L’apostolo San Giacomo afferma che Dio “ha voluto generarci secondo la sua volontà” (Gc 1,18). Il fatto che Dio abbia voluto generarci secondo la sua volontà indica un piano sovrano e libero, che non è condizionato da forze esterne. La nuova nascita è stata una sua scelta, un progetto di Dio che non dipende da noi e dai nostri meriti. Dio lo ha fatto semplicemente per amore. In questo versetto il significato di rigenerazione o nuova nascita indica un cambiamento di vita radicale, significa che si passa dall’essere morti spiritualmente all’essere vivi e fecondi.
Alla volontà di Dio che vuole rigenerarci continuamente è legato lo sforzo del discepolo di rimanere nel suo amore per poter portare frutto. È il “rimanere” nell’amore di Dio ciò che assicura un’autentica generatività. Madre Mazzarello, semplice donna contadina, aveva capito questa verità cristiana: «È la mano di Dio che lavora in noi. Senza di Lui non possiamo far nulla» (L 66,2), scrive alle suore. Infatti, solo l’amore è capace di generare: l’amore diviene l’habitat dell’esistenza nella misura in cui lo si riceve dalla sorgente che è Dio-Amore (1Gv 4,8).
In principio c’è una comunità generata dall’Amore
C’è una stretta relazione tra essere generato e generare. Al principio esiste l’amore: l’amore creatore e rigeneratore di Dio, l’amore della creatura umana che si sente raggiunta dall’amore di Dio e avverte in sé il desiderio di vivere nella logica di questo amore e testimoniarlo agli altri. «La statura spirituale di un’esistenza umana è definita dall’amore», scrive Papa Francesco (, 91). Il cristiano è colui che dimora nell’amore di Dio, scruta e gusta il mistero di Dio e per questo gli diventa connaturale testimoniarlo agli altri e incontrare Dio negli altri. «Siamo fatti per amore e c’è in ognuno di noi una specie di legge di estasi: uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere» (, 88). È questo il segreto della comunità di Mornese: una comunità generativa, perché generata dall’Amore.
Don Giovanni Cagliero, infatti, racconta che Maria Domenica era una donna che «viveva perduta in Dio! Sia quando era raccolta in preghiera, [sia] quando era impegnata nel lavoro, nel riposo, nella veglia, e si può dire anche nel sonno, come la sposa del Cantico dei Cantici, ecce dormio et cor meum vigilat!» (Summarium, 225). Enrichetta Sorbone mette in evidenza quanto l’incontro con Gesù nell’Eucaristia si prolungava negli incontri con gli altri lungo la giornata: «Mi pare ancora di vederla in Chiesa profondamente raccolta a fare le sue Sante Comunioni con tanto fervore quasi fosse un serafino d’amore! E nel corso della giornata presentarsi alle suore, o nel laboratorio, o negli uffici; sembrava che portasse ancora il suo Gesù nel cuore per comunicarlo alle sue figlie e alle ragazze; e noi sentivamo al passaggio della Madre nostra, il profumo di Gesù» (Summarium, 151). Chi è immerso nella realtà di Dio, chi comprende, vede e gusta la ricchezza che è Dio stesso, la sparge come salvezza e gioia nel mondo.
Don Costamagna definisce il Collegio: «La casa dell’amore di Dio!» Essere educatrice ed educatori salesiani oggi è riesprimere quegli stessi valori: testimonianza di vita; creare un ambiente di famiglia dove regna l’amore, la fiducia, la gioia; dove ci si sente trascinati al bene per la forza dell’amore. E tutto questo è possibile quando Dio c’è, perché c’è gioia, c’è pienezza di vita. Questo rende bella la vita e la missione: poter, insieme, FMA e laici edificare la “casa dell’amore di Dio” per potere trasmettere la gioia piena del Vangelo ai giovani e coinvolgerli nella missione.
Enrichetta Sorbone scrive di Madre Mazzarello: «Era dotata di un criterio non comune; possedeva il dono della maternità e il dono di governo in modo ammirabile. Il suo era un governo energico, risoluto, ma amorevole: ci trattava con franchezza, ma ci amava come una vera mamma religiosa; aveva un non so che, che ci trascinava al bene, al dovere, al sacrificio, a Gesù, con una certa soavità, senza violenza; ella vedeva tutto, prevedeva il bene e il male di tutte le figlie, pronta sempre a provvedere sia per il fisico che per il morale, secondo il bisogno e la possibilità» (Summarium, 79). Chi si lascia generare e vive della stessa vita di Dio, vive una vita trasfigurata e riesce a comunicare quel “non so che…”, “quel di più”, un surplus di vita che rallegra il cuore umano e lo fa incontrare a vera felicità. In questa logica va vissuto anche il servizio di animazione e governo, l’esercizio dell’autentica “autorictas”, cioè del generare e far crescere le persone.
Comunità rigenerate dall’Eucaristia
L’Eucaristia è il luogo per eccellenza dove siamo rigenerate ogni giorno dalla grazia ed è il sacramento che ci rende capaci di farci dono agli altri generando vita nuova. Un cuore eucaristico è di per sé un cuore fecondo, generativo, creativo; un cuore che sperimenta il carattere pasquale dell’esistenza, accetta il rischio dell’uscita da sé per raggiungere gli altri, e scopre che il proprio bene è abitare nell’altro e accoglierlo in sé (cf Congregazione per gli Istituti di vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Contemplate. Ai consacrati e alle consacrate sulle tracce della Bellezza, Città del Vaticano 2015,15).
Fare della propria esistenza una vita eucaristica, pane spezzato per i giovani è il segreto della generatività a Mornese. Gesù era fonte di fraternità e di ardore missionario delle prime giovani educatrici. L’incontro con Gesù Eucaristia era un incontro vivo e trasformante.
Maria Domenica aiutava le sorelle a vivere la loro giornata nell’orizzonte di Dio, a fare tutto per piacere a Lui e avere tante cose da offrirgli durante l’Eucaristia. Era convinta che Gesù viene a noi con le mani piene di grazie «Egli è tutto amore e tutta bontà per darci animo ad accostarci a Lui» (L 32,1). Per questo raccomandava alle suore e alle giovani di non andare a ricevere Gesù a «mani vuote» ma con le opere di carità e di sacrifici fatti per amore. Che l’Eucaristia diventasse realmente fonte di generatività, fondasse realmente l’esperienza spirituale e la comunione fraterna, lo si evince dalla genuinità evangelica delle relazioni che si stabilivano tra le sorelle e le FMA: «Il contingente maggiore era di figlie del popolo; non vi furono mai etichette, ma che delicatezza di sentimenti, che finezza di carità fra le suore! […] Commessa un’inciviltà se ne chiedeva scusa prima che declinasse il sole e non si sarebbe fatta la comunione» (Margherita Mariani, in Facciamo memoria 1939, 319). Quanto Madre Mazzarello formasse le suore e le giovani alla vita eucaristica e quanto questo insegnamento si trasformasse in vita si rivela emblematico in un episodio capitato a Mornese. «Fra tanti volti sereni, fa contrasto un giorno la fronte triste di una postulante:
- Perché sei così seria?
- Non ho fatto la comunione stamattina!… e la giornata mi è lunga lunga… e non finisce più! e con quel fuoco che iersera ha cercato di accendere nei cuori la madre! O Gesù mio, perdonatemi. In questa casa non si può vivere senza la comunione!» (Cronistoria II 363).
… sulla scia di Maria
Il modello di rigenerazione del cristiano è Maria di Nazaret, la donna “piena di grazia”. Ella ispira uno stile formativo, cioè quello della docibilitas all’azione dello Spirito e uno stile del “prendersi cura” della vita.
A Mornese ogni FMA viveva nella consapevolezza di “essere vera immagine di Maria”. Incarnare lo stile mariano, diventare come Maria madri ed educatrici è per le FMA un tratto caratteristico della vocazione e un modo di rispondere al bisogno di maternità che si sente attualmente soprattutto tra i giovani. Nel Progetto Formativo delle FMA si legge che esse sono chiamate a «diventare come lei, nella fecondità dello Spirito Santo, aiuto e guida formativa nel far crescere la vita di Gesù in coloro che ci sono affidati» (Progetto formativo FMA, 30).
Coltivare uno sguardo contemplativo
La generatività passa attraverso lo sguardo contemplativo, mediante la capacità di rivolgere lo sguardo della nostra vita su Gesù, di lasciarci guardare da Lui, di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che ci umanizza, che ci aiuta a condurre una vita nuova, che ci invita ad allenare lo sguardo per vedere il mondo con gli occhi di Dio, sentire il mondo con il cuore di Dio, percepire i germogli di vita nuova nella storia, a cogliere e valorizzare le risorse positive dei giovani, ecc.
La cultura attuale tutta tesa al fare e al produrre, esposta al rischio dell’esteriorità, della frenesia della vita, dell’attivismo, genera il bisogno inconsapevole di silenzio, di ascolto, di respiro contemplativo, d’interiorità apostolica. Il cammino contemplativo è un “cammino pasquale”, al quale anche noi, come educatrici ed educatori salesiani siamo chiamati per essere davvero generativi di vita nel cuore della contemporaneità.
Eliana Petri, FMA