L’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice è stato caratterizzato fin dagli inizi da una spiritualità educomunicativa. Don Bosco è stato un grande comunicatore e ha utilizzato tutti i mezzi allora a disposizione perché il suo messaggio arrivasse a migliaia di giovani attraverso la parola scritta, stampata, e quella della testimonianza personale. Era un comunicatore nato e ha utilizzato questa sua attitudine per giungere al cuore degli adolescenti. Ha saputo comunicare con i nuovi linguaggi del suo tempo. Ha comunicato con la sua vita, con i suoi atteggiamenti di vicinanza, di prossimità, di accettazione delle diversità culturali.
Madre Mazzarello è stata una comunicatrice efficace. I dialoghi con suore e ragazze sono di una sensibilità e finezza di intuizione che stupiscono, perché rivelano un’intensità comunicativa straordinaria. Per comunicare con le sue figlie d’oltre oceano imparò a scrivere. Poteva così trasmettere notizie di famiglia con la genuinità e il calore della terra d’origine, entrando in sintonia con i sentimenti e la realtà vissuta dalle sorelle lontane. La sua comunicazione esprimeva tenerezza, fiducia e speranza.
“Comunicare speranza e fiducia” è un compito che riguarda tutti, giovani e adulti, religiosi e religiose, giovani e laici. Ciascuno nell’era del Web e dei social network, è interlocutore e responsabile della comunicazione della Chiesa, dell’Istituto. Oggi ogni persona diventa una notizia: la sua vita, i suoi pensieri, le sue storie diventano contenuti comunicativi che creano e diffondono notizie. Sensibilizzare e formare le coscienze, coinvolgere le comunità educanti nel promuovere una comunicazione che dia “una chiamata, una richiesta, un impegno affettuoso e forte che ci responsabilizza tutte”.
Papa Francesco indica 5 impegni:
Diffondere la logica della “buona notizia”. Bisogna assumere «uno stile comunicativo aperto e creativo» che riesca a mettere al centro la persona e non il fatto negativo, che riesca a comunicare «le soluzioni possibili, ispirando un approccio propositivo e responsabile».
Non fissare l’abitudine sulle cattive notizie. Innanzitutto occorre «spezzare l’abitudine a fissare l’attenzione sulle cattive notizie. Non si tratta d’ignorare il dramma, né di scadere in un ottimismo ingenuo ma cominciare a cercare di oltrepassare quel sentimento di malumore e di rassegnazione che spesso ci afferra».
Usare l’occhiale della buona notizia. Non esiste comunicazione che non sia mediata. «La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti anche la realtà appare diversa». Oggi le lenti più utilizzate dalla società per relazionarsi con la realtà sono anche gli schermi dei media digitali. Occorre educare ed educarci all’utilizzo di queste complesse “lenti” per evitare di farci un’idea distorta della realtà.
Dire fiducia e speranza. L’amore riesce sempre a trovare la strada della prossimità e a suscitare cuori capaci di commuoversi, volti capaci di non abbattersi, mani pronte a costruire. Chi vive unito a Cristo, scopre che anche le tenebre e la morte diventano, per chiunque lo voglia, luogo di comunione con la Luce e la Vita. «Siano le immagini più che i concetti a comunicare la paradossale bellezza della vita nuova in Cristo».
Abbiamo bisogno della forza dello spirito. Lo Spirito Santo è il vero protagonista della comunicazione della Chiesa, l’unico che può dare novità alla nostra comunicazione. Se permettiamo allo Spirito di riflettersi anche nei nostri profili social essi diventeranno concreti «canali viventi» per diffondere speranza e fiducia in questa storia drammatica che ci riguarda personalmente.
Gabriella Imperatore, FMA
gimperatore@cgfma.org