Ogni essere umano nasce, cresce e vive incardinato nel tempo (Heidegger ha approfondito questo tema nel Novecento; cf M. Heidegger, Essere e tempo, Mondadori, Milano 2017). Muta continuamente, tanto da rendere talvolta irriconoscibile il vecchio che abbiamo di fronte rispetto alla sua foto da bambino. Eppure l’identità di base permane e rende possibile l’identificazione.
Vivere con sapienza il tempo non è cosa scontata. Solo il tempo a volte può aggiustare le cose; reclama però la capacità di pazientare, disposizione indispensabile di fronte ad ogni evento che ci raggiunge dall’esterno e ad ogni relazione interpersonale che non si vuole arenare nei sospetti reciproci e in scoppi d’ira. Nel tempo si costruisce la pace.
Nella cultura contemporanea i progressi della tecnologia e della scienza non vanno nella direzione auspicata. Troppo spesso educano ad un tempo consumato, mercanteggiato «vissuto con fretta (insaccare mille cose nel tempo), svogliatezza (perdere tempo), cattivo umore (concentrarsi sul proprio tempo), eccitazione (sopravvalutare il proprio tempo), indiscrezione (entrare aggressivamente nel tempo altrui), negligenza (sciupare tempo), vanità (prendersi tutto il tempo per sé), sciocchezze (riempire il tempo dell’inutile), maldicenze (contaminare il proprio e l’altrui tempo): tutte caratteristiche dell’uomo d’oggi, derivanti da un cattivo utilizzo del tempo, un uso disancorato dalla terra, dal prossimo, dagli altri popoli e dalle generazioni future» (G. Martirani, Utopia e nostalgia dell’Eden, Dehoniane, Roma 1991, 45).
Per vivere bene il tempo sono necessarie prese di distanza da se stessi e dagli altri, di silenzi, purificazioni e maturazioni che non si apprendono immediatamente con la bacchetta magica; che non seguono un percorso evolutivo che getta dietro le spalle i guai e procede linearmente verso il meglio. Tutta la vita si sviluppa secondo ritmi alterni e poco prevedibili, più o meno positivi e coerenti con le attese che erano state immaginate. È realistico prevedere tappe retroattive, interruzioni, sbalzi imprevisti. Ciò vale per la famiglia, per i diversi gruppi sociali ed anche per la Chiesa. Più volte è stato evidenziato che il laboratorio eccellente è la famiglia per l’apprendimento della disponibilità a confrontarsi, pazientare, accogliere i mutamenti di ciascuno. Moglie e marito, genitori e figli, nipoti, nonni, suoceri si attrezzano per far fronte alle tempeste della vita, esercitandosi nell’assecondare il ritmo di sviluppo di ciascuno e cercando di accordarlo al proprio.
Maestra eccellente di pazienza del tempo è la gravidanza. Infatti una madre quando porta il suo bambino nel corpo deve attendere senza sapere se e come andrà, deve riformulare gli impegni, i ritmi di vita e le abitudini tenendo conto di quell’altro presente dentro di sé, ma ignoto e decisivo di tutta la sua vita. La gravidanza educa all’attento ascolto, all’affidamento fiducioso, al raccoglimento in una implicita o esplicita collaborazione con il mistero di un Dio che si nasconde nella vita nascente facendo percepire il sussurro del suo Spirito. Se la gravidanza è bene accetta, suscita spontanei moti di ringraziamento e lode.
Per ogni persona la capacità di vivere in pieno la propria missione nella vita richiede la disponibilità a ritagliarsi momenti di silenzio, vissuti nella propria stanza o a contatto con la natura, o in chiesa, comunque dedicati ad ascoltare la voce dell’anima (“Habeas animam”, diceva I. Silone; cf L. D’Eramo, Ignazio Silone, Editori Riminesi Associati, Rimini 1994, 89 – 90 e G.P. Di Nicola – A. Danese, Ignazio Silone. Percorsi di una coscienza inquieta, Effatà, Cantalupa 2010, 189), prendendo le distanze dalla frenesia del nuovo, dalle piazze, dell’opinione pubblica, dei social e delle news 24h su 24.
Orecchie e cuore vigili, momenti di ascolto delle voci della natura, temporanei distacchi dagli amici possono aiutare a decifrare discorsi muti, a captare intuizioni nascoste, premesse di parole sensate e di dialoghi sapidi. Sospendere una frequentazione infruttuosa o una conversazione divenuta banale può rinvigorire il pensiero, ricaricare l’affettività, lasciar decantare eventuali contrasti, lenire le ferite che ciascuno ha inflitto o subito. Come nella musica solo grazie alle pause le note possono produrre un bel suono, così è grazie al silenzio nella vita personale e sociale che si recupera l’integrità della propria persona. Del resto anche nelle sedi istituzionali (scuole, Parlamento, luoghi di lavoro) e in forma laica, tutte le volte che un episodio luttuoso o sconcertante genera un comune sentire, si invita a “fare un minuto di silenzio” per commemorare, riflettere, contemplare. Si contribuisce così a rafforzare il comune sentire al di là di ideologie e differenze di ogni genere. Non è raro che tacere eviti i conflitti causati a livello macro da gesti dissennati e a prevenire a livello micro sociale confidenze malefiche, come raccomanda Papa Francesco mettendo in guardia da mormorazioni che inquinano i rapporti, danneggiano la Chiesa, distruggono le comunità e spingono alle guerre (Cf Papa Francesco, Udienza del mercoledì 14.XI.2018).
In altri casi è necessario parlare – come è nello spirito della sinodalità raccomandata da Papa Francesco – discernendo quando, in quale contesto e con chi. «C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare» come c’è un tempo per ogni cosa secondo Qoèlet (Cf Qo 3, 1-8; 8. 5, 6, Lc 19, 44). Sant’Agostino ha ben chiarito che ciò che è dirimente nel parlare e nel tacere è l’amore «perché la bocca parla dalla pienezza del cuore» (Lc 6, 45). Forse così facendo si può disporre di maggiore equilibrio nel discernere «cose vecchie e cose nuove» (cf Mt 13, 52) e dunque nel vivere una sinodalità meno appiattita sul consenso aprioristico o al contrario sulla critica pregiudiziale e corrosiva. Del resto nel cristianesimo, la pedagogia del tempo ha sempre accompagnato la storia della Chiesa favorendo la trasformazione dei limiti in risorse. Numerosi sono stati gli eventi giudicati disastrosi, che invece si sono dimostrati col tempo propulsori di risorse insperate, temuti come distruttivi del cristianesimo, che invece l’hanno arricchito di nuovo fascino (pensiamo alla perdita del potere temporale).
Significativo è il parlare di Maria quando confida il suo meraviglioso segreto alla cugina Elisabetta cantando il Magnificat. Non risulta che riveli ad altri e in pubblico la gloria della gravidanza che il Signore le ha concesso, ma solo a chi ritiene che abbia orecchie e cuore per intendere e accogliere. Ci insegna così l’arte della parola detta scegliendo sapientemente gli interlocutori, al momento giusto e per amore, in un dialogo sereno e aperto, evitando di fare le proprie confidenze quando si hanno di fronte persone non interessate, superficiali, maldisposte, che potrebbero distorcerne il senso, farne oggetto di chiacchiericcio e provocare effetti boomerang. Una sana ecologia della comunicazione favorisce l’unità della famiglia come della Chiesa, attira la presenza di Gesù in mezzo a “due o tre” e con Lui la Grazia consente di percepire il fascino di Maria.
Il profilo della Chiesa, così come delle comunità e degli Stati ha bisogno di tempo per avanzare progressivamente nella storia articolando pluralità e unità. Così è stato lungo il corso dei secoli attraverso alterne vicende che hanno dato luogo ad una più corretta comprensione della vita, del rispetto da tributare ad ogni essere umano, così come Dio l’ha creato, come pure della bellezza del Vangelo. Tutti ricevono un corpo, una psiche, una intelligenza, un soffio dello Spirito per contribuire ad edificare l’unità della famiglia umana sottraendola alla logica del potere. Il Vangelo non ci consegna direttive precise su come rinnovare il mondo, ma sollecita ad iniettare in tutto ciò che viene detto e fatto germi di rivoluzione pacifica che alimentano nel tempo processi di sinodalità.
Giulia Paola Di Nicola – Attilio Danese
danesedinicola@prospettivapersona.it