Dagli insegnamenti del beato Paolo VI alla e alla Lettera alle donne di San Giovanni Paolo II, dalle catechesi dedicate alle sante da Benedetto XVI alla recente istituzione, su iniziativa di Papa Francesco, di una Commissione incaricata di studiare la questione del Diaconato delle donne, sono innumerevoli i riconoscimenti del valore unico del genio femminile all’interno della comunità cattolica. E sono tanti i volti che nel tempo hanno caratterizzato la chiamata specifica della donna, veri e propri fari nella storia del Cristianesimo: dalla Vergine Maria alle donne che seguivano Gesù; dalle matrone che accolsero in casa le prime comunità cristiane alle martiri come Agnese e Cecilia; dalle grandi figure medievali di Scolastica, Ildegarda di Bingen, Caterina da Siena, Chiara di Assisi, Giovanna d’Arco fino ad arrivare a Santa Teresa d’Avila nel XVI secolo e, in tempi più recenti, a Santa Edith Stein e Santa Teresa di Calcutta. Svariati gli ambiti ecclesiali in cui oggi la missione femminile è chiamata a svilupparsi.
A Marta Rodriguez, Direttrice dell’Istituto di Studi Superiori sulla Donna dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, abbiamo rivolto alcune domande.
Come è cresciuta negli ultimi decenni l’attenzione alla donna all’interno della Chiesa?
Credo che sia cresciuta la consapevolezza della necessità del suo contributo, e anche del bisogno di creare gli spazi perché possa darlo pienamente. Quest’attenzione è andata un po’ di pari passo con la trasformazione culturale degli ultimi anni, che ha permesso alle donne di iniziare ad avere più voce nella società. Si è più consci del fatto che la cultura ha bisogno del contributo specifico della donna e dell’uomo, e che senza le prospettive di tutti e due, il mondo politico, occupazionale, scientifico o ecclesiastico sono impoveriti.
“Non c’è più né Giudeo né Greco, non c’è più né schiavo né libero; non c’è più maschio e femmina. Tutti voi siete uno nel Cristo Gesù”, scrive Paolo ai Galati a testimonianza di una rivoluzione antropologica che, nonostante i limiti interpretativi delle varie epoche storiche, è stata un tratto distintivo del Cristianesimo. Lo testimonia, in particolare, il contributo alla riflessione sulla donna nella Chiesa offerto dai Papi in epoca contemporanea postfemminista. C’è un filo rosso che accomuna i loro pronunciamenti?
Sì, c’è continuità e sviluppo. Ricordiamo il grande atto compiuto da Paolo VI, quando proclamò per la prima volta, nel 1970, due donne, Santa Teresa d’Avila e Santa Caterina da Siena, Dottori della Chiesa. È stato un segno forte in un processo che ancora oggi non è arrivato a compimento. San Giovanni Paolo II ci ha lasciato non solo la Mulieris Dignitatem e la Lettera alle Donne, ma un intero magistero segnato da ammirazione davanti alla bellezza della differenza sessuale. Le sue prime catechesi del mercoledì erano dedicate a riflettere e a comunicare la bellezza contenuta nella Parola di Dio su cosa significa essere uomo ed essere donna. Credo che ancora non abbiamo approfondito abbastanza quell’antropologia della comunione, che ci fa capire che la pienezza della persona non sta nell’individuo isolato, ma nell’unità dei differenti, immagine della Trinità. A Benedetto XVI (anche se la firmò come card. Ratzinger, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede), dobbiamo la lettera ai Vescovi sulla collaborazione tra uomo e donna del 2004. Questo testo apre una strada, nel riconoscere che tale collaborazione è necessaria nel settore pubblico, nella cultura e nella politica delle nazioni. Papa Francesco ha messo l’accento sul mettere in pratica tutto ciò e per questo motivo ha espresso con insistenza la necessità di avere donne in ruoli decisionali, e di combattere il clericalismo che relega i laici (donne e uomini) a posti sempre subordinati.
Colpisce nel Vangelo lo sguardo di Gesù sulla donna: l’adultera, la Maddalena, Marta e Maria… Cosa insegna oggi il suo approccio?
Mi colpisce e medito spesso sullo sguardo di Gesù verso le donne. È noto che per la donna, lo sguardo dell’altro ha un ruolo importante nella formazione dell’immagine di sé. Il Vangelo ci presenta scene bellissime dove Gesù incontra donne molto colpite nel campo affettivo: prostitute, peccatrici, adultere. Gesù le guarda, e nel suo sguardo, loro riscoprono quanto sono preziose: che sono belle, che sono degne di amore, che sono capaci di amare. Credo che l’universo femminile di oggi si possa sentire rispecchiato nella figura della samaritana, stanca di cercare amore e non vedere esaurita la sua sete di intimità. È una donna profondamente ferita. Dallo sguardo di Gesù è elevata, dignificata, sollevata. Oggi le donne hanno tanto bisogno di questo incontro, per guarire la loro femminilità ferita. E non penso solo a quante subiscono violenza, ma anche alle spose, alle giovani, alle religiose. Gesù tocca, libera e feconda il nostro essere donne.
Una delle critiche ricorrenti è quella di aver pensato alla donna nella Chiesa con categorie maschili. Quanto è vivo questo rischio e cosa comporta?
Credo sia ancora vivo, anche se in modo molto diverso nei differenti paesi e culture. Penso che dobbiamo ancora rinnovare più profondamente l’antropologia proposta durante il Concilio (Gaudium et Spes, 22), e applicare le sue conseguenze nel campo educativo, culturale ed ecclesiale. Il rischio se ciò non si fa è l’impoverimento: s’impoveriscono quegli ambiti dove non si sente la voce e la prospettiva della donna, e s’impoveriscono gli stessi uomini che lavorano privati dal confronto con un “altro” diverso da loro, che afferma e rende feconda la loro virilità. Senza la presenza delle donne, gli uomini perdono. E anche le donne senza gli uomini. Credo che non ci siano caratteristiche che siano esclusive dell’uno o dell’altro sesso, piuttosto ci sono aspetti che tendenzialmente hanno bisogno dell’influsso dell’altro differente da sé per svilupparsi. Il noto canonista ed esperto di questioni matrimoniali Viladrich parla di una capacità di “generarsi” a vicenda. Se l’uomo e la cultura pensano la donna solo con categorie maschili, perdiamo tutti, loro per primi.
Donna nella Chiesa. Più corretto parlare di ruolo o missione?
Di entrambi i concetti, ma subordinati l’uno all’altro. Il più importante è la missione, nel senso di rispondere ad una chiamata. Quando si parla di donne e Chiesa non si tratta di rivendicare i diritti o desideri delle donne, ma di rispondere tutti (uomini e donne) alla chiamata del Signore ad essere Chiesa. Nella missione della Chiesa non ci sono protagonisti: tutti lo sono, nella misura in cui rispondono alla propria vocazione. Il ruolo ha una sua importanza, ma è subordinato alla missione: per compiere la loro missione nella Chiesa alcune donne sono chiamate a svolgere ruoli di grande responsabilità, e questo deve essere sempre più possibile.
La Chiesa è donna. Condivide questa affermazione?
Si, certo, ma non solo. La Chiesa è donna perché è sposa e madre. Il suo essere Sposa ci ricorda che il vincolo che ci unisce con il Signore è un vincolo di amore e di comunione. Ci ricorda che condividiamo i suoi beni e tesori, e che lui ha dato la vita per noi. Il suo essere Madre mette in rilievo che la vita di Dio passa attraverso il grembo verginale della Chiesa, che partorisce i suoi figli con doglie di parto. Ci ricorda che in Lei siamo nati, nutriti, cresciuti e portati alla maturità. L’essere donna della Chiesa mette in risalto alcuni aspetti che, se ricordati, ci chiamano tutti alla conversione. Ricordano che l’organizzazione e la gerarchia sono al servizio della pastorale e della santità, e non al contrario. Ma la Chiesa è anche Corpo di Cristo, è Sacramento, è Istituzione. Nessuno di questi caratteri esaurisce il suo mistero.
Quali figure di sante le vengono in mente come modelli per i nostri giorni?
Mi piace molto Santa Teresa di Gesù, donna forte, con i piedi per terra e il cuore nel cielo. Una donna molto femminile, ma che fu capace di rompere tanti schemi del suo tempo. Anche Santa Caterina: credo che i nostri sacerdoti abbiano bisogno della voce e del richiamo di donne luminose e profetiche, che li porti ad essere più fedeli a Cristo e al suo Vangelo. E sono numerose le esperienze di donne, esempi di maturità umana e di vita cristiana, profondamente inserite nella società del loro tempo, protagoniste e modelli per i nostri giorni: Gianna Beretta Molla, donna amante della vita, sposa, madre, medico professionista esemplare, ha offerto la sua vita per non violare il mistero della dignità della vita (1994); Kateri Tekakwitha, prima donna di nazionalità americana ad essere dichiarata Beata (1980) e onorata come patrona dell’ecologia e dell’ambiente…
Quali sfide educative pone il dibattito attorno al rapporto Donna – Chiesa?
I sacerdoti e i religiosi vanno educati a lasciarsi arricchire dalle donne, a non aver paura di un incontro tra uguali nella differenza, e a lasciarsi interpellare, formare, aiutare, completare. Da parte loro le donne vanno aiutate ad abbracciare la loro femminilità, guarendo le ferite esistenti, affinché la loro femminilità sia luminosa e feconda.
Paolo Ondarza
paolo.ondarza@gmail.com