La musica del futuro

Trent’anni fa uno dei momenti più belli della settimana per i teenager (allora si chiamavano così) era vedere in televisione la Top Ten, la classica dei dischi più venduti. Quella scalata dall’ultimo posto fino al primo era entusiasmante. Scoprire chi c’era in vetta alla classifica ogni settimana era sempre un momento emozionante per scoprire se c’era la tua canzone preferita. Una volta per scoprire un nuovo cantante o ti veniva presentato in radio, o lo vedevi in un passaggio televisivo, oppure perché il negoziante di dischi te lo consigliava. Oggi non è più così. Quel mondo fatto di persone che ti consigliavano la musica da ascoltare ora è stato sostituito da un algoritmo.

Dalla musica consigliata alla musica imposta

È inutile rimpiangere il passato e, quindi, bisogna fare i conti con la Rete che ha meccanismi diversi che vanno conosciuti in modo da poter scegliere in autonomia. È possibile ancora scegliere liberamente?

Oggi se si vuole ascoltare musica si può sottoscrive un abbonamento gratis o a pagamento ad una piattaforma di streaming o di acquisto che propone sempre tutte le novità. Se apri in qualsiasi momento i servizi di musica on line più conosciuti Apple Music, Spotify, Amazon Music, Deezer, YouTube Music, Tidal o Google Play Music puoi vedere che riportano classifiche con brani completamente diversi. Apple Music, ad esempio, rispecchia di più i gusti degli over 40, la Generazione X, mentre Spotify quella dei giovanissimi, la Generazione Z. Perché questa differenza?

La Rete ha come obiettivo di farti trovare sempre ciò che ti piace di più. Quindi attraverso gli algoritmi, programmi che sono inseriti nella progettazione delle piattaforme e che gli utenti non vedono, riesce a memorizzare tutti i movimenti che un utente compie nel proprio computer e li memorizza. In questo modo quando l’utente tornerà sulla medesima piattaforma l’algoritmo lo riconoscerà e cercherà di fargli vivere la migliore esperienza che è possibile, proponendo ad esempio canzoni simili a quelle già ascoltate o a quelle che ascoltano gli amici. In questo modo non dobbiamo neanche più compiere la fatica di cercare, perché c’è un software che lavora per noi interpretando i nostri gusti e desideri. Quindi qualcuno potrebbe dire che è un vantaggio tutto ciò. Penso non lo sia, perché se una volta davamo fiducia ad una persona che conoscevamo, la quale ci consigliava in modo disinteressato, ora ci affidiamo ad un software che segue meccanismi diversi dal solito gusto, perché risponde a delle logiche di business. Poichè i servizi di musica in streaming si sono specializzati con un determinato pubblico è logico che si creino classifiche diverse, perché rispondono esattamente ai gusti di quel gruppo di soggetti che ascolterà la stessa musica.

Dall’intelligenza artificiale al machine learning

L’Intelligenza Artificiale ha permesso la progettazione di sistemi informatici in grado di creare prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana, ma che in realtà sono guidate da un elaboratore elettronico. Ecco che le canzoni consigliate dalle varie piattaforme, in base ai nostri ascolti precedenti, sono guidate dall’Intelligenza Artificiale. Ma non pensate sia una cosa banale come ad esempio hai ascoltato una canzone di un rapper e ti consiglio quella nuova di un altro rapper. È molto di più. Infatti, il tutto viene guidato da processi di machine learning consistenti in una serie di tecniche che permettono ai sistemi informatici di prevedere, classificare, ordinare, prendere decisioni e, in generale, estrarre conoscenze dai dati che noi lasciamo in rete senza bisogno di definire regole esplicite. Il salto qualitativo è dovuto proprio al passaggio da un’intelligenza basata su regole a un’intelligenza basata su dati, utilizzati per addestrare i sistemi informatici e consentire loro di imparare ad estrarre le esperienze che gli servono per creare nuove informazioni, nuovi collegamenti e servirsi di tutto questo per future interazioni. Una recente ricerca ha messo in luce che il 72,3% degli utenti in rete sceglie di ascoltare la musica che la piattaforma gli propone. Questa agevolazione nel trovare i brani che con alta probabilità possono piacere è un affare da milioni di euro in quanto il machine learning lavora per sottoporti brani e artisti appartenenti magari alla stessa casa discografica, allo stesso manager o ad accordi commerciali con la piattaforma di distribuzione della musica. È sostanzialmente una forma di pubblicità nascosta ai nostri occhi, e pilotata dal proprietario della piattaforma. È vero che questi algoritmi estremamente efficaci, con formule di elaborazione dati sugli ascolti degli utenti, suggeriscono nuova musica o artisti che non conosciamo e che, con tutta probabilità, gradiremo; ma la domanda è: siamo veramente liberi?

L’intelligenza artificiale scopre i nuovi artisti

Apple ha acquisito alcuni anni fa la startup di analisi musicale Asaii nell’ottica di migliorare ancor di più i suggerimenti per gli utenti e di fargli provare contenuti nuovi. Fondata nel 2016 aveva come obiettivo quello di applicare tecnologie di apprendimento automatico all’aggregazione e all’analisi della musica in streaming presente in internet. Leggendo i contatori delle riproduzioni delle canzoni e i dati associati di Apple Music, Facebook, Instagram, SoundCloud, Spotify e Twitter, questo software ha setacciato la rete per fornire agli addetti ai lavori informazioni sui brani più popolari e sugli artisti emergenti. Il risultato di questa ricerca viene presentato in una dashboard semplice e chiara da consultare.

Ovviamente questa raccolta di dati permette alle case discografiche, alle etichette e ai musicisti di monitorare la loro musica sulle piattaforme di streaming e ad individuare nuovi artisti emergenti.

Apple ha anche comprato Platoon, un’altra piccola startup tecnologica che cerca di aiutare i musicisti indipendenti a farsi scoprire dalle principali etichette. I fondatori erano partiti dal presupposto che i cantanti che sono ai primi passi potrebbero non avere abbastanza soldi per registrare la loro musica negli studi e ottenere l’accesso a software di editing. Platoon entra in scena finanziando gli artisti che in base agli algoritmi ritiene riusciranno nel business, aiutandoli non solo a creare la loro musica, ma anche a venderla.

La rivoluzione digitale non ha però limitato la nostra libertà perché, infatti, c’è un ritorno alla scelta personale della musica con l’acquisto dei vinili, che è aumentato nel 2019 del 13%. Speriamo non vengano acquistati su Amazon dove, anche per questi prodotti funziona l’intelligenza artificiale!

 

Mariano Diotto 
m.diotto@iusve.it

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