Una condizione previa, per ascoltare il cuore dei giovani, è credere in loro, nelle loro potenzialità, in quel “punto accessibile al bene” valido e vero per ogni generazione. Ascoltare senza difese, fare un passo indietro per accoglierlo, nella certezza che dall’ascolto nascono nuovi sentieri educativi da percorrere insieme. Guardare e ascoltare i giovani, lasciandogli spazio, equivale anche ad intessere un dialogo intergenerazionale nel quale agli adulti è riservato il compito di compiere il primo passo, quello dell’ascolto disinteressato, del “tempo perso” per parlare di vita e di tutto ciò che batte nel cuore dei giovani. Per parlare dei giovani occorre prima conoscerli, ma non unicamente attraverso i mass-media, bensì face to face. Solo così si aiutano i giovani a porsi domande di senso: il dolore, la morte, il futuro, l’amore, Dio, la fede, la paura.
Dov’è la felicità? Ed io posso essere felice?
Il desiderio che abbiamo di poter dire ai giovani che è la vita stessa portatrice di felicità, dipende dalla capacità di indicare che occorre viverla pienamente percorrendone ogni momento e condividendo con loro la ferialità, essere ed esserci è una raffinata declinazione di amore reale.
Studenti lavoratori
Non rinunciano allo studio pur avendo trovato un lavoro. Un gruppo di particolare interesse per vari motivi: perché con la crisi economica questi giovani pur avendo trovato un lavoro non rinunciano allo studio, in funzione di migliorare comunque le proprie prospettive future. Perché, pur studiando, hanno deciso di iniziare già a confrontarsi con il mondo del lavoro. Una scelta meritoria, quella di cercare durante gli studi di mantenersi del tutto o parzialmente da soli, tanto più in una società che presenta i più alti tassi di dipendenza economica dei giovani dai genitori nel mondo sviluppato. Una scelta dettata non sempre e solo da necessità, ma spinta anche dal desiderio di autonomia e da un senso di responsabilità. Ma che si scontra anche con le difficoltà a conciliare tali due impegni. Una giovane universitaria, ha donato un po’ del suo tempo per farci dono dell’impegno a saper coniugare studio e lavoro.
Testimonianza
Ho lavorato fin dall’età di 18 anni, concluso il Liceo, per pagarmi gli studi universitari, costi sempre tanto elevati, nonostante l’opportunità di una Borsa di studio Laziodisu che sono riuscita ad avere per due anni consecutivi. Il mio primo lavoro è stato di aiutare ragazzi della Scuola media a svolgere i compiti ‘a casa’. Ho seguito, in particolare, una ragazza due volte a settimana, per 10 euro l’ora. Al di là del piccolo utile economico, significativa sia stata l’esperienza maturata nella relazione con gli adolescenti con i quali mi sentivo la sorella maggiore che accompagna e orienta verso il bene. Inoltre, poiché studiavo Lettere e coltivavo il sogno di diventare ‘insegnante’ è stato anche un buon banco di prova quello di dare ripetizione ai ragazzi. Dopo quest’esperienza ho svolto il lavoro di . Non avevo molta esperienza con i bambini piccoli (solo tre mesi), ma ho iniziato questa nuova avventura, all’inizio in maniera forse un po’ ingenua e via va più consapevole. Ho seguito il piccolo Enrico da quando ha balbettato le prime parole, ha dato i primi passi, e poi le pappine, i bagnetti… Un’esperienza che mi ha fatto molto crescere tanto che avvicinandosi il giorno della Laurea in Lettere ho deciso che poi mi sarei iscritta alla Facoltà di Scienze dell’educazione. Avevo capito, grazie a quel lavoro saltato fuori per caso e di cui inizialmente non sapevo molto, che quella era la strada giusta per me. Dovevo occuparmi di bambini. Così, una volta laureatami ho ripreso gli studi da capo. Certo non è stato molto facile, né durante il periodo di Lettere né successivamente, perché il mio lavoro con Enrico continuava, ormai ero diventata per lui una figura fondamentale, e dal momento che la madre lavorava mi occupavo di lui anche quando andava all’asilo nido. Lo andavo a prendere tutti i pomeriggi e passavo con lui tutta la giornata, facendo merenda e giocando insieme. Spesso capitava di dovermi occupare anche della cena, o di doverlo mettere a letto. Era diventato un lavoro quasi a tempo pieno e dovendo durante la mattina seguire le lezioni all’ università, piano piano divenne un problema organizzarmi. Ho fatto la scelta di non seguire i corsi e dare solo gli esami, ormai avevo capito che quella era la mia vocazione e poi mi ero affezionata a quel bimbo che avevo aiutato a crescere, e ero pagata bene anche se ‘a nero’.
Con la mia paga, anche se con le dovute rinunce e fatiche, riuscivo a sistemare tante cose (la tassa per l’auto, la rata universitaria, le spese personali…) e riuscivo anche a mettere da parte qualcosina. In un periodo addirittura il mio lavoro si triplicò: un’amica della mamma di Enrico, mi aveva chiesto se ero disponibile come babysitter per la sua bambina, due volte a settimana durante le ore serali (di cui una la domenica!). Certo sarebbe stata dura, come poi ebbi modo di verificare, perché lavorare anche la domenica era molto stancante e i miei studi per un certo periodo ne risentirono un po’: rallentai la preparazione degli esami, ma non il rendimento che è stato sempre ottimo. Non è stato per niente facile. Arrivavo a casa la sera distrutta. Ma non mi lamento di quello che ho vissuto, perché il giorno che ho deciso di lavorare con i bambini è stato per me il più grande banco di prova, e ora che mi trovo a svolgere un tirocinio presso un asilo nido posso constatare quanto quell’esperienza maturata come babysitter mi sia servita veramente tanto.
Anche a livello personale quel lavoro mi ha permesso di scoprire un lato di me che non conoscevo e, soprattutto, mi ha dato la possibilità di crescere e di diventare la ragazza responsabile e matura che sono adesso. Le persone che ho incontrato hanno segnato in bene la mia vita, nonostante tutto. Sono certa che mi faciliterà l’ingresso nel mondo del lavoro!».
Gabriella Imperatore
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