e di lavoro nel laboratorio di sartoria artigianale e industriale, sono divenute più consapevoli della loro dignità, dei loro diritti, dell’impegno del dialogo con le tradizioni culturali e religiose del contesto sudanese, e del loro ruolo di educatrici della famiglia e promotrici di una società più umana e pacifica. Abbiamo aperto un piccolo ambulatorio perché i nostri destinatari sono sempre stati in maggioranza i più poveri, con evidenti problemi di malnutrizione e salute. Per la gestione della scuola, un esemplare educatore salesiano è stato il giovane insegnante sudanese Chan Mabiok, bravissimo direttore, sempre primo ad arrivare e disposto anche ad accompagnare i ragazzi a casa. È rimasto con noi durante tutte le fasi della guerra e la sua presenza è stata strategica per risolvere molte situazioni delicate.
15 aprile 2023: tutto cambia
Ci accorgiamo che a Khartoum e in gran parte del Sudan è scoppiata la guerra dal rumore che si sente e dal fumo che si vede a distanza, dall’agitazione dei genitori che accorrono a prendere i loro figli, al termine di una mattinata di esami nazionali, affrontati con grande impegno. La paura è tanta… Il nostro primo pensiero è organizzare la casa, gli ambienti scolastici e dell’oratorio per accogliere chi sta già perdendo tutto a causa delle improvvise violenze: sono soprattutto mamme e bambini, i più piccoli e indifesi. Non pensiamo minimamente a una possibile evacuazione o a lasciare la nostra missione. È scontato rimanere con la nostra gente. Dopo qualche giorno, molti bambini corrono da noi, affamati. Fanno parte delle circa 300 famiglie povere, che, prima della guerra, abitavano in capanne di sacchi e teli di plastica intorno alla nostra casa e ora sono nascoste in luoghi di fortuna. Prepariamo i pasti, con l’aiuto di alcune mamme, con un po’ di provviste della dispensa della scuola e i bambini li portano, in sacchetti e recipienti, al resto della famiglia. Con l’arrivo della guerra a Shajara, è impossibile muoversi a causa dei continui bombardamenti e, quindi, fornire i pasti. Apriamo, così, i nostri ambienti all’accoglienza arrivando ad ospitare circa 700-800 persone (difficile contarle) che non hanno più nulla. Per fortuna il nostro pozzo continua a funzionare e offre l’acqua anche agli abitanti del quartiere, per i quali organizziamo la distribuzione in orari stabiliti. La nostra casa diventa anche un luogo di transito per i tanti che scappano dalla guerra e, stanchi e affamati, si fermano per riprendere le forze e poi proseguono la fuga. Fin dalle prime ore del mattino si lavora per preparare i pasti, organizzare la vita comune, il riordino, le pulizie, e soprattutto la preghiera e le attività, comprese le numerose lezioni scolastiche, il gioco, le attività artistiche e tanto altro, grazie all’aiuto di ragazze e ragazzi più grandi. C’è sempre qualche sorpresa, come il teatro dei burattini, per rallegrare i bambini. Siamo un’oasi di serenità che va avanti giorno per giorno, acquista forza, cresce nel coraggio, prega insieme in adorazione eucaristica, è sempre con il Rosario in mano, guidato persino da alcuni bambini cattolici. I militari sentono da lontano i canti alla Madonna, eseguiti da tutti con tanto fervore. Tutti contribuiscono all’andamento della vita quotidiana, dai villaggi talvolta portano qualcosa da cucinare, soprattutto per i bambini. Si respira un grande senso di incoraggiamento e benevolenza reciproca, una generosità silenziosa e genuina, un vero “sentirsi a casa” in un territorio devastato da una guerra violenta. Nessuno si sente solo, chi ha bisogno chiede con fiducia e la Provvidenza si moltiplica: la serenità, nonostante la guerra opprimente, è il frutto dei tanti anni trascorsi con la gente a Shajara e degli stretti legami di amorevolezza stabiliti nel tempo. Con la paura c’è anche la gioia di stare insieme con gente molto cara.

L’emergenza
I proiettili vaganti feriscono molte persone, la maggior parte degli ospedali di Khartoum sono a corto di medicine e dottori, di mezzi di trasporto in ospedale. Iniziamo, così, l’apostolato verso i malati e i feriti poiché una FMA è infermiera qualificata, con tanta esperienza. Ogni giorno, arrivano una ventina di pazienti e feriti per l’assistenza medica. Nessuno è escluso dal nostro Centro che accoglie cristiani e musulmani. L’ampio salone con il tetto di zinco, per anni centro di preghiera e cappella succursale della parrocchia, diventa luogo di ricreazione per i bambini poveri durante il giorno e un posto per dormire durante la notte. Soprattutto diventa un centro ecumenico di preghiera, cristiana e musulmana, di una grande famiglia unita e libera di esprimere la propria fede in semplicità e fiducia. La guerra, però, è sempre terribile, non mancano momenti tristi e difficili, in particolare per la mancanza di cibo: piccoli volti sono rivolti verso di noi in attesa di qualcosa ma… non c’è più niente. Allo stesso tempo, sperimentiamo la condivisione di gente buona e generosa che, se riesce ad avere qualcosa, viene a portarcela. Anche i militari della caserma non lontana dimostrano grande preoccupazione per la sicurezza nostra e delle persone rifugiate, vengono a farci visita per rendersi conto se abbiamo abbastanza cibo per sopravvivere tutti, condividono con noi alcune provviste, qualche dono per i bambini, medicinali, dispositivi energetici per la connessione Internet, in modo da mantenere costante la comunicazione. Noi FMA sperimentiamo in modo nuovo il significato di essere povere e bisognose di tutto e cosa prova la gente povera. Considero questo tempo una benedizione per quanto imparo da tutti, e, in particolare, per la grazia di “rimanere con i poveri” per sedici lunghi mesi.
La scelta di rimanere
Per fortuna, ignoriamo che tutti i missionari e le missionarie a Khartoum e in altri luoghi, hanno già ricevuto l’ordine di evacuazione. Non possiamo abbandonare la gente in questo momento difficile dicendo: “Guardate, noi andiamo in un posto migliore, perché qui è troppo pericoloso…”. La Provvidenza di Dio, la sua protezione, sentire di essere nelle sue mani… tutto questo ci sostiene insieme alla certezza che tutto l’Istituto – come ci dice spesso Madre Chiara – è con noi in preghiera. È questa la nostra grande speranza: Dio non vuole che le persone muoiano per la guerra degli uomini. Maria Ausiliatrice protegge i popoli sofferenti, così come si prende cura di noi. Ci aiuta sentirla presente in mezzo a noi quando preghiamo il Rosario, cantiamo, ci rivolgiamo a lei. Ci incoraggiano anche i messaggi che riceviamo quando c’è un po’ di connessione. Madre Chiara ci raggiunge telefonicamente, vuole parlare con ciascuna di noi: ci ascolta, ci lascia la libertà di decidere se andare o restare, purché ci sia cibo sufficiente per vivere e l’opportunità di comunicare costantemente la nostra situazione.
Siamo in cinque, quattro missionarie indiane, suor Miriam Kalathipullathu, suor Teresa Manakalayatt, suor Celestina Phawa, suor Elizabeth Cyril ed io. Tutte decidiamo di restare, anche don Jacob Thelekkadan, sdb, la cui presenza è una grande grazia di Dio, perché assicura una vita spirituale regolare a tutta la comunità cattolica. Riusciamo perfino a preparare alcuni bambini per il Battesimo, con le loro mamme. Un gruppo di più grandi riceve Battesimo e Prima Comunione nella solennità di Pasqua. Così la vita va avanti, nonostante i terribili i bombardamenti che costringono a scappare soprattutto i più piccoli in cerca di un posto sicuro. Riescono a scoprire la piccola cappella della casa e si dicono fra loro che lì le bombe non sarebbero cadute. Si corre lì, anche se è molto difficile pregare in quei momenti: siamo di fronte all’Eucaristia, silenziosamente. Un giorno un terribile bombardamento devasta tutta la zona intorno alla nostra casa, tanto da non riconoscerla più. Cerchiamo di pregare il Rosario, ma non ricordiamo neppure l’Ave Maria dalla paura… Siamo sempre costretti a rimanere all’interno del Centro. I soldati della vicina caserma si prendono cura di noi, quando è possibile, con cibo e fornitura di energia solare.


La mattina del 3 novembre 2023, un ordigno cade sulla nostra casa, distruggendo la veranda e alcune camere della nostra residenza. Nell’esplosione la grande immagine di Maria Ausiliatrice del cortile è completamente bruciata: siamo certi che la Madonna abbia voluto sacrificarsi per tutti noi… Sperimentiamo in modo tangibile la sua miracolosa protezione. Ci sono feriti, ma nessun morto: Maria Ausiliatrice ci protegge tutti. Dopo pochi giorni un’altra bomba colpisce la scuola distruggendo buona parte dell’edificio, ma, grazie a Dio, nessun morto. La situazione diventa molto rischiosa, tanto da rendersi necessaria l’evacuazione, che si tenta nel dicembre 2023, grazie al Comitato Internazionale della Croce Rossa. Purtroppo, gli autisti dei pullman destinati a prelevare noi e la nostra gente perdono la vita in un attentato mentre vengono a prenderci.
L’evacuazione
La situazione degenera sempre più. Molti riescono a fuggire e anche per noi arriva il momento. Il General Intelligence Service dell’Esercito governativo ci informa due ore prima e ci ordina di non dirlo assolutamente a nessuno, per evitare di essere presi come ostaggi dall’esercito nemico. Celebriamo l’ultima Eucarestia e consumiamo tutte le particole del SS. Sacramento. Alle ore 23.00 del 29 luglio, una notte molto buia e senza luna, senza poter salutare i nostri piccoli, le mamme… noi FMA, il Salesiano e venti cittadini sud-sudanesi saliamo e ci sdraiamo su un barcone, vestiti di grigio per confonderci per non essere visti dall’esercito dei ribelli che sparano dall’altra parte del fiume Nilo. Dobbiamo assolutamente tacere anche quando ci spaventiamo. Navighiamo per un’ora e sentiamo in tanti modi che Dio è con noi e ci protegge. Raggiunta l’altra sponda, dove la guerra sta appena iniziando, i militari, dopo un po’ di tempo ci accompagnano con un pulmino in una casa per poter riposare. La mattina seguente ci danno acqua e cibo e, per la prima volta dopo sedici mesi, mangiamo un po’ di frutta e verdura. Poi, in due giorni di viaggio, ci accompagnano a Port Sudan, sulla riva del Mar Rosso, dove non c’è guerra. Dopo un anno e quattro mesi di tensione sotto bombardamenti e sparatorie, il 4 agosto il nostro gruppo è in salvo ed esprime profonda gratitudine alle Forze Armate del Sudan per il successo dell’evacuazione. Incontriamo altre suore e sacerdoti sudanesi e possiamo tranquillamente rifare i nostri passaporti, bruciati nel bombardamento che aveva distrutto le nostre camere. Finalmente arriva il giorno in cui poter prendere il volo per Juba, in Sud Sudan, e rincontrare l’ispettrice Suor Marie Dominique Mwema e altre FMA che ci accolgono con una grande festa insieme a tanti bambini, giovani e tutta la comunità educante. Siamo molto emozionate, è una gioia tanto grande!

Quale futuro?
Ora andiamo avanti con speranza. Sappiamo che c’è ancora tanta sofferenza, che si continua a morire. Ho nel cuore la preghiera dei piccoli e delle loro mamme in quei giorni: “Preghiamo per la nostra salvezza, che Dio ci protegga!”. Non ci ripieghiamo sul dolore, Khartoum sopravvivrà e noi ritorneremo, speriamo, per ricominciare da capo e raccontare la straordinaria esperienza di quei sedici mesi! Naturalmente ci vorrà tempo, ma ritorneremo dai nostri giovani, anche se tanti di loro non ci sono più, sono stati uccisi. In molti ritorneranno per ricostruire il Paese. Ho tanta speranza nel cuore pensando che quando il Sudan risorgerà con il suo popolo, noi saremo con loro per costruire un nuovo futuro. Abbiamo camminato con loro per quasi quarant’anni e abbiamo toccato con mano l’impegno per costruire un Paese libero e in pace, lo studio e il lavoro quotidiano per il bene comune. Sono generazioni che in poche ore hanno visto capovolgersi totalmente progetti e sogni… ma non si sono mai disperati. La speranza in un Dio provvidente e amorevole, che mai abbandona, anche nelle situazioni più difficoltose, sostiene il loro cuore, la loro mente, le loro mani. Nel tempo trascorso insieme abbiamo visto concretamente la testimonianza credibile e attraente di fede, speranza e amore che tante persone che invocano Dio con nomi diversi: il dono anche solo di un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito sono segni tangibili del Sistema Preventivo e semi fecondi di speranza.

