“Non tutto è perduto”: agire con speranza per affrontare la crisi climatica

Adorable 6-7 year old ginger boy watering a potted plant on the windowsill, the concept of learning to grow plants for preschoolers and teaching children about trees in nature, close-up.
Adorable 6-7 year old ginger boy watering a potted plant on the windowsill, the concept of learning to grow plants for preschoolers and teaching children about trees in nature, close-up.
Di fronte alle allarmanti notizie sullo stato di salute del nostro pianeta, sconvolto sempre più da fenomeni atmosferici estremi, in molti sono tentati di cedere alla rassegnazione. Pensando che sia ormai troppo tardi per cambiare le cose, ci si pone come attoniti spettatori nei confronti di un futuro che sembra minacciare la sopravvivenza umana.

Aver sottovalutato per decenni i segnali di sofferenza che la terra ci inviava, ha generato in tante persone la sensazione di un brusco risveglio e di una velata impotenza. Ci si convince, talvolta non senza una certa dose di indolenza, che il più che possiamo fare è demandare a chi di dovere la responsabilità di prendere misure adeguate, quanto meno per mitigare gli effetti della crisi climatica sulle generazioni che ci succederanno.

Certamente, c’è un livello della problematica che riguarda le scelte dei governi, chiamati a promuovere politiche coraggiose che facciano fronte al riscaldamento globale, all’aumento dell’inquinamento, allo sfruttamento delle risorse non rinnovabili. Avviare una transizione energetica, limitare le emissioni di CO2 e progettare un uso responsabile delle risorse idriche appaiono ormai come obiettivi improcrastinabili.

Tuttavia, nell’impegno a contrastare la crisi climatica, c’è anche una dimensione ordinaria che riguarda tutti noi: «C’è una “architettura” della pace, nella quale intervengono le varie istituzioni della società, però c’è anche un “artigianato” della pace che ci coinvolge tutti» (FT 231).

La distinzione che il Santo Padre opera tra “architettura” e “artigianato” può essere applicata alla questione ambientale, consentendoci di portare l’attenzione su quanto sia necessario acquisire stili di vita sostenibili ed incentivare le buone pratiche, al fine di creare una cultura di “solidarietà con il creato” che si propaghi come alternativa a quella dello “scarto”.

Appare più evidente che diffondere la consapevolezza che tutti siamo chiamati a prenderci cura della nostra “Casa comune” è un principalmente un fatto di educazione. In un’ottica credente, è anche un modo di formarci a declinare la speranza cristiana.

La fede in Cristo ci motiva a vivere questo anno giubilare accrescendo la fiducia che «non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi» (LS 205). aprendo un cammino di conversione, non solo individuale, ma nella comunione con gli altri e con il creato. Per fare ritorno a Dio, dobbiamo riconciliarci anche con la terra.

Così, la speranza appare come quella virtù che mette in moto il cambiamento, ci infonde il coraggio, la forza di operare nel bene, la resilienza per essere creativi nelle avversità. È un seme che va custodito, annaffiato, coltivato, atteso, perché a suo tempo possa portare frutto.

Negli ultimi anni c’è stato un crescente impegno dei cattolici nella cura del creato, come il Movimento Laudato Sì, che riunisce una vasta gamma di organizzazioni cattoliche in un cammino di conversione ecologica e l’Ecology Network Alliance, che promuove la creazione di reti ecclesiali territoriali volte a dare voce al grido della terra e delle popolazioni indigene dell’America Latina, dell’Asia e dell’Oceania.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescente impegno dei cattolici nella cura del creato.

In Asia, la Conferenza dei Vescovi Cattolici delle Filippine ha istituito uffici per il clima in tutte le diocesi. In Europa, diocesi di Francia e Italia si sono impegnate a disinvestire dai combustibili fossili. In Africa, il Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar si è pronunciato in difesa delle popolazioni indigene minacciate dalla costruzione di un oleodotto. In Nord America, la Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti ha incoraggiato le diocesi a disporre piani di attuazione della Laudato Si’. In Oceania, la Conferenza dei Vescovi Cattolici di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone ha chiesto il divieto di estrazione mineraria in acque profonde. In Sud America, la Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile ha pianificato una campagna nazionale di sensibilizzazione sui temi Laudato Si’ in vista della COP30.

Numerose iniziative cercano di fare la differenza sul territorio. Il Progetto Borgo Laudato Si’ ha trasformato le fattorie pontificie di Castel Gandolfo in un modello di economia circolare. In Brasile, le Suore della Divina Provvidenza hanno creato laboratori di compostaggio. In Benin, le Suore di Santa Marcelina hanno organizzato un laboratorio educativo per coltivare con poca acqua. In Perù, le FMA hanno creato una cooperativa di micro-riciclaggio per generare reddito per la comunità emarginata di Magdalena del Mar. In Kenya, suor Mary Frances Wangari ha organizzato missioni di aiuto contro la siccità. In Indonesia, suor Vincentia HK ha piantato alberi per arginare l’erosione e fornire reddito alla comunità.

Forse sono piccoli segni, gocce nel mare, ma ogni atto di cura verso il creato è ispirato dalla speranza e arreca più speranza nel cuore di tutti. Un futuro migliore è possibile, basta volerlo. La sfida per i credenti è leggere la crisi climatica come un “segno dei tempi”, un indizio del Signore Risorto che si lascia incontrare in ciò che è fragile, bisognoso di cure, come la terra e i poveri, che del cambiamento climatico sono i più colpiti.

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