Nella gestione dei conflitti è accaduto e si ripete anche attualmente, che, dopo che le due parti si sono attaccate accanitamente cercando ciascuna di far valere le proprie ragioni, il disaccordo si plachi con la vittoria del più forte, la sconfitta del più debole. È successo e succede sia nelle piccole liti infantili come nelle grandi ostilità internazionali. Questa modalità tacita solo momentaneamente la questione di fondo, ma non la risolve. La vera soluzione avviene quando, attraverso il dialogo, si riesce a trasformare l’ostilità, ad andare oltre i vincitori e i vinti e a mantenere la relazione.
L’argomento riguardante la gestione delle dinamiche che inducono a scatenare i conflitti è vasto, complesso e, per alcuni aspetti, sfuggente. Le considerazioni che seguono, pur nel loro limite, potrebbero essere un aiuto alla consapevolezza. Quando si scatena una lite, il rendersi consapevoli di quanto succede in noi e attorno a noi è di primaria importanza. Se si torna al ricordo degli eventi conflittuali vissuti o visti, spesso, più dei motivi, si ripresentano il tono delle voci, le posture e i gesti carichi di aggressività. Sono i segni delle emozioni, che, nella situazione tendono ad avere la predominanza. L’aspetto emotivo, letto nella parte più antica del nostro cervello, determina una risposta automatica dell’organismo definita di “attacco o fuga”. I comportamenti dell’attaccare e del fuggire hanno avuto un ruolo fondamentale nel corso dell’evoluzione, per la sopravvivenza della nostra specie, ma non sono adatti alla vera soluzione dei contrasti. Eppure, come nei secoli passati, si continua ancora a risolvere i conflitti tramite l’attacco, cioè la lotta, lo scontro fisico, la guerra, accettando di sottomettersi e di dipendere, solo se sconfitti.
“Il conflitto è componente integrante della vita umana, si trova dentro di noi e intorno a noi”.
Sun Tzu
La vittoria degli uni e la sottomissione degli altri, più che una soluzione, diventano spesso una pausa di risentimenti in attesa della rivincita. Solo il dialogo e la negoziazione, richieste attualmente con insistenza da Papa Francesco alle parti belligeranti, mirano a una risoluzione, intesa questa come trasformazione del conflitto orientata al proseguimento della relazione. Si tratta di “una tra le conquiste più alte della nostra civiltà. Chi negozia decide infatti di “abbandonare le armi” e mettersi attorno a un tavolo a discutere, avendo fiducia di trovare una soluzione. […]. Per la nostra mente … è estremamente difficile far coesistere queste due forme di relazione all’interno della medesima situazione: affermare e concedere; convincere e accettare; influenzare e dipendere.”1 Chi dialoga e negozia non si aspetta di vincere, né di perdere, ma di risolvere il contrasto mantenendo le relazioni.
Negoziare per risolvere un conflitto è “estremamente difficile”, ma non impossibile. Ce lo conferma una folla anonima e silenziosa di donne e uomini che, senza far tuonare i cannoni o la voce, sono passati nella storia convivendo in pace. Ce lo dicono anche coloro che, quotidianamente contribuiscono a una serena convivenza e che forse, inavvertiti e scarsamente considerati, ci vivono accanto. La possibilità di riuscire a negoziare ce l’assicura anche il fatto che non ci mancano le attrezzature. Oltre al cervello emotivo che è il più antico e che ci fa scegliere se combattere o scappare, abbiamo anche la parte prefrontale, la più recente che media la parte primitiva e ci predispone al dialogo.“ Quando il nostro cervello rettilario [del rettile] ci spinge ad aggredire o scappare, la corteccia cerebrale, invece, ci fa porre domande all’altra/o per accertarci di aver compreso bene e ci fa esprimere cosa sentiamo nell’ascoltare le sue parole”.2 Ci mette sulla strada di una possibile soluzione.
“Io invece credo, o carissimo, che sarebbe meglio che la mia lira fosse scordata e stonata, e che lo fosse il coro che io dirigessi, e che la maggior parte della gente non fosse d’accordo con me e mi contraddicesse, piuttosto che sia io, anche se sono uno solo, ad essere in disaccordo con me stesso e a contraddirmi”.
Socrate
Le difficoltà, comunque, sono innegabili. In una situazione di contrasto, trovare la forza e la pazienza di ascoltare fino in fondo le ragioni dell’altra/o e porre domande di chiarificazione per una maggior comprensione delle ragioni del disaccordo, è più facile dirlo che farlo. Così, pure, per riuscire a cogliere le emozioni che proviamo nell’ascoltare ed esprimerle senza aggressività. Lo stesso, e ancor più, si può dire del riuscire ad “affermare e concedere, convincere e accettare, influenzare e dipendere”. Oltre a questo, gli Autori citati consigliano di fare una lista delle situazioni in cui una certa emozione ha avuto il sopravvento impedendoci di agire in modo efficace. Affermano, poi, che l’esperienza ci ha insegnato che se riusciamo a fare un elenco di almeno una decina di situazioni, ci possiamo accorgere degli elementi scatenanti.
“Cooperazione non è assenza di conflitto, ma un mezzo per gestire il conflitto”.
Deborah Tannen
“Comprendere l’origine delle nostre emozioni, essere consapevoli dei propri trigger, è un elemento fondamentale per migliorare la nostra capacità di gestire la componente emotiva all’interno delle situazioni conflittuali.”3 Un aiuto efficace alla consapevolezza potrebbe venire anche da un’amica/o che non plagia, da una persona esperta e da chi, avendo più maturità può diventare una guida che indica vie nuove, come Virgilio per Dante.4
Oltre a conoscersi, essere consapevoli del motivo dei propri fallimenti relazionali, è molto importante accettarsi con i propri limiti mantenendo la fiducia in sé e superando quella subdola paura di non essere all’altezza che spesso ci gioca. Altrettanto importante sarebbe arrivare alla consapevolezza che ciascuno di noi ha una sua verità, ma non tutta la verità, ha la visione di un aspetto, ma non di tutto il problema. E poi tentare di superare quell’antica e radicata tendenza ad attribuire agli altri le cause dell’insuccesso a risolvere i contrasti. È una tendenza antica quanto il mondo. È stata la donna, è stato il serpente, leggiamo nella storia degli inizi. “È quella lì: vede solo il suo interesse”; “è quella là fissata nelle sue idee”; “è quell’altra corta di comprensione”; “quella ha sempre imposto il suo parere”, sono le frasi che normalmente sentiamo e diciamo e che non sono prive di verità, ma che non la contengono tutta. Sono frasi che rivelano, con i limiti degli altri, anche e chiaramente i propri.
“Un conflitto non può mai essere risolto al livello in cui sorge: a quel livello ci sono solo un vincitore e un perdente, non una riconciliazione. Il conflitto deve essere spostato a un livello superiore, come se guardassimo una tempesta dall’alto”.
Jeannette Winterson
Gestire i conflitti è proprio un compito “estremamente difficile”, ma possibile. Se crediamo fermamente che mantenere la relazione, creare fraternità è una conquista più grande delle pseudo vittorie ottenute con la forza, gli aiuti necessari non ci mancano. Oltre ai consigli degli esperti e a un maggior affidamento alla parte più recente del cervello, quella prefrontale, possiamo sempre affidarci a quell’Energia ineffabile che sempre ci avvolge, ci compenetra e ci guida su vie di conciliazione. E poi, non perdersi d’animo nelle sconfitte, non fermarsi. Non si è mai finito di imparare il nobile mestiere dello stare insieme fraternamente. Vale sempre la pena di tentare e ritentare anche se prossime ai cent’anni o oltre.
- Cf. BERLINGOZZI Massimo-INGRASSIA Diego, La gestione del conflitto, in Psicologia contemporanea, Giunti, luglio-agosto 2019, pag. 72. ↩︎
- MORGANTE Patrizia, Il potere delle parole e la vita della comunità, in Testimoni, maggio 2024, pag. 17. ↩︎
- BERLINGOZZI Massimo – INGRASSIA Diego, La gestione del conflitto, in Psicologia contemporanea, Giunti, luglio-agosto 2019, pag. 73. ↩︎
- SILVA GONCALVES Nuno – SERENI Simone, “Imparare di nuovo a stare insieme”. Intervista a Marta Cartabia, in La Civiltà Cattolica, 1/15 giugno 2024, pag.446. ↩︎