Non dimenticare l’ospitalità

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Guardare con occhi ben aperti la realtà del mondo che ci sta intorno è essenziale. La voce di Dio dovrà sempre confrontarsi con la domanda fatta alle origini: «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9).  Interroghiamoci, allora: «Dov’è nostro fratello»?

Moltitudini di migranti e di rifugiati popolano oggi le periferie del mondo, nei cinque continenti. Il termine greco peripherein significa tracciare una linea o disegnare una circonferenza. Sembra semplice, invece è una decisione antropologica e politica di grande rilevanza. Se si traccia una frontiera, si decide che cosa ‘sta dentro’ e che cosa rimane ‘fuori’. Si definisce il territorio geografico, il passaggio delle relazioni e della vita stessa e, spesso, si agisce come se fosse legittimo escludere intere parti di umanità, trattandole come scarti.

La periferia condiziona la realtà e la vita. Anche Gesù è un uomo periferico, viene da Nazareth, una località poco conosciuta della Palestina che però, più tardi, diventa il luogo preferenziale dell’annuncio del Regno. Le sue parole e i suoi gesti sono manifestazione della presenza compassionevole di Dio nelle periferie “lo Spirito del Signore è sopra di me e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio” (cf Lc 4,18-19). Così Gesù mette nella giusta prospettiva la realizzazione della salvezza di Dio, cioè dare dignità di vita a tutti avvicinando le periferie morali, etniche, di genere, di cultura o classe.

La periferia è il DNA cristiano, una chiave indispensabile per la sua esistenza, il luogo dove incontrare e reincontrare Gesù.

Il messaggio di Gesù prende il via dalle periferie del mondo, da quei luoghi di vulnerabilità e di esclusione, in cui è possibile portare ospitalità e generare trasformazione sociale. Infatti le periferie non sono un problema, sono un orizzonte. Per questo la Chiesa cerca di uscire e di scoprire un nuovo ardore missionario. L’incontro con le periferie non è solo un impegno della carità, ma è un agire insieme, è comunione, partecipazione, corresponsabilità. C’è bisogno di ascolto, di cambio di mentalità, di conversione del cuore e dello sguardo per realizzare il sogno missionario di arrivare a tutti, di avere cura di tutti, di sentirsi tutti fratelli, insieme nella vita e nella storia, che è la storia di salvezza.

 

La pratica dell’Ospitalità

Nel viaggio apostolico a Cipro e in Grecia, Papa Francesco ha esortato: “Il peccato che abbiamo in noi ci spinge a pensare così: ‘Povera gente, povera gente’. E con quel ‘povera gente’ cancelliamo tutto. È la guerra di questo momento, è la sofferenza dei fratelli e delle sorelle che non possiamo tacere e guardare dall’altra parte, in questa cultura dell’indifferenza”.

«Signore, quando ti abbiamo visto?» (Mt 25,37). Gesù si identifica con gli ultimi delle periferie: “ho avuto fame”, “ero forestiero”, “ero ammalato”; il suo è un amore incarnato e credibile, ha la forma della vita reale, ha un volto, una storia, ha dei nomi. L’incontro con Cristo, costretto a fuggire, sui volti di migranti, sfollati e rifugiati è una fonte permanente di speranza. In tanti contesti di migrazione si scoprono gesti di immensa solidarietà e accoglienza. L’ospitalità è un valore presente e attuale. Si promuovono processi di accompagnamento camminando insieme con gli esclusi e si è testimoni del cambiamento: vedere i migranti che, dalla vulnerabilità e dalla precarietà, sono in grado di guarire le loro ferite, diventando agenti di trasformazione verso l’empowerment.

 

Tessitrici di nuove speranze

Nella sartoria etnica New Hope, nel cuore di Caserta (Italia), donne di origini diverse lavorano insieme per essere indipendenti e vivere la propria vita liberamente. La Cooperativa Sociale New Hope, nasce nel 2004 dal bisogno di superare le tante forme assistenziali che si sono sviluppate intorno al fenomeno migratorio e che non restituiscono piena dignità a chi ha vissuto sulla propria pelle la ‘tratta degli esseri umani’. Nel corso degli anni la New Hope è divenuta una possibilità concreta di riscatto, il ‘segno’ possibile di un’economia solidale e di impegno costante nella lotta contro la tratta. L’apertura del punto vendita NewHope Store, ha contribuito a rendere più visibile tale testimonianza. “Grazie a una commessa di borse, abbiamo avuto la forza e il coraggio di reinvestire i soldi guadagnati dando la possibilità alle giovani donne di continuare a sognare attraverso un laboratorio di sartoria”, scrive la Presidente della Cooperativa. Oggi, questa sartoria ha aperto le porte a tutte le donne che vogliono riprendere il controllo della loro vita. Il passato non conta più, ciò che importa è quello che fanno qui ed ora. È un progetto che dà speranza, offre una formazione professionale e un’educazione alla responsabilità e all’etica del lavoro. Ogni prodotto racconta la storia di donne, sia migranti che italiane, che credono nella possibilità di iniziare una nuova vita; una storia per ogni prodotto, la dignità del lavoro dietro qualità e bellezza. È un segno sul territorio per crescere insieme nei grandi valori dell’inclusione, del rispetto della dignità delle persone e dell’ambiente, della solidarietà. L’attenzione è alla persona nella molteplicità delle appartenenze etniche e religiose. Le donne migranti hanno la forza di portare avanti un loro sogno, di essere protagoniste nella loro vita, nella vita della famiglia, di essere madri e mogli, donne indipendenti. Esse sono una risorsa positiva per tutta la comunità e hanno l’opportunità di esprimere la loro originalità e creatività, diventando responsabili non solo del loro futuro, anche di quello della società.

Non c’è cosa più bella, miracolo più grande che vedere fiorire quei volti migranti, sorridenti e rigenerati, perché semplicemente amati!

L’ospitalità e l’integrazione sono risposte concrete alla possibilità di vivere realmente insieme, scommettendo su vere comunità di ospitalità, ad accogliere con tenerezza la vulnerabilità, imparando ad accettare la diversità come ricchezza, a condividere progetti di solidarietà e di riscatto sociale, a promuovere la partecipazione, a camminare insieme abbracciando tutti, nessuno escluso.

 

Angels Unawares

La scultura Angels Unawares è stata inaugurata dal Santo Padre nel 2019, in occasione della 105ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. “Ho voluto questa opera artistica qui in Piazza San Pietro, affinché ricordi a tutti la sfida evangelica dell’accoglienza” (Papa Francesco).

Da allora, l’opera è stata contemplata dai turisti che ogni anno visitano Piazza San Pietro. Ora è stata aggiunta una piccola targa con un codice QR che indirizza i visitatori al sito web Angels Unawares, disponibile in sei lingue (spagnolo, inglese, francese, portoghese e tedesco). Le persone potranno conoscere l’opera, la sua storia, e allo stesso tempo potranno approfondire, attraverso gli insegnamenti di Papa Francesco, la realtà dei migranti e dei rifugiati. Nella scultura, in bronzo e argilla, realizzata dall’artista canadese Timothy P. Schmalz, emerge dal centro una folla eterogenea di persone di varie culture e di diversi periodi storici, messe vicine, strette, spalla a spalla, in piedi su una zattera, coi volti segnati dal dramma della fuga, del pericolo, del futuro incerto. All’interno di questa folla, spiccano al centro le ali di un angelo, come a suggerire la presenza del sacro tra di loro. La scultura è ispirata al passo biblico: “Non dimenticate l’ospitalità, perché per essa alcuni, senza saperlo, ospitavano angeli” (Ebrei 13,2).

 

Gabriella Imperatore, FMA 
gimperatore@cgfma.org

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